L’Ambasciata italiana a Parigi, si presenta come un “teatro delle arti” unico nel suo genere in quanto il suo prezioso contenitore, un capolavoro dell’architettura francese, arricchitosi sempre più tra Sette e Ottocento, è giunto a dialogare, agli inizi del Novecento, con la preziosa collezione di dipinti, sculture e oggetti di provenienza dall’Italia, sublimando, in un felice connubio, stili ed espressioni artistiche di epoche diverse, con un grande e unico, per la sua rappresentatività, effetto decorativo finale. In tal modo l’originaria e già eletta Maison de Janvry, poi Hôtel de La Rochefoucauld Doudeauville, che ospita l’Ambasciata d’Italia dal 1936, esprime al meglio l’osmosi tra le due culture, la francese e l’italiana.
L’edificio originario, la maison Janvry appunto un hôtel particulier in rue de Varenne, nell’arco di quasi tre secoli, ha ricevuto importanti trasformazioni che però, nonostante le differenze temporali e le scelte eclettiche degli architetti e decoratori, hanno restituito sempre all’edificio uno “stile francese” che, nel tipico carattere di elegante e raffinato rococò, ha impreziosito di volta in volta, l’apparato ornamentale delle Sale, cornice architettonica e decorativa, propria della nazione ospitante ma non vincolante nel momento in cui dall’Italia giungevano capolavori da importanti musei di Roma, Bologna, Parma, Torino e Venezia. Tali opere, comunque, erano già ospitate a Parigi nella prima sede della residenza diplomatica, ossia l’Hôtel de Galiffet, al n. 52 di rue de Varenne, anch’esso un capolavoro architettonico dell’epoca di Luigi XVI, celebre per aver ospitato il ministro degli esteri di Napoleone, Talleyrand ed esser stato il primo luogo d’incontro tra Napoleone e Madame de Staël e oggi sede dell’Istituto Italiano di Cultura, Residenza diplomatica. La storia dell’attuale Palazzo de La Rochefoucauld-Doudeauville, un hôtel particulier sempre in rue de Varenne, nel quartiere del Faubourg Saint Germain, nel cuore di Parigi, ha origine nel 1732, quando, dopo l’acquisto di terreni, viene stipulato con l’architetto Jean-Sylvain Cartaud il contratto per la costruzione dell’edificio su commissione del finanziere Gèrard Heusch, signore di Janvry. Questi lo abiterà fino alla morte (1763).
Il rilievo dell’edificio, con 5 tavole espunte dai disegni su carta dell’architetto, viene pubblicato prima all’interno del trattato dell’ Architecture françoise di Blondel (1727) – un portfolio datato nel frontespizio 1727 – dove è detto che l’edificio venne iniziato nel “1732 e terminato nel 1733” ma in realtà la sua realizzazione è successiva.
Nella pubblicazione del libro di Jacques-François Blondel, comunque venne considerata come una delle architetture più armoniose dell’epoca, esempio di “nobiltà, sobrietà e grandezza”, principi architettonici che privilegiavano la funzionalità, al di là di ogni sovrabbondanza decorativa, propria dello stile rococò francese.
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Principale testimonianza architettonica oggi della fase fase più antica del Palazzo è il Grande Salone di ricevimento o Sala della Musica che risale agli anni trenta del Settecento. Qui si possono ancora ammirare i lambris a tutta altezza delle pareti a pannelli, le decorazioni agli angoli delle volte, in stucco in bianco e oro, le Allegorie entro cartigli dei Quattro Elementi: Aria/Giunone, Acqua/Anfitrione, Terra/Cibele e Fuoco/Venere e gli specchi. Questi apparati ornamentali originari erano citati nell’inventario del 1763, insieme alle scene galanti nelle parti alte delle pareti, riprese da soggetti pastorali realizzati da Boucher4. Sulla volta, l’originaria decorazione con amorini e strumenti musicali entro cartigli a rilievo è da riferire con ogni probabilità allo scultore decoratore François Roumier e alle incisioni da lui raccolte nel Livre de plusiers trophées de sculptures coins de bordures, da cui trasse i motivi per le decorazioni della chiesa domenicana di San Tommaso d’Aquino (1723). Allo stesso artista vanno attribuiti anche i trofei di caccia e i quattro Continenti dei pannelli laterali. Questo Salone, come gli altri, fu poi trasformato dall’architetto H. Parent nell’Ottocento. Nel 1782 l’edificio venne preso in affitto a vita da Jean – de Dieu – Raymond de Boisgelin de Cucé, arcivescovo di Aix-en-Provence (1770), un illustre rappresentante del clero agli Stati generali (1789). Alla sua figura è legato ancora oggi l’antico nome del Palazzo che abitò apportandovi diverse modifiche, documentate