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Terzi: così li riporteremo a casa

«La nostra linea non è cambiata, abbiamo mostrato fermezza con l’India sin dall’inizio, sempre cercando di non esacerbare i toni per non compromettere una situazione già delicatissima. Ma il procedimento contro gli italiani è illegale, sono militari impegnati nel contrasto alla pirateria, gravissima minaccia contro la quale sono impegnate la comunità internazionale e l’Onu». Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, difende la strategia del governo sulla crisi aperta dall’arresto dei due fucilieri. E promette «muovi passi» per riportare a casa i militari.


L’impressione è che, da quando il fermo è stato trasformato in arresto, la linea della Farnesina sia mutata, le pressioni sul l’India si siano fatte più forti. E’ così?


«Guardi, noi abbiamo seguito una linea molto determinata e responsabile sin dal momento in cui si è verificato questo incidente in mare. La strategia è quella di un rapporto con le autorità indiane molto fermo nell’affermazione di principi assolutamente irrinunciabili per il nostro Paese così come per qualsiasi altro Paese membro delle Nazioni Unite: quello di sovranità, che deve tutelare gli organi dello Stato operanti all’estero, come la piccola forza militare che era sulla Enrica Lexie, quello della giurisdizione della bandiera nazionale in acque internazionali, e il principio della collaborazione nella lotta alla pirateria. Questi tre principi li abbiamo affermati sin dal primo istante con molta fermezza nei confronti delle autorità indiane e poi, con il protrarsi della situazione, sensibilizzando e chiedendo il sostegno dei Paesi e delle istituzioni internazionali di cui facciamo parte. Questa è l’azione che abbiamo perseguito sin dall’inizio con toni che hanno cercato anche di non aggravare inutilmente la tensione con le autorità indiane, la cui collaborazione è essenziale per il trattamento dei nostri due uomini e anche degli altri che sono ancora a bordo della nave bloccata in porto».


Ma la prudenza non è servita a evitare il trasferimento in carcere.


«Noi continuiamo a perseguire questo filo di comunicazione con l’India cercando di evitare una frattura completa. Perché dobbiamo tutelare i nostri uomini in ogni modo possibile. Il fatto che siano in una struttura carceraria, pur tutelati da garanzie che abbiamo ottenuto faticosamente, richiede altri passi e altri tipi di interventi, che stiamo facendo sia sul piano della comunicazione pubblica, sul piano dell’azione diplomatica e anche in modo riservato per ottenere alcuni obiettivi immediati. L’ambiente nel quale ci muoviamo è, lo sapevamo sin dall’inizio, a noi molto sfavorevole. Per motivi politici, perché è in corso un’elezione locale, perché lo Stato del Kerala ha delle sue complessità culturali e politiche che portano facilmente ad esasperare i toni nei confronti degli occidentali e perché, dal punto di vista generale, l’India ha una posizione internazionale sempre più caricata sui toni della grande potenza aliena dal subire interferenze esterne».


Sono cambiati i rapporti di forza?


«Non abbiamo mai pensato in termini di un equilibrio di rapporti di forza tra noi e i Paesi emergenti, ma sta di fatto che questo è un Paese dove le pulsioni nazionali e l’assertività a tutto campo in politica estera è sempre più evidente. Lo si vede, per esempio, su tante questioni che riguardano le sanzioni all’Iran. All’assemblea generale delle Nazioni Unite molto spesso il voto dell’India non va in direzione degli interessi dei Paesi occidentali ed europei, ma si muove a beneficio di una visione terzomondista moderna. Per poter ottenere dei risultati bisogna essere consapevoli del contesto. Il processo, così come si sta sviluppando, e anche le prove che vengono esperite, anzitutto quella balistica, non consentono un giudizio sereno. E la mancanza di serenità la vediamo nelle reazioni pubbliche, violente, di accusa. Questo ci preoccupa molto e l’ho fatto presente m modo molto netto e aperto all’ambasciatore indiano, l’ho fatto presente a tutti i livelli nei nostri contatti. Noi contestiamo la giurisdizione indiana…»


Ritiene illegale il procedimento giudiziario?


«Il processo è fondato su presupposti sbagliati, quindi, non esistendo una giurisdizione, non avrebbe motivo di esserci. Ma nel momento in cui poi viene portato avanti ugualmente, dobbiamo pretendere la correttezza di uno stato di diritto, di un grande Paese, una grande democrazia, che si vanta giustamente di rispondere a tutti i principi internazionali e ci preoccupa che l’ambiente infuocato che si è creato, anche su spinta di autorità politiche, non vada in questa direzione».


Ora aumenterete le pressioni?


«E’ il governo nella sua interezza che continua a cooperare in questa vicenda ed è molto importante che ci sia questo sostegno all’azione di governo da parte della società civile, da parte del mondo politico italiano, e anche che i nostri due sottufficiali e i loro familiari sentano che il Paese li sostiene in ogni modo possibile ed è determinato a riportarli a casa».


Ma se fallisse la diplomazia, ci sono passi giuridici che l’Italia potrebbe compiere?


«Le relazioni tra Stati sono regolate dall’attività diplomatica, se questa fallisse vorrebbe dire che non si può risolvere il problema. Esistono delle vie giurisdizionali che sono complesse e molto lunghe, al di là di quanto credo sia tollerabile. Quindi serve il negoziato, con il sostegno di una comunità internazionale che appoggia gli stessi principi fondamentali, a partire dalla tutela dei propri militari impiegati all’estero. Questo è un principio che interessa più di 120 Paesi delle Nazioni Unite e che interessa gli indiani, che hanno circa diecimila uomini impegnati in operazioni di pace».


Restando nella stretta attualità, il supermartedì dei repubblicani Usa ha visto prevalere Mitt Romney, candidato ritenuto inevitabile. Ha ,qualche chance di battere Obama?


«E un passaggio importante questo SuperTuesday perché ha fatto vedere come Romney sia ritornato a essere il concorrente di testa con la vittoria in sei Stati. Naturalmente la corsa continua e ad un certo punto ci sarà una soglia critica di voti alle primarie per la convention repubblicana. All’inizio la strategia repubblicana era stata di giocare interamente sull’incapacità del presidente Obama di garantire la ripresa. Ma ora i dati economici continuano a migliorare».


Il capo della Casa Bianca deve anche affrontare, assieme al resto della comunità internazionale, le crisi dell’atomica iraniana e la rivolta siriana. Israele sarà costretto a intervenire?


«Ho seguito con molta attenzione il discorso fatto dal presidente Obama. Mi sembra che ci sia una precisazione di linea, ma sempre coerente con il percorso iniziale. C’è la possibilità di un negoziato serio – anche se finora siamo stati costantemente delusi. La pressione va esercitata sul piano delle sanzioni, e queste misure incidono nell’economia iraniana, negli aspetti più sensibili per l’attuale leadership e anche per la prosecuzione del programma nucleare».


Le sanzioni funzioneranno anche contro il regime siriano o siamo in presenza di una situazione ancora più complicata?


«C’è la sensazione che il regime di Assad sia veramente a fine corsa e che la soluzione più probabile sia quella di una alternanza secondo il piano che viene proposto dalla Lega araba».

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