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Giro: «Il Migration compact non può seguire il modello turco» (L’Unità)

Il Migration Compact messo a punto dall’Italia non è la riproposizione per l’Africa del «modello turco». E l’Europa farebbe bene a prestare ascolto al grido d’allarme lanciato da Medici senza Frontiere che hanno deciso, in polemica con i risultati di quell’intesa, di rifiutare ogni finanziamento dell’Ue. Ha il dono della chiarezza l’intervista con Mario Giro, vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale.

Il 20 giugno si celebrala Giornata internazionale del rifugiato. Per aggredire le cause che sono alla base di un fenomeno crescente, l’Italia ha presentato a Bruxelles il Migration Compact. Siete soddisfatti delle risposte fin qui ricevute?

«Non siamo ancora soddisfatti. Matteo Renzi il 18 maggio scorso ai leader africani a Roma aveva spiegato il Migration Compact come un grande patto euro-africano, in cui contestualmente negoziare grandi investimenti strategici, gestione comune dei flussi migratori e cooperazione nel settore della sicurezza e dell’antiterrorismo. La mia impressione, dopo aver letto la comunicazione al Consiglio europeo redatta dalla Commissione, è che si voglia depotenziare il piano seguendo le solite linee che finora si sono dimostrate inefficaci».

Cosa c’è alla base di questo atteggiamento riduttivo, frenante?

«Probabilmente una mediazione a livello della Commissione. Mi sembra che la Commissione debba avere più coraggio, tanto la mediazione si fa già a livello del Consiglio europeo. Infatti, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, dopo la Commissione, ha parlato soltanto di un “primo, piccolo passo”».

Da diverse parti, in particolare dalle ong impegnate sul campo nell’assistenza a migranti e rifugiati, si è paventato il rischio che il Migration Compact finisca per estendere al livello del Continente africano il modello turco. Come risponde a questo timore?

«Sgombrando il campo da questa ipotesi. No, il Migration Compact non è il modello turco, almeno non dovrebbe esserlo. Quel piano strategico è stato pensato perché fino ad ora l’Europa ha tenuto un rapporto micragnoso con i Paesi africani. Con il Migration vorremmo stabilire una partnership euro-africana alla pari, a parti uguali: le migrazioni, lo sviluppo e la sicurezza ci riguardano tutti, noi e loro, sono problemi globali e vanno affrontati in tal modo. Nella Commissione, invece, si parla prima di freno all’immigrazione, con pochi fondi e si rimandano gli investimenti ad ottobre. Così non può andare, in questo modo si depotenzia il patto del Migration. Infatti, sempre nel documento della Commissione europea, si parla di “ufficiali di collegamento” per le migrazioni e non di veri e propri inviati per il “Compact” che non viene mai citato».

In altri termini, si resta prigionieri dell’emergenzialismo”?

«Proprio così. Se vogliamo imprimere una svolta, dobbiamo applicare il “Compact” così come lo aveva pensato Carlo Calenda e gli uffici della nostra Rappresentanza a Bruxelles. Cosa può indurre gli africani a cooperare con l’Europa sulle migrazioni? L’essere presi sul serio come partner, l’ottenere in cambio un vero piano di investimenti, cooperare con noi sulla sicurezza la quale, tra l’altro, è una sfida più per loro che per noi. Lo Stato dell’Africa occidentale, qualunque esso sia, ha bisogno di sentirsi essere preso come un vero interlocutore, non di sentire la solita lezioncina europea, che tra l’altro non tiene conto della “accountability” e lascia irrisolte questioni cruciali legate ai diritti dei migranti»

Le ong più impegnate con i rifugiati chiedono all’Europa legalità e sicurezza. E un primo passo in questa direzione sono i corridoi umanitari.

«I corridoi umanitari sono un’altra politica concreta messa in campo dal governo italiano. Abbiamo segnali che certi Stati membri dell’Unione europea stiano copiando questo modello che coinvolge la società civile e che, peraltro, è a costo zero per l’erario. Con i corridoi umanitari si sposano insieme bisogno di sicurezza e accoglienza».

Ha fatto scalpore la decisione di Medici senza Frontiere di rinunciare, in polemica con gli effétti prodotti dall’accordo Ue-Turchia, ad ogni finanziamento Ue. Qual è la sua opinione?

 «Certamente Msf merita il nostro rispetto per quello che ha fatto e sta facendo. Non è un caso che sia, meritoriamente, Premio Nobel per la Pace. Il suo grido d’allarme va preso sul serio».

Sessanta milioni. Un Paese grande come l’Italia. É Io «Stato» dei rifugiati oggi.

«Davanti a questo fenomeno gigantesco, l’Italia fa la sua parte, come le viene riconosciuto a livello internazionale. Oggi 300 milioni di persone si spostano sul pianeta, di queste 30 milioni diventano schiavi, decine di migliaia muoiono in mari e deserti, solo nel Sinai sono 18mila i rifugiati sequestrati. È un popolo di bambini, di giovani e di donne. Un popolo dolente che cerca un futuro migliore. Ogni risposta burocratica e dilatoria non tiene conto di questo dramma. Le proposte italiane (corridoi e Migration) non sono solo una risposta ragionevole ma anche un grido di rivolta, morale e politica, davanti a un fenomeno di tali dimensioni e che durerà».

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