Le foto dei bambini di Gaza le ha viste, come tutti, anche Antonio Tajani.
«Inaccettabile, inaccettabile…», ripete più e più volte il ministro degli Esteri. «Inaccettabile», aveva detto anche dopo il raid israeliano che ha colpito la parrocchia di padre Gabriel Romanelli. Una consapevolezza in nessun modo nascosta della tragedia in atto, che però il vicepremier vuole far convivere con le sue convinzioni circa le responsabilità di un uomo di governo. «Se ci fosse qualcosa in grado di fermare Netanyahu, l’avremmo già fatto e deciso. Per ora non ascolta noi. Non ascolta Macron. Non ascolta Washington. Attenzione, però: dopo il 7 ottobre, dopo il pogrom, dopo gli orrori che da vicino hanno fatto vedere anche a me, il popolo ebraico sarà anche diviso, ma sulla guerra in gran parte sostiene il governo nel colpire ancora Hamas. Detto questo, secondo noi l’unico modo per far vincere la pace fra Israele e Palestina è interrompere la guerra e tornare alla politica, alla diplomazia».
Insomma, ministro, siamo condannati ad essere spettatori inermi?
Assolutamente no, nessuna rassegnazione. Le nostre parole sono ferme da mesi e le ribadiamo: la reazione di Israele è sproporzionata. Tel Aviv ha vinto la guerra, non c’è alcun motivo per continuare i bombardamenti che uccidono civili. Dobbiamo convincerli a fermarsi. E stiamo facendo di tutto. Ho appena ricevuto un segnale di attenzione: mi ha chiamato il ministro degli Esteri Sa’ar, mi ha detto che il governo di Gerusalemme ha appena deciso di riattivare la linea elettrica che alimenta un desalinizzatore che tornerà a dare acqua per 900 mila persone. È un segnale di amicizia e rispetto il fatto che mi abbia comunicato la decisione. Io con amicizia l’ho invitato a dire al suo governo che devono andare avanti. Devono aprire a tutti gli aiuti alimentari e sanitari: spero che nelle prossime ore possano riprendere gli ingressi del World Food Programme e di Food for Gaza. È imperativo che Israele reagisca con urgenza a questa crisi umanitaria.
Però ci fermiamo se si tratta di riconoscere la Palestina. Perché?
Io non voglio fare polemica, né con le opposizioni né tanto meno con Paesi partner. E soprattutto comprendo lo sgomento dell’opinione pubblica, che spinge alla ricerca di soluzioni immediate. Anche perché questo dolore io lo vivo in prima persona e lo trasmetto ogni giorno al governo israeliano e ai Paesi arabi che cercano di lavorare alla pace. Ma vorrei che tutti si fermassero a riflettere su un dato: dopo il riconoscimento della Palestina che è stato fatto di recente da parte di questo o quel governo, le cose sono cambiate? Netanyahu non accetta pressioni, questa è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. Ma entriamo nel merito del processo che dovrebbe portare al riconoscimento: ad oggi in Palestina esistono due entità separate, Cisgiordania e Gaza, non esiste ancora uno Stato. Noi vogliamo che nasca, che riconosca Israele e che sia riconosciuto da Israele. E siamo disponibili a mettere i nostri contingenti per una missione dell’Onu a guida araba, per raggiungere questo obiettivo. E siamo inoltre totalmente contrari, come d’altra parte l’intero scacchiere internazionale, a ipotesi di un esodo di massa dei palestinesi: devono restare nella loro terra, così come devono restare nella terra che amano i cristiani palestinesi, fattore di moderazione e dialogo indispensabile per la pace.
L’accusa al governo italiano è anche quella di continuare collaborazioni con Israele nel campo della difesa.
Abbiamo interrotto le forniture militari dal 7 ottobre 2023 rispettando la legge italiana. E il ministero della Difesa ha smentito le ultime indiscrezioni di giornali. Se poi parliamo del memorandum, averlo o non averlo, come ho detto, non ferma Netanyahu. O partiamo da questo dato o ci arroventiamo in una guerra di slogan che non avvicinerà la pace nemmeno di un centimetro.
E allora, tornando alla prima: siamo condannati ad aspettare?
No, la comunità Internazionale sta lavorando e fra pochi giorni ci sarà una conferenza all’Onu. Poi bisogna continuare a pressare Israele e bisogna premere su Hamas. L’ultima tornata negoziale è fallita perché Hamas ha aumentato le richieste sullo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri nelle carceri di Tel Aviv. È inaccettabile che Hamas, un gruppo terroristico che non dovrà avere ruolo nel futuro della Palestina, usi la carneficina in atto a fini politici, che usi come scudo la popolazione civile.