da quietanze per lavori (1786), palazzo che gli venne confiscato ben presto a seguito della sua partecipazione alla Rivoluzione francese che l’arcivescovo tentò di ostacolare, essendo poi costretto ad emigrare in Inghilterra (1792). In seguito il Palazzo, dopo alterne vicende, divenne, alla metà dell’Ottocento (1840) proprietà della famiglia de La Rochefoucauld e di Marie-Charles Gabriel Sosthène de La Rochefoucauld, Duca di Doudeauville, protagonista della Restaurazione e amante dell’arte. A costui ma anche a suo figlio, diventato duca di Doudeauville nel 1887 alla morte del fratello maggiore, è dovuta l’ampia ristrutturazione del Palazzo, diretta dall’architetto Henri Parent, anche scultore ed ebanista. Con Parent, infatti, in pieno Ottocento, probabilmente nel 1868 o anche prima furono realizzati lavori di trasformazione del Palazzo: l’ampliamento del giardino, la sopraelevazione dell’edificio, l’apertura di nuovi ambienti, l’inserimento di una scalinata monumentale d’onore nell’ingresso, in stile Luigi XIV, in marmi policromi su modello di quella della reggia di Versailles. Questo rifacimento, come anche la ridistribuzione degli spazi furono finalizzati a realizzare saloni e ambienti per ricevimenti che potessero entrare in comunicazione tra loro, all’occasione, attraverso porte con ante scorrevoli a scomparsa. Gli arredi, acquistati o realizzati da abili artigiani parigini dell’epoca, riprendevano la fastosa arte del Settecento francese, come ancora oggi si può osservare. Con tale spirito di recupero di un’epoca d’oro, vennero riutilizzate in diverse sale di rappresentanza al pianterreno e al primo piano, le boiseries provenienti dal Castello di Bercy nei pressi di Parigi, risalenti agli anni 1710-1720, edificio che era andato distrutto per liberare lo spazio urbano destinato alla gare de Lyon (1860); questo patrimonio recuperato e ricollocato ispirò e guidò le scelte decorative delle diverse sale. Così avvenne, infatti, per le sale del Mappamondo al pianterreno, des Jeux d’enfants di Ladatte al primo piano e per alcune stanze che si affacciavano sul giardino, che subirono profonde modifiche: Parent vi realizzò, infatti, impianti architettonico-ornamentali, alcuni adattati per ospitare le diverse boiseries del Castello di Bercy, talora con ingrandimenti o integrazioni decorative (Sala dei Jeux d’enfants, Salone Ladatte, Sala delle Allegorie, Piccola Sala da pranzo e Salone di Medardo Rosso), altri copie sempre da modelli di altre stanze della maison di Janvry (Sala del mappamondo), tutti ambienti eleganti e unitari per stile, pur se non originari o integri, ma sempre in linea con la tradizione del pastiche praticata all’epoca, soprattutto in territorio francese, di cui si aveva un autorevole omologo esempio anche nel castello di Versailles. Con la morte del Duca di Doudeauville (1908), l’antico Hôtel de La Rochefoucauld passò in eredità al nipote e al figlio per l’usufrutto, per essere poi acquistato (1937) dalla Caisse de dépôts et consignations del Governo francese che, a sua volta, lo cedette allo Stato italiano, in cambio dell’acquisizione in longe lease, del Palazzo Farnese di Roma, come sede dell’Ambasciata di Francia in Italia. L’Hôtel de Galiffet, invece, acquistato dal 1909 come Ambasciata, fu destinato ad ospitare l’Istituto Culturale italiano, come è ancora oggi. Tra il 1937 e il 1939 l’Hôtel de La Rochefoucauld-Doudeauville venne trasformato in sede dell’Ambasciata italiana: l’architetto incaricato fu Felix Bruneau, architetto “des Batiments civils et palais nationaux”, ente preposto alle commissioni pubbliche che venne scelto per realizzare importanti lavori di trasformazione dell’Hôtel6; questi s’identificano oggi nelle cosiddette nuove “sale italiane”, ossia nelle ali della corte e negli ambienti che si affacciavano sul nuovo giardino ove, peraltro, trovava posto anche il Teatrino siciliano, proveniente da Palazzo Butera di Palermo, una sala da pranzo “alla veneziana” e, nel sottotetto, gli appartamenti del Capomissione. In questa occasione vennero eseguiti anche alcuni restauri alle pitture delle sale con il lavoro di “240 giornate di artisti e pittori” ai sovrapporta ed ai soffitti en trompe l’oeil. Negli anni Quaranta (1936), a seguito dell’accordo tra la Francia e l’Italia per le sedi delle due Ambasciate, l’Ambasciatore Cerruti ricevette il compito di arredare l’Hôtel de Doudeauville, la cui architettura monumentale richiedeva un’adeguata decorazione presentandosi priva di arredi. Degna collocazione