Nella Residenza diplomatica di Vienna il legame tra lo Stato italiano e lo Stato austriaco si trasforma da simbolo politico in sito monumentale attraverso la stretta convergenza tra il luogo, sin dalla sua configurazione nello spazio urbano, il proprietario del Palazzo e le opere d’arte in esso contenute, in gran parte capolavori fatti giungere dall’Italia a partire dal 1908, come si legge nei documenti d’archivio.
Gli interni dell’edificio, propri di una casa-museo, con una delle più significative raccolte d’arte delle Ambasciate italiane all’estero, sono quelli del Palazzo Metternich, sorto sul luogo ove, in origine, esisteva la proprietà del Gran Cancelliere con una propria Galleria d’arte.
La storia dell’edificio dell’Ambasciata, infatti, si lega indissolubilmente, alle complesse vicende del suo proprietario, il Principe Klemens Wentzel Lothar von Metternich (1773-1859), uno dei protagonisti della storia europea tra i sec. XVIII e il XIX e della sua casamuseo all’interno della quale esisteva una Galleria d’arte, rimasta famosa per i capolavori raccolti, in parte oggi confluiti nella residenza diplomatica attuale. Il giardino della Villa sita nell’area del complesso del Belvedere e di fronte alla chiesa delle Salesiane, occupa oggi lo spazio degli edifici poi demoliti, sul luogo ove preesistevano la vigna e l’edificio appartenuti alla principessa Esterhazy (1767). Tale villa, la cui configurazione, con palazzo e giardino, risulta dall’incisione di Joseph Daniel von Huber (1769-1774), e dalla scritta “First von Esterhazy”, sarebbe stata abitata dal Metternich, che avrebbe ereditato le proprietà sul Rennweg attraverso la prima moglie, Eleonore von Kaunitz-Rietberg, diventandone proprietario a seguito della morte del suocero, il Conte Cristoph von Kaunitz-Rietberg (1797). Su quest’area sarebbe sorta nel corso dell’ 800 la villa e il Palazzo Metternich.
L’edificio antico, come risulta da incisioni dell’epoca, si presentava nel 1769-1774, come una costruzione ad unico blocco con due prospetti, uno sul Rennweg da cui era separata tramite uno spazio verde trapezoidale, e una sul giardino retrostante. L’edificio, ricoperto da un tetto a spioventi, era a due piani: l’inferiore ricoperto da bugnato liscio e il superiore scandito da pilastri e semplici finestre quadrangolari1. L’unico movimento era dato dalla parte centrale aggettante, con un timpano terminale.
Il prospetto retrostante, invece, presentava una struttura più articolata con una doppia rampa e un ballatoio centrale al primo piano affacciandosi sul giardino ove erano parterre simmetrici, giochi di siepi ed anche un “teatro di verzura” circolare di alberi e alte siepi concentriche. Ai fianchi si snodavano lunghi viali alberati, con complicati intrecci di aiuole e siepi, soprattutto nel lato nord mentre ad ovest si estendevano coltivazioni con una serra a vasca ottagonale.
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Il complesso della villa passa di proprietà, dopo pochi anni (1785), al futuro suocero di Metternich. I numerosi impegni come Ambasciatore a Dresda, a Berlino e a Parigi, alla corte di Napoleone, tengono il Cancelliere lontano da Vienna e da quello che sarebbe diventato il suo “Palazzo d’Estate”, così denominato dal periodo in cui l’edificio veniva utilizzato. Nel 1809 con il suo rientro definitivo a Vienna, l’edificio ricomincia ad essere abitato, ospitando Metternich, nominato Ministro degli Esteri. Dal 1814, in relazione al Congresso di Vienna (1814-1815), il Palazzo diventa un importante punto di ritrovo della vita sociale e culturale di Vienna, ospitando incontri politici ma anche feste e banchetti. Un radicale cambiamento del gusto del Cancelliere, influenzato forse dalla conoscenza dei giardini inglesi, porta, nel 1815, ad una trasformazione del giardino e alla realizzazione di un piccolo edificio ad un piano, a pianta a croce e cupola, destinato a Sala da Ballo, soprannominata “Villa Metternich”: questa ospiterà il fastoso ricevimento dei membri del Congresso di Vienna il 18 ottobre 1814. In questo spazio, aperto in tutte le direzioni con ampie vetrate e portici, si evidenzia la vocazione del luogo sentita dal Cancelliere a ricreazione dello spirito e occasione di piacere, più che a dimora privata, come è stato correttamente osservato. Lo spazio verde viene ridisegnato con aiuole dai contorni indefiniti ed ondeggianti e con percorsi sinuosi rimasto famoso per le