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Tajani: «Il terrorismo non vuole la pace. È stata un’azione a orologeria» (Il Messaggero)

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Ministro Tajani, la strage anti-ebraica in Australia è un avvertimento al mondo e quindi riguarda anche noi?

«È certamente una sfida generale. Guarda caso, questo eccidio avviene mentre faticosamente ci stiamo avvicinando alla seconda fase del cessate il fuoco in Medio Oriente. Del resto anche l’orrore del 7 ottobre fu compiuto per impedire gli Accordi di Abramo. Ora ci stiamo avvicinando a una soluzione nello scacchiere medio-orientale e il terrorismo che non vuole la pace agisce ad orologeria. E non hanno fatto un attentato a una caserma israeliana, o a una sede istituzionale. Hanno colpito i civili, a decine di migliaia di chilometri di distanza dall’area mediorientale».

Ciò significa che il terrorismo anti-ebraico e il terrorismo in generale può colpire anche a Roma, che tanto sta facendo perla pace?

«Mai sottovalutare il rischio. Ma l’intelligence e le forze dell’ordine stanno lavorando intensamente, per tutelare la sicurezza della comunità ebraica a Roma e nel resto d’Italia e per difendere tutti i cittadini del nostro Paese».

Roma continuerà la sua funzione di diplomazia e di distensione? Lo farete ancora di più?

«Continueremo su questa linea, universalmente riconosciuta. E del resto la vocazione di Roma è quella di comporre e non di spezzare, di far interagire le genti e di favorirne la civile convivenza. Roma è storicamente al servizio della civiltà ed è adesso tra le capitali più impegnate nella costruzione della seconda fase del cessate il fuoco a Gaza. Abu Mazen proprio a Roma ha ringraziato l’Italia per tutto l’impegno sia diplomatico sia umanitario che stiamo mettendo in campo e a disposizione di tutti. E umanitario significa politico. Cioè tra l’altro formare le nuove leve della classe dirigente palestinese. Abbiamo il corridoio universitario, per accogliere gli studenti palestinesi e formarli in Italia, in un contesto di pace e per la pace».

Il nostro equilibrio sulla vicenda mediorientale e la tradizione della politica estera italiana che da sempre – e l’antica sapienza democristiani insegna – svolge un ruolo di mediazione potrebbero aiutarci a restare fuori dal mirino?

«Questo dovrebbe essere, ma non da solo, uno scudo di protezione. Non va però abbassata la guardia. E allo stesso tempo occorre evitare un allarmismo eccessivo, che sarebbe un regalo ai terroristi. Servono lucidità e fermezza, per prevenire e per difendersi».

Attentati a Roma ne sono stati fatti in passato, basti ricordare quello alla sinagoga o quello a Fiumicino.

«È così, ma adesso sicurezza e prevenzione sono un’eccellenza del nostro ministero dell’Interno. E l’aspetto della sicurezza è fondamentale anche per il ministero degli Esteri che mi onoro di guidare. Tant’è che nella riforma che entrerà in vigore il primo gennaio è prevista per la prima volta alla Farnesina la creazione della direzione generale della sicurezza. Si occuperà di questa materia dal punto di vista politico, ma anche per quanto riguarda la sicurezza cybernetica e l’intelligenza artificiale applicata ai sistemi di difesa. Ci sarà nel nostro ministero una sala operativa, dedicata alla prevenzione e alla reazione agli attacchi tecnologico-digitali».

Proprio la cyber-diplomazia è un tema forte dell’incontro tra tutti gli ambasciatori italiani nel mondo che lei ha organizzato da oggi a Roma. Che cos’è la cyber-diplomazia?

«È un modo per sottolineare che il mondo cambia e siamo sottoposti a decine di migliaia di attacchi ad alta definizione tecnologica. Anche le nostre ambasciate devono dotarsi di strumenti e di competenze nuove. Nell’attesa di formare personale preparato alle sfide sempre più sofisticate della contemporaneità, abbiamo già a disposizione nel nostro ministero ufficiali delle forze armate che ci stanno aiutando in questa azione».

