Da piccolo Nicola Bellomo sognava la «feluca» tricolore e un’assegnazione esotica in Asia. Ci è andato vicino. Oggi, a soli 50 anni, in un certo senso è ambasciatore «anche» dell’Italia, giacché presta servizio per il Servizio esterno dell’Unione europea che è una sorta di ministero degli Esteri dell’Ue, ma nell’esotica Africa, in Ruanda. «E sto per tornarci – dice a La Gazzetta del Mezzogiorno in una pausa delle vacanze trascorse in Puglia – assieme a mia moglie, Claudia, e ai miei due figli di 11 e 8 anni».
La seguono in Ruanda?
«Mi seguono ovunque. Pochi giorni e torniamo a Kigali».
Il Ruanda fa venire alla mente il genocidio. Sono passati 25 anni, quei colpi di machete nella carne viva che segni hanno lasciato nel Paese?
«È stato uno dei genocidi più incredibili della storia dell’umanità: in 4 mesi, un milione di persone, da aprile a luglio, furono ammazzate con modalità assai cruente. In soli 25 anni il Paese si è però trasformato. Il visitatore di oggi fa fatica a credere a quanto qui è accaduto. E questo è stato merito di una politica di riconciliazione voluta dal presidente Paul Kagame; è la cifra della sua presidenza. Con una grande forza di volontà, hanno cercato di dare fiducia ai giovani. Ed è importante perché è uno dei Paesi più giovani al mondo, il 70% della popolazione ha meno di 30 anni…».
D’accordo ma la speranza di vita è 39-40 anni.
«Sì ma si stanno facendo progressi in tutti gli indicatori, inclusi quelli dell’aspettativa di vita e della mortalità infantile. Per esempio, moltissimi Paesi africani generano emigrazione mentre in Ruanda si genera emigrazione “al contrario”, si sta generando l’acquisizione di intelligenza perché molti ruandesi che hanno studiato all’estero ritornano in patria».
Come il presidente Kagame che ha studiato negli Usa?
«Esiste una élite, ma ci sono anche meritevoli ragazzi che hanno borse di studio, anche dall’Ue. E loro ritornano in Ruanda perché si sentono parte di questo processo di sviluppo e vogliono parteciparvi».
In effetti, i residenti ruandesi in Italia (dati Istat), sono davvero pochi. E la Puglia è la terza regione per numero di immigrati, dopo Lazio e Lombardia.
«Sì ce ne sono pochi proprio per questo motivo, molti stanno rientrando in Ruanda».
La sua nomina ad ambasciatore a Kigali risale al maggio del 2017. Ad agosto, Kagame vinse le elezioni con il 98% dei voti e s’avviò il suo terzo mandato. C’è pure un emendamento costituzionale (del 2015) che gli garantisce la possibilità di restare al potere fino al 2034.
«In effetti io sono arrivato a Kigali dal gennaio 2018. E il presidente Kagame, più che restare al potere, può ricandidarsi, per altre due volte. Ma gode di un grandissimo sostegno popolare. Questo orgoglio e la riconciliazione sono condivisi da una vasta maggioranza della popolazione. Se dovessi dire qual è la cifra di questa presidenza, direi che è generare un senso di partecipazione. Anche se c’è un forte dirigismo, c’è un forte consenso nella popolazione e un ampio spazio viene dato alle donne. È il Paese con il più alto numero di parlamentari donne al mondo».
Il Paese ha tante “anomane” positive rispetto ad altri Paesi africani e occidentali: è plastic free dal 2008, è stata abolita la pena di morte dal 2007, l’istruzione è gratuita fino ai 14 anni, e recentemente le donne possono abortire, in determinati casi, senza rischiare di finire in prigione.
«Esatto. C’è un trend molto positivo. Il Parlamento è costituito per il 61% di donne e si sta generando un “ecosistema” del business molto favorevole. Attraggono investimenti. Non esiste praticamente corruzione e ciò ne fa un interessante laboratorio di impresa. Un’azienda la crei in 6 ore, la registri on line. Molti di investitori esterni considerano il Paese come un “hub” per il continente».
