La strage di Istanbul e la sfida del terrorismo jihadista. La nuova presidenza Usa e gli impegni dell’Italia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e nel G7 di Taormina. L’Unità ne discute con Mario Giro, vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale. Sulla strage alla discoteca di Istanbul Giro avverte: «Se la Turchia scivola verso il caos trascina anche noi».
Il 2017 è iniziato con il segno devastante del terrorismo jihadista. L’Isis ha rivendicato la strage di Istanbul. È l’avvisaglia di un anno in trincea?
«Sarà certamente un 2017 complicato. Non è tempo di facili ottimismi: dobbiamo sapere che siamo circondati da rischi di guerre. Ciò deve farci operare con più forza in favore della pace e della stabilità. In questo scenario inquietante, emergono, però, due concreti segnali di speranza: la tregua in Siria e l’accordo nella Repubblica democratica del Congo».
Per restare sulla strage di Istanbul. C’è chi sostiene che essa è anche il frutto avvelenato delle ambiguità che hanno caratterizzato la politica di Erdogan nel confronti del contenimento jihadista e della guerra in Siria.
«Siamo onesti: anche molti Paesi occidentali hanno avuto tali ambiguità. Qui va detto con chiarezza che i vari governi italiani, di qualunque colore, almeno sulla Siria hanno tenuto una posizione sin dall’inizio della guerra civile (marzo 2011, ndr) trasparente e non ambigua: coinvolgere tutti gli attori regionali (Iran, Russia, etc.) e spendersi per una soluzione politica. Per quanto riguarda la Turchia, ha ragione il ministro Alfano: questo è il momento della solidarietà e della ferma condanna del terrorismo che ci sfida tutti. Se la Turchia scivola verso il caos trascina anche noi».
L’Italia, dal 1 gennaio è membro del Consiglio di Sicurezza Onu e presidente di turno del G7. Come giocare al meglio queste due importanti carte di credito?
«È l’occasione per farci ascoltare di più: è nostro interesse nazionale avere una Libia stabile e una Siria finalmente in pace. Ma è anche interesse internazionale. Il Mediterraneo è diventato il mare di tutti i pericoli: terrorismo, guerre, flussi incontrollati di migranti. Questa situazione non conviene a nessuno. La tradizionale linea di politica estera italiana, basata sul dialogo e sulle soluzioni negoziali, assume oggi tutta la sua rilevanza. Così come è rilevante rafforzare l’impegno, non solo dell’Italia, per moltiplicare i corridoi umanitari».
A marzo si celebrerà nella capitale in cui furono firmati, il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. Con quali propositi l’Italia intende giungere a questo evento?
«Già all’epoca del governo Renzi, l’Italia, con Paolo Gentiloni titolare della Farnesina, aveva organizzato la riunione dei sei Paesi fondatori dell’Unione europea. Il sessantesimo dei Trattati di Roma rappresenta l’ultima chiamata per l’Europa: sia per le questioni interne (austerità, banche, migrazioni) sia per questioni esterne (Siria, Libia, etc.), non è più accettabile che l’Europa vada in ordine sparso. O c’è o non c’è. L’Italia farà di tutto perché ci sia».
Il 20 gennaio s’insedia alla Casa Bianca Trump. Da più parti si teme che la nuova presidenza Usa sia portatrice di instabilità nel già instabile quadrante internazionale. Condivide questi timori?
«Le relazioni tra Italia e Stati Uniti, come ha detto il premier Gentiloni, non cambiano: sono sempre rimaste eccellenti, qualunque fosse il presidente Usa o il governo in Italia. È uno dei punti fermi della nostra politica estera».
In precedenza, Lei ha fatto riferimento alla tregua in Siria. Tutti gli analisti concordano nell’affermare che si sia trattato di un successo del presidente Putin. Sarà lui il dominus della politica estera nel 2017?
«Se c’è una lezione che per l’ennesima volta sale dalle crisi mediorientali, è che nessuno da solo può imporre il suo ordine in quell’area così tormentata e nevralgica del mondo. È chiaro che oggi la Russia, l’Iran e la Turchia hanno aperto una fase nuova, ma ci sarà bisogno di tutti se vogliamo un Medio Oriente stabile, in pace, e pluralista».
Le sconfitte militari subite dall’Isis in Siria e Iraq rendono l’Europa più vulnerabile?
«Esiste la minaccia dei foreign fighters di ritorno. Su questo aspetto dobbiamo fare molta attenzione. In Italia il controllo del territorio è efficace e la preservazione della convivenza si mantiene a un buon livello. Per garantire la nostra sicurezza dobbiamo evitare di seminare odio».