sue coltivazioni e gli svariati tipi di fiori, una limonaia e alcune piante esotiche3. La vita del Cancelliere, durante questo periodo, si divideva, a secondo delle stagioni, tra l’appartamento più austero presso la Cancelleria di Stato (oggi Cancelleria Federale) in Balhausplatz, e la villa, in cui trascorreva solo i mesi estivi e i momenti di riposo. L’impianto complessivo della Villa, per il suo classicismo proprio della cultura mitteleuropea della prima metà del sec. XIX, è stato messo in relazione con la dimensione estetica basata sull’identità di spirito e natura, sull’armonia delle proporzioni e dei numeri verso l’ideale della “vita estetica” espressa anche nelle opere di Beethoven e di Schiller. Nel 1825 Eleonore muore e due anni dopo Metternich sposa Antoinette von Leykam: la precedente residenza della famiglia della prima moglie non è più utilizzabile anche per le ridotte dimensioni e il Cancelliere decide di creare un nuovo edificio nel parco della villa. Nel 1835 il nuovo edificio è ricostruito dall’architetto ticinese Peter von Nobile (1774-1854) e dal Capomastro Peter Gerl, inglobando e modificando il padiglione della “Villa d’estate” realizzato precedentemente, nel 1814, come un museo per ospitare la ricca e preziosa collezione di sculture, pitture, bronzi e oggetti di svariate culture raccolti dal Cancelliere, fine cultore d’arte. La Galleria acquista notorietà per le opere raccolte, riconosciute poi come ineguagliabili capolavori d’arte di tutti i tempi: sculture di Antonio Canova, come l’Amore e Psiche, il Giorno e la Notte di Berthel Thorwaldsen, la Psiche di Tenerani etc. Dell’impianto si hanno interessanti testimonianze grafiche: rappresenta il gusto neoclassico e, come altri edifici dell’epoca in altri capitali europee, ricalca i modelli dell’architettura italiana di Palladio. Il primo Palazzo d’Estate, da poco restaurato, verrà demolito. Nel 1835 la nuova residenza, a un piano, è terminata, la rinnovata costruzione presenta un’ala parallela all’antica e a questa raccordata, in una forma a C del nuovo edificio. Nel 1837 Metternich acquista il terreno confinante a ovest della sua proprietà su cui già esisteva un edificio, il Toppelhofischenhaus, e avvia un nuovo ampliamento della Villa e del parco che vengono uniti all’edificio già esistente nel sec. XVIII sulla Rennweg e al giardino all’italiana, entrambi modificati (1846-1848). L’edificio, pensato come residenza permanente una volta terminati gli incarichi politici, mantiene il suo carattere di dimora privata, con ambienti di dimensioni non monumentali e una decorazione non particolarmente sontuosa del piano nobile, rispetto al resto. L’impianto, in relazione con gli edifici rinascimentali italiani potrebbe evocare, nei rapporti tra interno ed esterno, l’armonia di spazi costruiti e spazi aperti in una dinamica vicina alla rinascimentale Villa Farnesina di Agostino Chigi degli inizi del Cinquecento, su architettura di Baldassarre Peruzzi. L’architettura del nuovo edificio, attribuibile a Johann Julius Romano von Ringe e a August Schwendenwein von Lonauberg, è sobria e austera ma in stretta relazione con l’ambiente circostante e con il verde del giardino, attraverso una serie di finestre su tutti i lati: alcune parti vengono eseguite in legno, sullo stile e il gusto del francese Josephinum. Alla metà dell’Ottocento, la Villa si distingue per la sua eleganza e leggerezza, come si vede nelle litografie di E. Gurk e Edinger e in un acquerello di Rudolf von Alt (1848). Nonostante la volontà del committente di mantenere una dimensione privata alla sua dimora, nel 1848 il Consiglio Comunale di Vienna decide di apporre al palazzo “il diritto di catena”, collocando le catene, appunto, per preservare l’edificio, da eventuali incursioni e per differenziarlo, secondo la consuetudine dell’epoca, dall’edilizia borghese della città. Ancora in via di compimento alla metà dell’Ottocento (1846-1848), l’edificio risulta fortemente danneggiato durante la rivoluzione del 1848 e Metternich è costretto alla fuga prima in Germania, poi in Olanda, e in Gran Bretagna ed infine in Belgio. Al rientro dal suo esilio, con il permesso di Francesco Giuseppe (1851), può stabilirsi definitivamente nella nuova dimora, ormai portata a termine dai suoi familiari, e qui resterà fino alla morte che lo coglie otto anni dopo, a 86 anni (1859). La villa che aveva accolto i fasti della carriera politica del