Di una cosa Mario Giro, vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale, si dice assolutamente convinto: «La cooperazione non è un lusso, ma un investimento che riguarda anche la nostra sicurezza». E in questa intervista a l’Unità spiega il perché e annuncia i prossimi appuntamenti cruciali per fare della cooperazione internazionale un perno della nostra azione diplomatica nel mondo.
Perché oggi per il sistema-Paese investire sulla cooperazione internazionale è una scelta strategica e non, come qualcuno sostiene, un lusso che l’Italia non può permettersi?
«È un investimento strategico perché noi siamo un Paese totalmente estroverso dal punto di vista economico e culturale. Anche politicamente in questi due anni si è visto come l’Italia è tornata. Sulle grandi questioni europee, sulla Libia, sulla Siria etc. In questo senso noi stiamo portando avanti anche la battaglia per entrare, come membri non permanenti, nel nuovo Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che sarà votato il prossimo 28 giugno. Ecco perché anche la cooperazione diviene un ulteriore strumento di estroversione dell’Italia. Io concepisco la cooperazione come una sinergia di interventi che riguardano tutte le politiche: l’Aiuto allo sviluppo, i risultati della Cop21 e l’ambiente, l’Expo, l’internazionalizzazione delle imprese, il “Migration Compact”».
Un piano indubbiamente complesso e ambizioso. Ma esistono le risorse necessarie per attuarlo?
«Le stiamo aumentando: 120 milioni in più quest’anno, 240 milioni nel 2017, 360 nel 2018. Nel DEF, queste cifre sono chiare. Ma non è solo un discorso di quantità di risorse investite. Perché poi questi soldi vanno gestiti bene e nelle giusta direzione. Per questo ci siamo dotati di strumenti nuovi: una nuova legge, l’Agenzia la Cassa depositi e presti concreto e incisivo ti come Banca di sviluppo».
In questo contesto, quale ruolo può e deve assumere il mondo del volontariato e dell’associazionismo?
«Un ruolo molto importante: oltre alle ong, l’articolo 26 della legge individua nuovi protagonisti della cooperazione, come il terzo settore e financo le associazioni delle diaspore».
Perché investire in cooperazione è anche un modo per rafforzare la nostra sicurezza?
«Perché noi dobbiamo capire ed intervenire laddove i fenomeni si creano, come quello dell’immigrazione, fenomeno legato anche al mancato sviluppo. Ma non solo. C’è anche il problema di tanti governi africani che non vogliono rimanere esclusi dal circuito globale di innovazione e ricerca. Quindi esiste anche un gap digitale e un gap culturale che la cooperazione può e deve colmare».
Quali sono gli appuntamenti più ravvicinati che dovrebbero sostanziare questo percorso innovativo?
«Innanzitutto la convocazione del prossimo Consiglio nazionale della cooperazione, dove discuteremo delle novità come il partenariato con il privato – anche il settore privato è un nuovo soggetto di cooperazione -, il ruolo delle diaspore, la situazione di alcune aree ad alta criticità. Faccio l’esempio della Tunisia, una giovane democrazia araba che dobbiamo difendere, il Corno d’Africa, o il caso della piattaforma energetica in Africa che è una nostra priorità».
La cooperazione internazionale e l’emergenza migranti, un tema sempre all’ordine del giorno e sempre più drammatico. Come affrontarlo?
«Questa mattina (ieri per chi legge, ndr) sono stato al secondo arrivo dei corridoi umanitari. Ho visto i volti di quelle donne siriane e dei loro bambini: finalmente sereni. Si può fare accoglienza in maniera umana e ragionevole, con in più maggiore sicurezza per chi accoglie. Il “Migration Compact” prevede un grande patto euro-africano in cui cooperazione e gestione dei flussi vanno insieme. Insomma, si può fare senza grida, senza ruspe, senza allarmare i cittadini e venendo incontro al dramma di chi è costretto a fuggire. La cooperazione significa anche adattarsi alle emergenze e al contempo pensare al futuro in termini strutturali».
Di tutto questo c’è una consapevolezza condivisa nel Governo?
«Credo proprio di sì. Basta ascoltare quello che dicono i ministri Gentiloni, Giannini, Boschi e soprattutto la determinazione del presidente del Consiglio Renzi di uscire dal vittimismo aggressivo per entrare in una fase di proposta politica. Noi agiamo perché l’Europa cambi rotta, ma intanto facciamo concretamente. E di questa “diplomazia del fare” la cooperazione internazionale è uno strumento fondamentale».