Roma – Antonio Tajani, ministro degli Esteri: dopo l’attacco ad Israele del 7 ottobre si è innescato un effetto domino in tutta l’area del Medio Oriente. Ora tocca alla Siria.
«L’attacco terroristico di Hamas a Israele ha scatenato un incendio in Medio Oriente che anche il governo italiano, in questi mesi di presidenza G7, ha provato a contenere per favorire il rilancio del processo politico in tutta la regione. Adesso la fiammata in Siria: Assad è caduto perché il suo regime si reggeva solo sul sostegno di Hezbollah e dell’Iran, indeboliti dal confronto con Israele. La stessa Russia, che ha potenti aerei da caccia in Siria, si è dimostrata troppo impegnata sul fronte ucraino».
Che si aspetta ora?
«Sulla Siria adesso il primo impegno è la sicurezza dei nostri connazionali, mentre parallelamente dobbiamo capire come operare politicamente, tenendo di vista gli assetti futuri del Paese. Alcuni punti sono però fermi, e su questo anche con il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, che ho sentito al telefono, ci siamo trovati d’accordo: integrità del Paese, tutelare la popolazione e salvaguardare le minoranze religiose ed etniche, anche per evitare un collasso migratorio».
Noi avevamo appena mandato un ambasciatore.
«La Siria è di fronte a noi, è nel Mediterraneo, ogni terremoto in quel Paese si ripercuote sulla nostra sicurezza e su quella dei nostri alleati. Non possiamo rimanere alla finestra a guardare. E con noi tutta l’Europa. Siamo in prima linea nel sostegno alla popolazione civile: per questo due settimane fa il governo ha inviato un ambasciatore, non certo per sostenere il regime e infatti non ha consegnato le credenziali ad Assad».
Cosa si aspetta l’Italia?
«Il popolo siriano vuole prendere un cammino di libertà. È importante che la transizione sia pacifica e che non vi siano violenze, che il Paese resti unito e non finisca preda dei terroristi che potrebbero voler sfruttare questa fase».
Le risultano connazionali in pericolo?
«Dall’inizio della crisi ho mantenuto un contatto costante con l’ambasciatore. Una missione più delicata nelle attuali circostanze ma ancora più importante per mantenere aperto un canale attivo di comunicazione e conoscenza. In un contesto così fluido è importante la massima prudenza, per questo stiamo invitando tutti a restare a casa: ci sono bande di criminali in azione. Ieri alcuni uomini armati sono entrati nel giardino della residenza dell’ambasciatore e hanno rubato alcune automobili. L’ambasciatore Stefano Ravagnan e i carabinieri sono al sicuro, ma continuano a lavorare per i nostri connazionali: solo l’altra notte una quindicina di connazionali sono arrivati in Libano, guidati dall’ambasciata, e gli altri sono seguiti dai nostri diplomatici. Ripeto: la protezione dei connazionali è la prima missione».
In Siria ci sono molti cristiani. Come proteggerli?
«Il governo italiano è mobilitato: dal 27 novembre, quando è partita l’azione dei miliziani, abbiamo stretto i contatti con il Nunzio apostolico a Damasco, con i religiosi cristiani presenti nel Paese, con la stessa Santa sede. Quando è stato colpito dai russi il Terra Sancta College dei frati francescani ad Aleppo, ho sentito il Padre custode Patton e poi ho detto alla nostra ambasciatrice a Mosca di chiedere attenzione al ministero degli Esteri russo. Il nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Zenari, riferisce che per il momento i ribelli stanno rispettando le promesse. Ne ho parlato anche con il ministro turco Fidan, mi ha assicurato il proprio impegno per assicurare perché i ribelli mantengano un comportamento rispettoso».
Teme sia in arrivo un’ondata di profughi?
«Tema non secondario, per noi, l’Ue e innanzitutto per gli Stati arabi della regione, a cominciare dal Libano martoriato. Una situazione di incertezza prolungata, di caos o una deriva estremista avrebbero certamente un impatto molto grave. Noi vogliamo una Siria finalmente libera e pacificata, la aiuteremo come Italia e come Europa ad avviare una ricostruzione attesa da troppi anni. Ma chiediamo garanzie a chiunque governerà il Paese, e lo faremo assieme a tutti i Paesi arabi della regione».
Assad era un dittatore, ma cosa pensare delle milizie islamiche che oggi stanno prendendo il potere?
«I ribelli che hanno deposto Assad sono una galassia molto ampia, espressione di un popolo che da troppo tempo era oppresso da una brutale dittatura. Il rischio estremismo e di un ritorno dell’Isis va evitato, come Italia e come Europa siamo in prima linea per favorire il dialogo politico e la transizione. Parliamo con tutti i partner arabi che avranno un ruolo cruciale».
Da presidente del G7, l’Italia che linea indica?
«È cruciale il lavoro di squadra: il G7 è in prima linea ma si deve allargare al massimo il numero dei Paesi con cui collaborare. L’Ue ha un ruolo fondamentale, ne ho parlato con i nuovi Commissari europei e con l’Alto Rappresentante Kallas, anche le Nazioni Unite hanno un ruolo cruciale. La Siria è un tassello di una crisi poderosa che non possiamo trascurare».