Ha provato fastidio nel vedere delle trattative svolgersi nel lusso della Costa Smeralda?
So che potrebbe sembrare impopolare, capisco anche certi giudizi, però in questo momento, come ministro degli Esteri, mi basta che si tratti. In un grande albergo o in una spelonca.
Una giovane, Intisar, dal nostro giornale ha lanciato un appello per far arrivare il padre in Italia: assume l’impegno?
Ho il dovere di assumerlo, come per le centinaia di richieste che pervengono alla Farnesina. Con gli adulti è molto più difficile, ma se ci sono spiragli non li lasceremo chiudere.
Sullo scenario russo-ucraino lei ha sempre frenato chi vedeva una pace imminente…
Confermo le mie valutazioni prudenti: la Russia è in economia di guerra, avrebbe persino problemi sociali nel tornare indietro. L’arma che abbiamo in questo momento è bloccarne i flussi finanziari per rendere difficile a Putin il pagamento delle truppe. Per persuadere il Cremlino che la pace è più conveniente. Ma da Mosca non ci sono segnali che possano incoraggiare.
Con quanto sta accadendo, il dramma nella Striscia e il protrarsi della guerra russo-ucraina, è legittimo dire che i primi sei mesi di Trump sono stati un insuccesso?
Per nulla. Gli Usa sono un attore determinante per la pace e noi affianchiamo e sosteniamo gli sforzi di pace degli Usa. E a mio avviso sono irresponsabili quelle analisi che vogliono piegare a piccoli tornaconti di politica interna questo momento di enorme crisi internazionale.
Però Trump non disdegna di mettere in difficoltà l’Europa, con i dazi. L’Italia a che scenario si sta preparando?
Speriamo nel colloquio in Scozia tra Trump e Von der Leyen. Noi pensiamo che incertezze e guerre commerciali siano il male assoluto. Perciò siamo per un accordo, purché ovviamente sostenibile.
Le imprese sono preoccupate dal 15%. Ci sono contromisure possibili?
Noi eravamo per lo “zero a zero”, zero tassi fra Ue e Usa. Ma non accadrà, ormai lo abbiamo capito. L’accordo è vicino e il governo valuterà e farà tutto quanto necessario per accompagnarlo. Penso che una grande risposta possa e debba arrivare anche dalla Bce, nell’affrontare la sfida della svalutazione del dollaro. Francoforte deve abbassare il costo del denaro, ha da compiere la strada che dal 2% porta a zero. E deve procedere con il quantitative easing come in tempo di Covid. Allo stesso tempo l’Ue deve rimuovere tutti i dazi interni.
E il governo italiano?
Nell’ultimo Cdm abbiamo dato una prima risposta sull’agricoltura. Interverremo a sostegno delle imprese, per definire le misure e i settori d’intervento dobbiamo capire quale accordo si chiude con gli Usa. Ovviamente dobbiamo lavorare per aprire l’export verso nuove frontiere, con l’obiettivo dei 700 miliardi entro il 2027.
Su Alberto Trentini detenuto in Venezuela è ragionevole nutrire speranze?
Seguiamo il caso, abbiamo avuto di recenti informazioni ed è in buone condizioni, dobbiamo trattare con un regime che ha molti detenuti politici. Ci sono altri 14-15 italiani nelle loro carceri.
In un momento del genere, quanto è complesso, per un “popolare” come lei, avere nel suo schieramento posizioni come quelle dell’ex generale Vannacci?
La linea di politica estera del governo la dettano la premier e il ministro in carica. Il parere di singoli parlamentari non incide sulle scelte dell’esecutivo.
Forza Italia è in un momento di trasformazione in particolare sul tema dei diritti. Sul fine vita che posizione assumerete in Aula?
Serve dare una norma, non possono essere le Regioni a legiferare. Il testo di maggioranza si attiene alle sentenze della Corte, che partono dal principio per cui il suicidio non è un diritto. Poi osserveremo con attenzione cosa accadrà in Parlamento, fermo restando la libertà di coscienza.
Vedremo lo Ius Italiae in Aula prima della fine della legislatura?
Parlare di Aula ora ha poco senso. Il nostro testo non deve andare in Aula per fallire, deve essere un’opportunità per tutti, perciò continueremo a spiegare ai nostri alleati che bisogna guardare in faccia la realtà. È nel centrodestra che devono venire i numeri, su questo tema siamo distanti da Pd e MSs.