This site uses technical, analytics and third-party cookies.
By continuing to browse, you accept the use of cookies.

Preferences cookies

Giro: «I corridoi umanitari per i migranti; un modello per l’Europa» (Unità)

Legano legalità e sicurezza. Sono la risposta più efficace e solidale all’Europa dei muri e delle frontiere blindate: i corridoi umanitari. L’Italia li ha inaugurati un anno fa, finora sono state 750 le persone accolte, distribuite in 17 regioni (70 comuni). L’Unità ne ha fatto il perno di una campagna di informazione e di sensibilizzazione. Campagna che riceve il sostegno del Vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale, Mario Giro.

Quali sono, visti dal Governo italiano, il reale valore e la portata dei corridoi umanitari?

«La vera portata è che sta diventando un modello europeo, e a breve anche la Francia li metterà in applicazione. Si tratta di un modo legale e sicuro che, a mio avviso, andrebbe moltiplicato, così usciamo dalle polemiche».

Qual è il bilancio di questa esperienza che l’Italia trae?

«È un bilancio molto positivo, come ha dichiarato in Parlamento il ministro Minniti. Se lo applicassimo ovunque non avremmo sbarchi. Non si era detto che bisognava portare lo screening in Africa e Medio Oriente?».

I corridoi umanitari come strumento di una solidarietà fattiva e come modello virtuoso di una politica che tiene assieme legalità e sicurezza. In questa ottica, è corretto affermare che per l’Italia i corridoi umanitari sono parte di quella visione non emergenziale del problema migranti, che è al fondo del «Migration Compact»?

«Assolutamente sì, nel senso che noi operiamo in attesa che il Parlamento europeo approvi lo strumento di investimento esterno che potrà raggiungere i 40 miliardi di euro: questo sarà il vero modo di “aiutarli a casa loro”».

I corridoi umanitari possono rappresentare la risposta all’Europa dei muri e dell’esclusione forzata?

«Direi proprio di sì. Matteo Renzi aveva detto #restiamoumani. Non era solo un hashtag, uno slogan, ma è diventato l’orizzonte politico e ideale che ha guidato l’azione del governo di cui Renzi è stato premier e oggi quello Gentiloni. I muri, non solo quelli materiali ma anche quelli mentali, creano un clima di odio che ci mette tutti in pericolo. Se questo clima non si ferma, si crea una cultura che fa spazio ai populismi e alle destre».

Protagonisti della realizzazione dei corridoi umanitari sono le organizzazioni della società civile. Cosa significa questo?

«Significa che le istituzioni devono fidarsi della società civile, investire su quel mondo del volontariato, della cooperazione, del dialogo che è un patrimonio straordinario del “sistema-Italia”, e al tempo stesso significa che la società civile può negoziare positivamente con le istituzioni. D’altro canto, non sono le istituzioni che integrano, ma la società. Ci serve un clima sereno, non spaventato: se lo avessimo, ci renderemmo conto che si può fare, si può integrare, senza perdere nessuna identità. Anzi, l’identità verrebbe arricchita, perché, è bene sottolinearlo con forza e in ogni sede, l’identità italiana è umanesimo accogliente».

Il «MigrationCompact» ci porta ad un Continente su cui l’Italia punta molto: l’Africa. Sulla base della sua esperienza, si può sostenere che la diplomazia dei diritti e quella degli affari possono convivere?

«Sì è possibile, se usiamo il nostro modello italiano, basato su un modello di impresa, piccola e media che cerca partner e non impone una sua egemonia economica. L’Italia prende sul serio l’Africa, non vuole essere neo-coloniale. Prendere sul serio gli africani significa portarli a produrre: l’Italia auspica che nasca una manifattura in Africa e per questo usa la sua influenza (che non è ingerenza) e il suo know-how. In Africa serve l’aiuto delle ong ma anche l’investimento delle piccole e medie imprese italiane. Sarò sempre grato a Matteo Renzi per aver impostato in questo modo i suoi viaggi in Africa così come lo ha fatto anche Paolo Gentiloni. È lo stile-italiano, un modus operandi che tiene assieme corridoi umanitari. Migration Compact, gli accordi bilaterali con Paesi di origine e di transito di migranti, il sostegno al processo di stabilizzazione politica in Libia…».

Tema di strettissima attualità, specie dopo la firma del Memorandum Gentiloni-Sarraj.

«Con quel Memorandum, l’Italia ha inteso rafforzare il primo ministro libico e intervenire attraverso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni nell’inferno dei centri di detenzione gestiti dalle milizie. So che su questo punto sono emerse preoccupazioni e critiche, che vanno assunte e risolte, partendo, però, dal riconoscimento che il Memorandum è molto diverso dal Trattato di amicizia tra Italia e Libia firmato nel 2008. Vogliamo salvare vite umane e responsabilizzare i libici perché il controllo dei migranti sia strappato alle milizie e ai racket, per essere messo sotto protezione internazionale con l’aiuto dell’Unhcr e dell’Oim. Puntare sulla politica senza mai farsi trascinare m avventure militari: ecco un altro tratto distintivo della politica portata avanti prima da Renzi e ora da Gentiloni, a cominciare dalla Libia. Un tratto che vorremmo che divenisse patrimonio condiviso dell’Europa».

L’Europa, per l’appunto. Tra poche settimane, l’Italia ospiterà un importante evento politico-diplomatico: la celebrazione del 60° anniversario dei Trattati di Roma. Con quali aspettative il Governo italiano si approccia a questa scadenza?

«Con preoccupazione e con speranza. L’Europa sta perdendo la sua anima in un gorgo di paure e nazionalismi. I “sovranisti” dicono che l’Unione ha fallito e che è il tempo degli Stati nazionali. Sicuramente l’Unione Europea è ancora debole, ma il fallimento vero è quello del nazionalismo: 80 milioni di morti tra Prima e Seconda guerra mondiale. È di questi “successi” che parlano i “sovranisti”».