Caro direttore, la proposta lanciata dal «Corriere della Sera» di istituire una giornata dedicata a Dante Alighieri è dawero stimolante. Ci avviciniamo al settecentesimo anniversario della sua morte, nel 2021, e trovo sia un’idea eccellente celebrare Fanniversario con un’iniziativa, di questa portata, dal forte significato per tutti noi italiani.
Dante è parte integrante e indelebile della nostra formazione. Chi non ricorda 1’incontro con lui, sui banchi di scuola? In molti sappiamo a memoria endecasillabi e magari terzine della sua Divina Commedia; ci siamo cimentati a studiarla e a comprenderla: è stata la compagna dei nostri anni adolescenziali, ha contribuito a farci crescere. Siamo debitori a Dante di una lingua, di una cultura vasta ed eclettica, di una visione politica, di una profonda religiosità. Celebrarlo al massimo livello, penso, sia un nostro dovere.
Da quando ho preso funzioni al ministero degli Esteri, ho rafforzato il convincimento preesistente circa il ruolo cruciale svolto, nel mondo, dalla cultura plurisecolare di cui l’Italia è portatrice. In questo campo non vi è dubbio che siamo guardati con immenso interesse e unanime riconoscimento. Il nostro indiscutibile peso culturale contribuisce, in maniera decisiva, al lato positivo della nostra immagine presso gli altri popoli. La reputazione dell’Italia ne trae grande giovamento e nelle mie missioni all’estero ho constatato spessissimo come rappresenti un ottimo biglietto da visita.
La lingua italiana, in particolare, si rivela un efficace strumento. Fra le più studiate al mondo, è considerata una porta essenziale per conoscere e apprezzare meglio la nostra cultura, nelle sue multiformi manifestazioni. Inoltre, costituisce un legame potente con gli italiani che vivono all’estero; i quali ritrovano nella lingua un
nodale fattore identitario che rinsalda le radici patrie, talvolta lontane nel tempo. Anche fra loro c’è un rinnovato fermento per apprendere, migliorare, corroborare la conoscenza dell’italiano; lo vedo ogni volta che li incontro.
Ecco, penso che sia proprio in questa cornice più vasta che vada considerata l’eredità viva e vitale dell’opera di Dante. Magnifica a leggersi, emozionante quando la ascoltiamo interpretata; ma soprattutto, architrave della lingua che parliamo e che tanti si impegnano ad apprendere. Dante è iscritto, a pieno titolo e pervasiva- mente, nel codice genetico dell’italianità, contribuisce con la sua poetica e la sua prosa al nostro sentirci comunità, dentro e fuori dai confini territoriali politici.
Per questa ragione, desidero sostenere con convinzione la proposta di una giornata nazionale che celebri il Sommo Poeta e con lui la prolifica lingua italiana. Anzi, a dirla tutta con franchezza, non averla è un’ingiustificabile lacuna da colmare al più presto. Trovo anche molto bella la denominazione proposta: Dantedì, opportunamente e intelligentemente italiana, dal suono fresco e vivace anche a un orecchio non madrelingua. Può sembrare ovvio, ma non lo è affatto in tempi di dilagante, non di rado incredibile e inaccettabile, inquinamento di termini stranieri.
L’iniziativa del «Corriere» può contare sul mio impegno personale. La stessa azione della Farnesina a favore della cura e della diffusione dell’italiano nel mondo, in atto da tempo, viene costantemente intensificata e trova ulteriori spinte in proposte catalizzatrici come questa. Siamo al fianco di Dante e della ricorrenza del 2021, con le sue celebrazioni che divulgheremo ovunque, attraverso la rete diplomatica e consolare.
Con il più cordiale saluto ai lettori del «Corriere».