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Moavero: «Il mio omaggio a vittime e familiari Mai più nazifascismo omicida» (Il Tirreno)

Nel 2011, quando arrivò a Palazzo Chigi come ministro degli Affari europei, si rifiutò di utilizzare una scrivania che, si narra, fosse appartenuta a Benito Mussolini. Ai suoi collaboratori spiegò: «Sono antifascista». Punto. Stamani Enzo Moavero Milanesi, attuale ministro degli Esteri, europeista convinto in un governo a trazione leghista/ sovranista, sale a Sant’Anna di Stazzema, il borgo della Versilia dove 75 anni fa precisi i soldati nazisti della sedicesima divisione Reichsführer SS ammazzarono 560 persone, 130 i bambini. Lo stesso paese da cui, lo scorso anno, venne lanciata l’anagrafe antifascista – città virtuale che oggi conta oltre 44 mila abitanti – paragonata dal vicepremier Matteo Salvini a un’anagrafe canina. Moavero stamani terrà l’orazione ufficiale della cerimonia di commemorazione dell’eccidio.

Ministro, è la prima volta che viene a Sant’Anna?

«Anni fa sono venuto privatamente e considero doveroso tornare da ministro della Repubblica, nata proprio dopo l’atroce secondo conflitto mondiale. Ho accolto subito l’invito del sindaco di Stazzema, Maurizio Verona, e del direttore del Parco della Pace, Michele Morabito, che ringrazio.  È il 75° anniversario di una strage di inaudita crudeltà, perpetrata in quel terribile 1944 che vede l’Italia devastata dalla guerra e dai suoi orrori».

Il “Parco nazionale della pace” è stato voluto dall’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, di cui lei fu consigliere quando era a Palazzo Chigi: perché Ciampi riteneva così importante un ente come questo?

«Il Presidente Ciampi raccontava spesso di come visse la fase successiva all’armistizio dell’8 settembre 1943. Ricordo bene la genuina passione con cui svolgeva una vera e propria pedagogia civile, per rendere gli italiani consapevoli della loro storia recente, dei valori fondanti della Repubblica, della solenne simbologia del Tricolore. Lavorando con lui e nelle conversazioni frequenti, ho imparato molto su come si possano servire le Istituzioni pubbliche.

In particolare, credeva nell’efficacia del monito della memoria dei luoghi e dei fatti, come il Parco Nazionale della Pace, che pensando ai più giovani, considerava il più efficace degli anticorpi contro il rischio di veder riemergere i germi dell’odio e della violenza. In controtendenza a diffuse tesi storiche, il Presidente Ciampi diceva che la nostra Patria si è riaffermata nella coscienza di ciascun italiano nel momento di massimo disorientamento seguito all’8 settembre. Anch’io penso che allora iniziò un secondo risorgimento. Ed è per questo che sono qui oggi: per rendere omaggio alle vittime, ai loro familiari e conterranei, per condannare il nazifascismo omicida, per dire con forza: mai più».

Italia e Germania oggi si ritrovano insieme nell’Unione europea, realtà che per i nostri nonni era inimmaginabile: è una conquista che possiamo considerare acquisita per sempre?

«Per secoli l’Europa è stata afflitta da guerre, divisa da rivalità antiche. Dall’inizio del processo d’integrazione europea tutto è cambiato: quasi 70 anni di pace, vera e stabile, un’incredibile e positiva rivoluzione. Inoltre, le Comunità Europee e l’Unione Europea hanno portato un inedito diffuso benessere. Italia e Germania sono un eccellente esempio: popoli che si sono così sovente combattuti sono oggi amici e alleati stretti, pur continuando ad avere su varie questioni opinioni diverse e a discuterne, come è normale.

Dovremmo esserne più consapevoli e impegnarci per consolidare e completare l’opera, consci della sua potenziale fragilità, specie se si risvegliano fantasmi foschi del passato o velleitarismi separatisti».

Che cosa serve all’Europa per essere sempre più unita e solidale?

«L’attuale Unione Europea ha senz’altro bisogno di riforme: profonde e funzionali all’efficacia della sua azione. Inoltre, i governi degli Stati membri devono ritrovare la capacità e la volontà politica di essere davvero solidali e di condividere oneri e responsabilità. I fattori che stanno fiaccando l’Unione sono tanti: meccanismi istituzionali invecchiati, eccessi burocratici e regolatori, ripercussioni negative del minor peso europeo nel mondo globalizzato e della recente grande crisi economica, dissapori e nazionalismi di ritorno.

I cittadini lo percepiscono, sono delusi, insoddisfatti e si allontanano. È, dunque, indispensabile rispondere concretamente alle istanze che emergono chiare nei sondaggi: crescita economica e posti di lavoro, maggiore sicurezza, effettiva gestione dei flussi migratori, garanzie sociali, tutela dell’ambiente specie a fronte del cambiamento climatico. Sono sfide enormi che, all’evidenza, si affrontano meglio a livello europeo insieme, piuttosto che dei singoli Stati: ma occorre farlo agendo, con coerenza e determinazione, in un’ottica di risultato».

Lo spettro della guerra, come insegna l’ex Jugoslavia, non è mai scongiurato: coltivare la memoria di fatti come l’eccidio di 75 anni fa è sufficiente per metterci al riparo dall’abisso?

«Direi che questo è importantissimo, ma non è sufficiente. La memoria, il racconto va trasmesso con vigore: è il compito delle istituzioni, delle scuole, di ciascuno di noi. Inoltre, non dobbiamo mai dimenticare come gli orrori di cui parliamo, ebbero le loro radici in perniciosi discorsi d’odio e prevaricazione, all’inizio sottovalutati o peggio, pavidamente tollerati».

Quali azioni concrete può mettere in campo l’Italia per garantire la pace nel futuro prossimo?

«La nostra Costituzione è esplicita sulla collaborazione internazionale e la risoluzione pacifica delle controversie.

Non vedo alternative al restare operatori e promotori di pace, quale linea generale molto concreta di politica estera e, in particolare, quando le circostanze lo richiedano. Per esempio, lo stiamo facendo in Libia, preservando un dialogo inclusivo e sostenendo l’ONU».

Sei anni fa qui i capi di Stato di Italia e Germania si sono abbracciati in nome della riconciliazione tra i nostri due Paesi: c’è ancora bisogno di gesti così?

«Personalmente credo nell’importanza dei gesti, non penso sia retorica. Ne ho parlato diverse volte con il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas che condivide.

Fra noi c’è grande intesa; come quando ha subito compreso il significato della restituzione di un quadro rubato durante l’ultima guerra: così, il 19 luglio, eravamo insieme a Palazzo Pitti per effettuarla con la giusta enfasi».