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Tajani: sul golden power rispettiamo il diritto Ue

Il ministro degli Esteri dubita che le nozze Unicredit-Bpm siano un rischio per la sicurezza nazionale. E propone un grande mercato unico senza tariffe tra Europa, Stati Uniti, Canada e Messico

Golden power stile Ue

Il golden power su Unicredit-Banco Bpm? «Ho dei dubbi sull’esistenza dei rischi per la sicurezza nazionale». I contrasti tra Roma e Parigi su Stm? «L’Italia non rinuncerà alle sue prerogative d’azionista». L’aumento della spesa per la difesa? «Potremmo anche derogare al Patto di Stabilità e Crescita». E i dazi di Trump? «Un vero obiettivo strategico per tutti noi sarebbe un grande mercato unico senza tariffe tra Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Messico». Antonio Tajani fa il punto sulle più importanti questioni di politica internazionale e interna. Il ministro degli Affari Esteri e vicepremier italiano parla con MF-Milano Finanza dalla terrazza del suo hotel a Brescia, dove giovedì 5 giugno ha incontrato il ministro indiano del Commercio e dell’Industria, Piyush Goyal, per rafforzare un interscambio che nel 2024 ha oltrepassato 14 miliardi di euro. L’Italia si muove in parallelo a Bruxelles per aprire nuovi mercati e tamponare i possibili effetti negativi dei dazi di Donald Trump. Ma ora con l’Ue potrebbe aprirsi uno scontro perché la Commissione teme che il golden power su Unicredit-Banco Bpm sia incompatibile con il diretto europeo. «Forza Italia ha manifestato sin da subito delle riserve sulla base giuridica del provvedimento», dichiara Tajani, parole che indirettamente forniscono un assist al ceo Andrea Orcel. «La nostra linea è prevalsa e mi sembra che si sia instaurato un dialogo costruttivo tra Unicredit e governo».

Domanda. Si arriverà alla riscrittura del decreto?

Risposta. Le prescrizioni non devono essere modificate per forza, può bastare un’interpretazione conforme al diritto comunitario. L’importante è trovare una soluzione evitando bracci di ferro nella maggioranza e con la Commissione, ricordandoci che l’obiettivo finale è sempre la tutela delle imprese italiane.

D. Cosa intende?

R. Ci sono 270 aziende italiane attive in Russia nel rispetto delle sanzioni, quindi ho delle perplessità sulla prescrizione che impone a Unicredit di lasciare il Paese entro nove mesi. Significherebbe abbandonare le nostre imprese a sé stesse perché senza quella banca resteranno prive dei servizi necessari per operare a Mosca. Anche per questo è importante che prevalga il buon senso e proceda il dialogo costruttivo già avviato.

D. Eppure il Mef continua a sostenere che il provvedimento non cambierà.

R. Io mi auguro che si arrivi presto a una soluzione. La politica dovrebbe limitarsi a indicare le regole, contenendo la presenza sul mercato: il successo delle imprese deve dipendere dalla competizione reciproca.

D. In società come Stm però gli Stati sono soci. Lo scontro tra gli azionisti Italia e Francia sulla governance della società di chip si è inasprito. Si può risolvere?

R. Come per Unicredit deve prevalere il dialogo, ma questo non significa trascurare le nostre prerogative. Come Paese non possiamo rinunciare alla nostra presenza in Stm, che deve essere conciliante ma non arrendevole, due concetti ben diversi.

D. Anche lei esclude la scissione in due della società?

R. Non procederemo in questa direzione. Penso piuttosto che serva una soluzione vincente per tutti. In passato le divisioni tra Italia e Francia hanno favorito la Russia in Libia, quindi è meglio adottare un atteggiamento europeista. Ma il significato di questo termine va chiarito: non apriremo le porte alle altre imprese Ue se gli altri governi non faranno lo stesso, come è successo a Unicredit in Germania o a Fincantieri in Francia.

D. Finora l’interesse europeo ha unito gli Stati membri sui dazi. Il negoziato con gli Usa avanza ma un accorso resta lontano.

