Il quartiere diplomatico, per il quale tra il 1838 e il 1942 è stato previsto un piano di ricostruzione, ha nell’Ambasciata d’Italia la rappresentanza più significativa sia per la posizione cardine nella rete stradale sulla Tiergartenstraße sia per il rilievo dell’edificio in stile rinascimentale italiano e si distingue già solo per l’alta qualità dei materiali che vennero impiegati.
Il monumentale Palazzo che ospita l’Ambasciata italiana a Berlino rientra nel suddetto piano di ricostruzione della capitale del Reich e il suo architetto Albert Speer gli ha riservato, nel quartiere delle Rappresentanze diplomatiche, un posto di particolare rilievo.
L’edificio viene pensato proprio a scopo di sede di Ambasciata mentre in precedenza questa aveva avuto sede in una dimora privata tedesca in Viktoriastraße, costruita nel 1876-1877 dagli architetti Gropius e Schmieden e acquistata dal Governo italiano nel 1907. Nell’anno successivo qui viene ospitata la Reale Ambasciata italiana ivi rimasta fino al 1933, anno in cui diventa prima Casa del fascio e il Consolato generale, per esser poi distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il Governo italiano acquista dei terreni con due ville confinanti, tra luglio e novembre dello stesso anno, le due ville vengono unite e gli ambienti adattati alle diverse funzioni dell’Ambasciata che viene inaugurata il 15 gennaio 1934, per sei anni rimarrà la sede diplomatica italiana; in seguito verrà trasferita in un nuovo edificio che doveva far parte dei Piani di ricostruzione previsti per la nuova Berlino.
È possibile oggi valutare le ragioni delle complesse operazioni architettoniche eseguite negli anni che vanno dal 1938 al 1942, ove si evidenzia un’indubbia dissonanza tra i riferimenti alla cultura architettonica rinascimentale italiana – con echi anche di quella prussiana – e lo spazio urbano ove si colloca.
Risalgono all’anno 1938 i progetti per la nuova Ambasciata che vengono eseguiti dall’architetto Friedrich Heltzelt, proposto da Albert Speer dell’Ispettorato generale per l’edilizia; la costruzione inizia l’anno successivo, nel 1939, con l’elaborazione di diversi disegni, e termina nell’autunno del 1942, anche se già nel 1940, era conclusa l’ala della Cancelleria per fronteggiare i numerosi incarichi dell’Ambasciata durante la Guerra.
Il progetto della nuova Residenza diplomatica nasce nel clima del generale interesse del mondo tedesco per il Rinascimento, rientrando nel progetto di valorizzazione ideato dall’architetto Albert Speer per la nuova Berlino che prevedeva la creazione di due importanti edifici come massimi simboli di rappresentanza delle potenze alleate, l’Italia e il Giappone, entrambi collocati nel quartiere del Tiergarten. Speer sceglie come architetto Friedrich Hetzelt per la sua precedente esperienza nell’ edificio della vecchia sede diplomatica e per gli indirizzi in senso classicheggiante della sua cultura. Parimenti studioso della cultura tedesca, Hetzelt si entusiasma per l’arrivo dell’altare di Pergamo, ricostruito nel museo berlinese, e per le architetture antiche, tra le quali nei suoi disegni ricorre la ricostruita Porta di Mileto.