Cancelliere, da questo momento, convive con il nuovo composto palazzo della vecchiaia, senza alcuna relazione tra di essi. La severa linearità imposta al nuovo “Palazzo d’Inverno” sarà ripresa e portata avanti dalla compatta volumetria e dal gioco delle ali aggettanti di alcuni importanti edifici viennesi, come il Palazzo della Secessione del 1898. La villa Metternich, passata in eredità al figlio Richard, da quel momento in poi risulta abitata episodicamente per l’allontanamento di questi da Vienna, in veste di Ambasciatore di Francesco Giuseppe a Parigi, presso la corte di Napoleone III nel 1860. Nel 1873 la villa viene demolita completamente, per le difficoltà finanziarie attraversate dalla famiglia, e la proprietà Metternich lottizzata. Il Palazzo sopravvissuto che era passato alla moglie dopo la morte del marito Richard (1895), viene spogliato di tutti gli arredi e delle opere d’arte e sottoposto a sequestro con il resto del patrimonio. Nel 1908 lo Stato italiano lo acquista completamente spoglio e con i soli rivestimenti lignei, le specchiere fisse, gli ornamenti alle pareti e i caminetti che ancora oggi sono esistenti in alcune Sale. La Residenza del Re d’Italia presso la Corte degli Asburgo a Vienna e gli uffici della Cancelleria, all’epoca ospitati in Palazzo Palffy, vengono trasferiti nello stesso anno nel palazzo, di cui si decidono alcuni lavori di ristrutturazione. Questi sono compiuti nel 1910 con un ampliamento nella parte est del palazzo per la creazione di una Sala di ricevimento per il ballo all’Ambasciata, come la consuetudine locale richiedeva. L’ala est, leggermente sporgente, viene allungata, con una forma ad L dell’edificio e si realizza anche la sistemazione del piccolo giardino, evocando le prospettive dell’antico spazio verde con la sistemazione di statue antiche, grandi vasi di terracotta già di proprietà della Corona, viali ortogonali, vasca centrale ed emiciclo. A questi lavori, oltre cinquanta anni dopo, è seguita la ristrutturazione anche del secondo piano (1969). Dell’edificio originario di Metternich, i cui colori erano l’avorio e l’oro, come è stato dimostrato da studi stratigrafici, ci sono giunte solo alcune delle decorazioni a stucco dei soffitti delle Sale del piano nobile, risalenti alla metà del sec. XIX, come quella della Sala gialla o della Sala delle ghirlande. Anche del giardino antico, in origine esteso tra il Rennweg e la Reisnerstraße, resta piccola parte: l’antico emiciclo è evocato oggi dalla fila di piante e vasi disposti a semicerchio e da alcune sculture antiche, in parte trasferite all’interno, lungo lo scalone monumentale d’ingresso. Ancora all’esterno sopravvivono due interessanti frammenti seicenteschi, consistenti in due lastre di travertino ove è scolpito lo stemma del drago dei Borghese di Roma. I due pezzi membranacei presumibilmente appartenevano ad una panca o altro arredo del giardino Borghese che all’epoca di Marcantonio IV venne ristrutturato, ma anche depredato di numerosi arredi che vennero venduti e trasferiti in collezioni all’estero. Sappiamo, infatti, che, agli inizi dell’800 e forse già alla fine del ‘700, emigrarono dalla Villa numerose sculture tra cui la balaustra ellittica del Piazzale antistante l’edificio del Casino, transitata sul mercato antiquariale e portata in Inghilterra ove andò ad arredare una villa privata. Della statua, già al centro della fontana ottocentesca del giardino, rimane testimonianza nella copia conservata oggi nel Salone d’ingresso. Sempre dall’Italia, e, in particolare, dal Castello di Moncalieri, proviene la serie di grandi vasi in terracotta con lo stemma sabaudo, che hanno subito, però, un dubbio intervento di maquillage consistente nella ridipintura in vernice verde, che attende di essere rimossa, insieme al restauro delle colonne a fusto liscio con capitelli corinzi (Iª metà II sec. d. C.) e compositi (Iª metà III d. C.). La parte più consistente della Collezione archeologica è stata spostata all’interno e accompagna il visitatore che sale sulla rampa dello scalone monumentale. A destra e a sinistra, sono esposti interessanti pezzi che rivelano qualità, epoca e stile differenti ma che, comunque, necessitano di un complessivo intervento di recupero che ne restituisca la piena leggibilità, ad oggi compromessa dalla presenza di pesanti depositi di polvere, oltre che di sovra missioni di materiali non pertinenti, apposti in precedenti interventi.