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«Filo diretto per accogliere gli italiani del Venezuela» Ambasciatore Placido Vigo (Giornale di Sicilia)

«Le decisioni più importanti le ho sempre prese ascoltando la mia coscienza siciliana. Anche ora nella delicatissima situazione Venezuelana». L’ambasciatore Placido Vigo, di Acireale, è da poche settimane il rappresentante italiano in Venezuela, Paese che sta vivendo una profonda crisi e dove le tensioni anche nelle ultime ore arrivano persino a paventare l’eventualità di uno scontro militare fra Stati Uniti e Russia. D’altro canto a lui non manca l’esperienza, dato che è stato in Libia dopo i missili su Lampedusa nel 1988, in Germania subito dopo la caduta del Muro di Berlino, in Argentina nel pieno della crisi economica.

Com’è la situazione in Venezuela?

«Particolarmente difficile e complessa, veramente molto imprevedibile. Noi tutti stiamo appoggiando il tentativo di dialogo in corso con la mediazione della Norvegia, il cosiddetto Tavolo di Oslo. Questo lavoro è fatto nella massima discrezione, col principio di segretezza, per cui non sappiamo bene quali sono gli aspetti tecnici all’esame delle delegazioni. Ci sono sei punti ma non conosciamo le priorità, e di recente è stato rinnovato l’appello alla massima riservatezza. Anche la rappresentante Ue Federica Mogherini con la sua esperienza e competenza ha dato validi suggerimenti. Sia chiaro che non c’è nessun’altra possibilità. Certo questa situazione non può andare avanti a lungo, è arrivata a un punto di non ritorno, la popolazione è allo stremo. L’altro giorno c’è stato un nuovo grande blackout in tutto il Paese, non sappiamo se per una questione tecnica o se per obbligare la gente a stare a casa nel giorno in cui doveva esserci una grande manifestazione».

In Venezuela ci sono moltissimi italiani. Che può fare l’Italia?

«Intanto ci stiamo muovendo proprio per loro, ho già incontrato otto comunità di nostri connazionali. Ci stiamo impegnando molto per garantire assistenza sanitaria gratuita agli italiani, dopo che grazie alla Direzione generale per gli italiani all’estero abbiamo già ottenute le medicine gratuite, in uno Stato dove non si trova niente. Noi siamo l’unico Paese che ha ottenuto l’autorizzazione per forniture mediche. Cerchiamo di lavorare a ogni iniziativa supplementare di appoggio concreto ai nostri connazionali. Per essere presenti e vicini stiamo lavorando alla diffusione sul territorio di consolati onorari e viceconsolati».

Ci sono molte nuove richieste di cittadinanza?

«Sì, come accadde quando ero in Argentina durante la crisi economica, anche perché la cittadinanza dà diritto all’assistenza che noi forniamo, e soprattutto permette di avere il passaporto in un Paese dove i documenti d’identità sono problematici. Se si hanno genitori o nonni italiani che non hanno perso la cittadinanza, il riconoscimento è automatico, per cui in situazioni come fu l’Argentina o ora il Venezuela facciamo più nuovi cittadini di una città come Acireale».

Che è la sua città: come è passato dalla Sicilia al mondo?

«Fu una pallonata a casa di mio nonno ai Tre Castagni sull’Etna. Da adolescente trovai dietro la scrivania i libri di storia di mio nonno, chiesi e mi dissero che voleva fare la carriera diplomatica ma poi dovette gestire i beni di famiglia, e allora io dissi “lo faccio io”. Poi ho studiato a Milano e a Roma e ho superato il concorso, cominciando la carriera tra Libia, Germania, Uruguay, Argentina, Panama, Bolivia, e periodi romani. Da ogni esperienza ho imparato qualcosa di più».

Cosa porta di siciliano nel suo lavoro?

«Tutto, la Sicilia è un valore che per un siciliano vero è nel proprio sangue. Tutte le decisioni più importanti le ho prese con il criterio basato sugli insegnamenti ricevuti dai miei genitori che a loro volta mi hanno trasmesso i principi profondi di una vera famiglia siciliana».

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