Forse l’Italia potrebbe prendere qualche ispirazione.
«Per certi versi si. La lotta alla corruzione è un punto qualificante».
Il costo del lavoro è risibile rispetto all’Italia.
«Si è molto basso».
Quanto basso?
«Difficile fare stime attendibili».
I dati parlano di gente che vive con 2 euro al dì.
«La soglia di povertà è di 2 euro e c’è una fascia della popolazione che vive al di sotto di quella fascia. Resta un Paese molto povero ma che, grazie a questi sforzi e agli investimenti in formazione e sanità, sta avendo un ritorno positivo e credo che, nel medio-lungo periodo, i numeri cambieranno».
Va anche detto che la libertà di stampa non esiste. Quindi sarà che c’è vasto consenso popolare ma non ci sono neppure spazi democratici per il dissenso.
«In realtà quella potrebbe essere una percezione, si sta generando un processo di trasformazione della stampa. E noi, Unione europea, investiamo molto sulla libertà di stampa».
Non ci sono giornali liberi.
«No ma, con i social media, c’è l’avvento di una stampa online che è più libera per definizione e li non è che arrestano sempre i blogger. E chiaro che, con i nostri codici e il nostro modo di interpretare i fenomeni della democrazia, potremmo arrivare a conclusioni affrettate. Forse un Paese come il Ruanda ha bisogno di più tempo per completare un processo di formazione che, altrimenti, non si potrebbe generare. Se si dovessero aprire gli spazi come li vediamo noi si correrebbe il rischio di tornare indietro di 25 anni. La governance attuale non può prescindere dal punto di partenza, sono consapevoli che il loro obiettivo è generare senso di appartenenza ad una comunità e percepiscono le divisioni politiche, intese come noi le vediamo, come un fattore di rischio».
Quando dice «percepiscono», lei parla dell’estabilishment?
«Si, loro hanno generato questa dottrina del consenso. Guardi che il Ruanda è la seconda economia per tasso di crescita al mondo (tra il 7 e il 9%). E dicono “ora lasciateci stare, dobbiamo consolidare questo periodo e dare un dividendo alle nostre popolazioni, per superare questa fase”. Hanno un ambizioso progetto di politica di sviluppo che sta suscitando moto interesse. L’Ue è il primo partner per investimenti e rapporti commerciali e guarda a questo esperimento con interesse perché sta generando stabilità. Kagame, che è un grande panafricanista, sta cercando di portare avanti anche l’integrazione africana e sta spingendo per la creazione del mercato di libero scambio in Africa, l’AfCfta».
E l’Italia in Ruanda?
«Non ha una missione diplomatica. L’ambasciatore in Uganda è accreditato anche in Ruanda. Ma c’è un crescente interesse dell’Italia e c’è una missione dei Carabinieri, formano le Forze speciali».
Se posso dirle la verità, la difficile scelta tra l’abisso e la stabilità, è un tema ricorrente nella storia di vari Paesi. Arduo da accettare.
«Sì ma se uno viene in Ruanda si vede che è un contesto condiviso. La gente comincia cogliere il peso della responsabilità di girare pagina, per farne un modello di integrazione. C’è anche un fortissimo sostegno all’innovazione, c’è un proliferare di incubatori di start up e questo genera molta positività. Sto vedendo un fermento – ed è il mio 14esimo anno in Africa – che non ho mai visto prima. E questo significherà pure qualcosa. Anche se, come Ue, non ci sottraiamo al dialogo, molto franco, con le istituzioni, con cui discutiamo anche di questioni controverse. Ma si deve tenere in conto che, ai confini, abbiamo Paesi dove le questioni di gender e l’aborto sono tabù. In Ruanda anche la libertà religiosa è un altro pilastro. E vorrei aggiungere che anche l’industria creativa sta conoscendo un momento di grande fermento e sta suscitando grande interesse. Così come il settore del turismo che rappresenta una delle più grandi opportunità di sviluppo e occupazione. Settori al cui supporto sono personalmente impegnato. E invito tutti a visitare il Ruanda per scoprire un Paese straordinario, ricco di attrazioni e umanità».