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In contrapposizione con l’edificio senza tempo del paese orientale, l’architetto Friedrich Hetzelt, infatti, per la nazione italiana, progetta, come simbolo grandioso, un Palazzo monumentale con una facciata “chiara e sacra come quella di un tempio”, capace di accogliere in sé tutte le metafore e le diverse espressioni storico-artistiche della classicità, assorbite dalla tradizione culturale italiana. Egli procede ad elaborare un’architettura italianizzante, frutto di un’accurata preparazione grafica ove sono evidenti le citazioni dal mondo assiro-babilonese, dal mondo greco e romano, dalle costruzioni quattrocentesche e, infine, dalle tipologie ricorrenti nei palazzi di Ferdinando Fuga, apprezzate anche da Hitler, con spunti dall’architettura prussiana. Altresì, l’architetto non si preoccupa di soddisfare i colleghi italiani del regime, come Marcello Piacentini, ma ripropone “nella sua architettura storicizzante” i suoi diversi intenti basati sull’idea di una classicità artificiale e di un mistico splendore della civiltà dell’Uomo nell’Antichità. Hetzelt progetta ambienti di dimensioni dilatate, sceglie la galleria come tipologia adatta non tanto per la sua funzionalità, alla maestosità degli ambienti, scegliendo materiali di ottima qualità come quelli per i pavimenti rivestiti da eleganti parquet e per i soffitti con cassettoni lignei intarsiati. Si dedica poi alla raccolta dei pezzi d’epoca rinascimentale in parte già esistenti nella precedente Ambasciata, portali in pietra serena, camini di marmo, edicole di alabastro e materiali vari che acquista sul mercato antiquariale. Il modello per Friedrich Hetzelt è il “palazzo rinascimentale italiano” non eseguito però secondo un legame con un modello concreto ma in una forma ideale che potesse dialogare con le tipologie urbanistiche di gusto tedesco. Il risultato oggi è infatti, molto diverso da un qualsiasi palazzo principesco italiano in quanto la valenza architettonica originaria – specchio della volontà del “Principe” di avere al tempo stesso un palazzo dalle caratteristiche di luogo di potere ma anche di cenacolo raccolto del sapere a servizio di una corte nobiliare colta e raffinata – viene ripensato per assumere le caratteristiche di funzionalità, in relazione alla destinazione, e di monumentalità attraverso ambienti interni giganteschi; inoltre, le “superumane dimensioni dei marmi e delle colonne”, sembrano voler dimostrare un potere sovrano oltre ogni limite che supera di molto qualsiasi modello di edificio italiano di corte. Il disegno longitudinale della facciata tradisce il desiderio di dare enfasi alla modellazione delle parti, con una scansione indipendente dalla suddivisione interna, con il piano nobile sottolineato da finestre molto grandi e il superiore mezzanino da finestre ridotte, con un cornicione al di sopra che nasconde il terzo piano per far risaltare il piano nobile. La natura propria di “territorio italiano” dell’Ambasciata è evocata finanche nei materiali scelti, come il travertino di Tivoli e ha richiesto all’epoca un’attenta valutazione dei criteri da seguire per adornare e nobilitare le sale di rappresentanza in uno Stato europeo così rilevante come la Germania. Il luogo fisico dell’incontro di due culture, l’italiana e la tedesca, è qui rappresentato, e non solo idealmente: è possibile leggere, infatti, nell’architettura guidata dall’utilizzo dei reperti rinascimentali, l’aspirazione a ricreare le condizioni storiche e artistiche di una elegante civiltà come quella rinascimentale italiana in linea con l’idea maturata già agli inizi del secolo scorso nel mondo tedesco ed esaltata dal nazismo. L’edificio secondo il programma urbanistico ha una divisione in tre ampie aree funzionali: un’area per la Cancelleria, una per la Rappresentanza e una per gli Appartamenti privati e la Foresteria. I preziosi pezzi architettonici trovano la loro collocazione: due camini uno rinascimentale e uno rococò nei due Salotti, maschile e femminile, un intero colonnato nel locale di passaggio tra la Sala a cupola e l’ampia galleria degli Arazzi; vengono montati anche lo stipite di una porta rinascimentale e una scala con due colonnine stilofore. Il salotto maschile viene coperto da un soffitto rinascimentale a cassettoni come anche lo studio dell’Ambasciatore, mentre una mostra di fontana marmorea viene posta nel Giardino d’inverno. Ogni ambiente si distingue, oggi, anche per gli altri arredi costituiti dalle preziose collezioni di Arazzi di secoli diversi (secc. XVI-XX) che coprono, con le loro ampie dimensioni, le monumentali pareti insieme a capolavori di ebanisteria italiana e tedesca. I bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno distrutto gran parte dell’edificio dell’Ambasciata e parte delle opere sono andate perse. Di questa distruzione resta testimonianza oggi nel cortile del palazzo, sopravvissuto in parte come pochi edifici del quartiere uscendo in parte indenne anche alle demolizioni effettuate. Nel 1949, a causa delle distruzioni della guerra, la sede dell’Ambasciata viene trasferita a Bonn e, nella casa di Tiergartenstraße rimane un Consolato Generale: il pianterreno viene rinnovato e le finestre di tutti i piani invetriate nuovamente. In quest’occasione alcune opere d’arte fanno ritorno a Roma. Bisognerà attendere diversi anni prima che si giunga alla ricostruzione della sede di appresentanza. Solo alla metà degli anni Novanta viene indetto un concorso a seguito del quale sono avviati i lavori. Il vincitore del concorso, l’architetto Vittorio De Feo di Roma, inizia i lavori nel 1999 che si concluderanno solo nel 2003 quando l’edificio inizierà nuovamente a rivestire le sue piene funzioni diplomatiche.