trovarono, dunque, alcuni arredi della dimora settecentesca, come la sontuosa serie di arazzi su disegno di Jean François de Troy, collocati lungo lo scalone d’onore, e la serie di tappeti Aubusson; e, inoltre, le boiseries, alcuni sovrapporta dipinti e arredi, come gli specchi dorati, le torciere e alcuni lampadari (1937-1939). Il nuovo allestimento si configurava come un’ottima occasione per illustrare l’eccellenza della cultura italiana all’estero, seguito personalmente dal Governo italiano, rappresentato dal Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano. Avrebbe dovuto confrontarsi, tra l’altro, con la magnificenza settecentesca del palazzo francese. Per rispondere degnamente a tale compito l’Ambasciatore Cerruti si avvalse della collaborazione di Adolfo Lowi, le “roi des antiquaires”, tra l’altro suo conoscente e amico. Nel 1937 vennero realizzati gli allestimenti di questi ambienti di cui il Governo italiano si era riservato, come si è detto, la decorazione: un ruolo essenziale, come è stato osservato, rivestì la collaborazione tra Loewi e l’Ambasciatore, impegnati alla progettazione della decorazione delle sale e all’acquisto di opere che potessero coesistere con la decorazione e gli arredi già esistenti: si diede così il via libera alla realizzazione di “stanze d’epoca” senza un eccessivo rigore filologico. Scartata l’ipotesi di trasferire dall’Italia a Parigi gli affreschi di Domenico Tiepolo da una sala di Villa Valmarana di Vicenza, furono acquistati i pannelli con i Paesaggi di Vittorio Amedeo Cignaroli, provenienti dal palazzo Peiretti di Condove di Torino (salone del Consiglio di Sardegna), artista rivalutato in quegli anni a seguito del prestito dell’originario zoccolo dipinto dell’artista prestato alla Mostra sul barocco piemontese tenutasi a Torino. Queste pitture vennero collocate nella stanza della Biblioteca ed anche, allo stesso tempo, sul modello della “Stanze cinesi” realizzate in occasione della stessa esposizione, veniva allestita nel palazzo di Parigi la Sala cinese. Lo stesso Loewi curava l’acquisto dei dipinti di Antonio Guardi provenienti da Palazzo Mocenigo di Venezia e degli affreschi settecenteschi collocati nella “piccola sala da pranzo, destinati ad essere inseriti sul soffitto e le pareti della sala dei pranzi ufficiali. Per quanto riguarda altri esemplari necessari ad incrementare gli arredi, la scelta si orientò sull’acquisto di oggetti e mobili di provenienza preferibilmente italiana, con pezzi di rilevante valore artistico per lo più settecenteschi e d’arte veneziana, per alcuno dei quali non si considerò eccessivo crearvi all’intorno “una stanza d’epoca”, stante la libertà di agire propria di quegli anni. Anche gli ambienti della Cancelleria vennero modificati cercando di aggiungere funzionalità all’edificio ma senza snaturarne il carattere originario di Hôtel particulier. L’Hôtel de Galiffet, nel 1938, venne lasciato dall’Ambasciatore che prese possesso della sua nuova sede nell’ex dimora de La Rochefoucault, ormai rinnovata a seguito dei lavori intrapresi nel 1937-39. Tra gli ambienti più interessanti e magnificenti dell’Ambasciata ancora oggi, è sicuramente lo scalone d’onore, in preziosi marmi multicolori, esemplificato sulla Scala della Regina di Versailles ove si fa ricorso alle stesse varietà di marmi presenti nelle diverse sale della Reggia di Luigi XIV, come il rosso del Languedoc, il marmo verde venato di rosso, detto di Campan Grand Melange, il marmo di Sarrancolin. Dall’ingresso, sono particolarmente degne d’interesse storico-artistico sia per l’apparato decorativo sia per gli arredi esposti, al pianterreno, la Sala del mappamondo, il Teatro siciliano, il Foyer, la Sala di Medardo Rosso, il Grande Salone con affaccio sul Giardino, il Cabinet cinese; al primo piano, il boudoire verde, il salone Ladatte, la Sala delle Allegorie e dei tappeti Aubusson, la piccola e la grande Sala da pranzo “di Guardi”, la Sala des jeux d’enfants e, infine, al secondo piano, la Sala da pranzo veneziana. Ogni ambiente si caratterizza per originalità ed eleganza, con arredi di pregio, antichi e moderni, appartenenti anche ad altre tradizioni artistiche come la Saletta cinese, con una circolarità anche temporale che arriva fino ad oggi, perchè di recente un artista contemporaneo, Pistoletto, ha inteso lasciare nel giardino dell’Ambasciata una sua affascinante opera che viene a rappresentare con i capolavori del passato, il simbolo dell’identità culturale italiana oggi in ambito europeo, oltreconfine.