L’epidemia di Ebola in corso da circa un anno nell’est della Repubblica Democratica del Congo è “particolarmente pericolosa”, pur trattandosi di una “malattia endemica” per il Paese africano, la “decima” del genere. A parlare con Vatican News è l’ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, che in questi giorni è a Roma, dove ha in programma di partecipare alla XIII Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici d’Italia, alla Farnesina fino a questo venerdì. Di fronte ai 2.500 casi confermati e ai circa 1.700 morti dall’agosto scorso, l’epidemia di ebola nel Congo ex Zaire è stata dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) una “emergenza di salute pubblica e di interesse internazionale”, non ancora sotto controllo. Anche Papa Francesco negli ultimi mesi, come negli anni passati, ha pregato per quanti stanno soffrendo a causa della malattia. Il diffondersi dell’epidemia.
Il diffondersi dell’epidemia
L’ambasciatore Attanasio individua tre fattori di pericolosità dell’emergenza. “Il primo è che, a differenza delle altre epidemie che si sono manifestate fino ad oggi in Congo, avviene in una zona di fortissimo traffico transfrontaliero, verso l’Uganda, vicino al Rwanda, insomma una zona dei Grandi Laghi già complessa. In secondo luogo – spiega il diplomatico – colpisce un’area in cui sono attivi numerosi gruppi di ribelli che non amano l’ingerenza della comunità internazionale né degli operatori sanitari nazionali, congolesi. Terzo fattore – aggiunge – è il fatto che purtroppo, essendo complesso in quelle zone l’aspetto politico e di controllo del territorio, ciò offre spunto a diverse persone, a differenti interessi” per ostacolare gli interventi, facendo “credere” che Ebola “non sia una malattia ma una sorta di invenzione del governo centrale di Kinshasa o una malattia magari portata dalla comunità internazionale: quindi si creano ostacoli, la popolazione non accetta le cure e spesso complica la possibilità per gli operatori internazionali e nazionali di avviare politiche di controllo più efficaci” .
L’azione della comunità internazionale
Proprio nelle ultime ore la Banca Mondiale ha annunciato lo stanziamento di trecento milioni di dollari per affrontare l’epidemia, a cui si è affiancato quello della Commissione europea, di trenta milioni di euro per misure di prevenzione e sostegno alle famiglie colpite. “Anche l’Italia – sottolinea Attanasio – ha versato un contributo di circa cinquecentomila euro per assistere e rafforzare la risposta all’emergenza Ebola nel Paese”, evidenziando poi un altro aspetto della crisi “da seguire”: a lungo termine “ci sarà un impatto sociale di Ebola, perché sono già numerosissimi i minori rimasti purtroppo senza genitori o separati da questi”. La Repubblica Democratica del Congo, afferma, è un Paese in cui “le credenze prevalgono: c’è il rischio che in futuro i minori rimangano stigmatizzati” per via della malattia.
Le violenze nel nord-est
Nel nord-est, non cessano inoltre le preoccupazioni per il Nord Kivu e l’Ituri, dove proseguono le violenze. “Si tratta di violenze tribali e su base interetnica”, chiarisce Attanasio. “Il principale motivo del contendere tra le popolazioni locali – prosegue – è il controllo di alcune parti del territorio. Quindi ci sono due tipi di contenziosi tra le popolazioni in loco. C’è un aspetto che risale a tantissimo tempo fa: un confronto tra popolazioni rurali stabili e popolazioni che sono dedite alla pastorizia”. E ci sono scontri legati al “desiderio di impossessarsi di alcune zone, dove magari c’è un’altra tribù, per il controllo delle risorse minerarie” – “oro e diamanti”, “petrolio”, “coltan e tutte le materie prime chiamate ‘terre rare’ che vengono utilizzate nell’industria” – o anche per “l’accesso ad una foresta da cui possono prendere il legno per ricavarne del carbone, che è la principale forma di energia soprattutto per cucinare” in quelle aree.
Emergenza sfollati
In tale contesto gli analisti internazionali inseriscono l’ingerenza dei Paesi esterni, che per l’ambasciatore italiano a Kinshasa è soltanto “uno dei fattori” che contribuiscono allo scatenarsi delle violenze: “il motivo principale per il quale nascono questi gruppi armati – sottolinea – è dovuto soprattutto al fatto che in alcune zone del Paese, come in quelle più periferiche nel nord-est, non esiste un controllo dello Stato capillare e capace” di garantire totale sicurezza alla popolazione. Inoltre, denuncia, tra le conseguenze delle violenze dei gruppi armati in quelle zone c’è “il fatto di provocare, oltre ai morti, anche numerosi sfollati”, emergenza per la quale pure “l’Italia da circa venti anni è fortemente attiva tramite la Cooperazione allo sviluppo”. A maggio scorso l’Unhcr aveva lanciato l’allarme per le condizioni di insicurezza proprio nella provincia del Nord Kivu, con oltre 100.000 persone costrette ad abbandonare le proprie case per combattimenti vicino la città di Beni e nel territorio di Lubero, teatro di scontri tra l’esercito congolese e i gruppi armati Mai-Mai.
Lavoro, assistenza, sviluppo
Di fronte a una così complessa situazione generale, la popolazione rimane “in attesa di una risposta sociale”, “chiede lavoro, chiede assistenza”, dice l’ambasciatore italiano in un momento che definisce comunque “epocale” dopo le elezioni di fine 2018, rimandate per due anni e tenutesi il 30 dicembre, che hanno portato alla presidenza Felix Tshisekedi. Sono state – osserva – “le prime elezioni definite pacifiche nel Paese, che hanno nei fatti trasferito il potere, dopo circa 18 anni, dal presidente Joseph Kabila al nuovo presidente”: “l’auspicio della popolazione – riferisce Attanasio – è che si riesca a agire velocemente”, dando risposta “alle richieste di sviluppo e di crescita che possano permettere un miglioramento delle condizioni di vita” del Paese. In questo quadro, il principale compito dell’ambasciata italiana a Kinshasa è “focalizzato” attorno alla “tutela della nostra collettività, che si compone di imprenditori e di numerose famiglie”, come pure di “tantissimi missionari e laici”: gli italiani in Congo sono circa 1.200, alcuni “vivono in zone remotissime” e “difficilmente accessibili” , ragion per cui – conclude il diplomatico – “è incessante l’attività dell’ambasciata per rimanere in contatto, ascoltarli e cercare di rispondere alle loro necessità” .