R. Ogni trattativa richiede lunghi dialoghi che servono per comprendere appieno le posizioni reciproche. L’Ue deve aprire ad alcune richieste americane, senza piegare la testa. Esiste un disavanzo commerciale a nostro vantaggio che dobbiamo colmare investendo e comprando di più dagli Stati Uniti. Così riusciremo anche a incrementare l’export sul mercato statunitense, che resta prioritario.

D. Trump pretende dei passi indietro sull’Iva e sulle regole per le big tech. Possiamo accettare?

R. Le concessioni dovranno essere reciproche per trovare un’intesa win win. Io resto ottimista perché gli Usa hanno raggiunto un accordo con Cina, Messico e Canada, e lo troveranno anche con Bruxelles. Come Italia aiuteremo la Commissione a negoziare, senza dimenticarci di tutelare la produzione nazionale e portando avanti una visione a 360 gradi.

D. Cioè?

R. La priorità dell’Europa deve essere un grande mercato unico senza dazi con Canada, Usa e Messico, ma non sarà facile. Per superare le tensioni commerciali, nel frattempo conviene esplorare altri sbocchi ed entro fine anno spero che l’Ue annunci tre accordi di libero scambio con Mercosur, Messico e India.

D. Quali vantaggi offre il paese asiatico all’Italia?

R. E’ il più popoloso al mondo ed è la base di partenza del corridoio Imec, che arriva a Trieste e rappresenta un’alternativa alla Via della Seta cinese. L’India è un’opportunità per le nostre aziende, soprattutto quelle vinicole, dell’energia, dello spazio e della componentistica: speriamo che possano creare presto delle joint venture con gli indiani in Africa e Sud America. Dal Ministro del Commercio Goyal ho ricevuto importanti aperture sull’importazione nel suo Paese dei vini italiani di gamma medio alta. Relazioni più strette con New Delhi ci aiuteranno a spingere l’export dagli attuali 623 miliardi ai 700 miliardi che ci siamo posti come traguardo di fine legislatura.

D. Dalla Nato arriverà un altro obiettivo: portare la spesa per la difesa al 5% del PIL. Quanto ci impiegheremo.

R. Servirà tempo. Abbiamo rispettato il precedente target del 2% e ora dobbiamo capire come aumentare gli investimenti militari trattando con gli americani. Certo, sarebbe una contraddizione se gli Usa ci imponessero dei dazi e poi ci chiedessero di spendere di più per la difesa.

D. Ma dove troveremo le risorse? II debito pubblico italiano è tra i più alti al mondo.

R. Anche l’Italia potrebbe derogare al Patto di Stabilità e Crescita come suggerito dalla Commissione. E’ una via su cui ci confronteremo nel governo e io non sono contrario a priori. Dovremo però spiegare ai cittadini perché non la seguiremo anche per la sanità o l’istruzione. Agli italiani faremo capire che la sicurezza è un’idea più ampia dei soli carri armati, che comprende le infiltrazioni terroristiche e la cybersicurezza. Per riuscirci ci concentreremo sulle infrastrutture con usi anche civili, come il Ponte sullo Stretto, che rientra nel concetto di difesa visto che la Sicilia è una piattaforma della Nato.

D. A proposito di Alleanza Atlantica, gli Usa non riescono a fermare la guerra in Ucraina. La pace è possibile?

R. Vladimir Putin continua a smarcarsi adducendo come scusa le rappresaglie ucraine, ma se le subisce è perché ha attaccato per primo. Il tema anche in questo caso è economico. La Russia ha un esercito di un milione di uomini, ciascuno di loro pagato il doppio di un operaio. L’industria di Mosca è stata riconvertita in bellica, quindi a Putin serve tempo per smantellare la sua economia di guerra. Resto prudente sulle sanzioni, ma in assenza di concessioni russe potremmo utilizzarle per privarli dei soldi per gli stipendi dei soldati. Per convincere il governo russo a scegliere la via della trattativa. La priorità resta la pace, che passa però dalla sicurezza dell’Europa e dell’Ucraina.

 

  • Autore: Luca Carrello

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