Perché riunite tutti gli ambasciatori a Roma proprio in questo momento?

«Lo facciamo ogni anno alla fine dell’anno, per preparare gli impegni della nuova stagione».

Farete il bilancio 2025 della politica estera?

«È un bilancio che è sotto gli occhi di tutti. Parla di un’Italia tornata ad essere protagonista, e Roma è diventata più di prima un crocevia di confronti e di dibattiti, e la sede autorevole di trattative importanti. Basti ricordare gli incontri tra iraniani e americani, che hanno deciso di vedersi proprio qui a Roma, per dare un risalto universale all’iniziativa coraggiosa che hanno deciso di intraprendere. E che cosa dire del famoso incontro nella basilica di San Pietro tra Trump e Zelensky? Potrei continuare nell’elenco. La morale è che capi di Stato e di Governo arrivano sempre più spesso nella nostra Capitale, perché da noi trovano l’habitat della pace. L’anno prossimo verrà Narendra Modi. Ospiteremo il summit dei Paesi dell’Africa sub-sahariana e stiamo organizzando un vertice degli amici dei Balcani a Villa Madama».

I Balcani, diceva Churchill, producono più storia di quanta ne possono sopportare. Roma, invece, sta sopportando il peso della nuova storia contemporanea e supportando ogni piano di de-escalation?

«Questa Capitale e il Paese che rappresenta si sono date lo scopo di dire che alla conflittualità e al terrorismo si risponde con la fatica della politica. E con un impegno per lo sviluppo economico e commerciale, che è un fattore di pace. Le faccio questo esempio. L’Italia sarà il terminale del corridoio India-Medio Oriente-Europa e il corridoio passerà attraverso Israele, i Paesi del Golfo, l’Egitto e arriverà fino a Trieste. Una grande opportunità per il commercio italiano e per la realizzazione di infrastrutture. Questo progetto è stato al centro nei giorni scorsi dei miei colloqui in India con Modi e con gli altri leader di quella grande nazione. A rendere positivo il nostro bilancio hanno concorso una serie di azioni che hanno migliorato lo standing dell’Italia nella politica internazionale e la sua forza economica a livello globale».

In cifre, come si misura questa crescita? «Gliene dico una sola ma potrei farne tante. Nonostante i dazi e le guerre, negli ultimi mesi il nostro commercio con l’estero è aumentato del 6 per cento. Ciò significa che il piano d’azione del governo funziona».

Non crede però che l’azione italiana per la pace in Ucraina possa risultare meno efficace perché da noi il partito filo-russo ha una certa consistenza?

«A livello politico, questa consistenza non la vedo. Semmai, c’è qualche isolato opinionista che ha posizioni del tipo che lei sta dicendo. La linea italiana è molto chiara e anche condivisa: noi non siamo in guerra contro la Russia, stiamo soltanto difendendo convintamente l’indipendenza dell’Ucraina».

Anche Salvini?

«Ci sono sfumature diverse. Ma quando si tratta di votare gli aiuti a Kiev, la Lega lo ha sempre fatto».

Saranno usati gli asset russi in Europa a sostegno dell’Ucraina?

«Il consiglio europeo deciderà su questo. Abbiamo votato il congelamento degli asset, ma nutriamo serie perplessità giuridiche e quindi non significa che noi daremo un parere favorevole all’utilizzo di quegli asset. Se la Corte di giustizia dovesse darci torto sull’utilizzo di questo strumento, l’immagine dell’Europa verrebbe danneggiata e tale rischio va evitato con molta cura. E poi c’è il problema delle garanzie. Chi garantisce l’eventuale restituzione di quella cifra? Occorre valutare altri modi per aiutare l’Ucraina. Fare dei bond europei, per esempio, oppure prendere dei soldi dal bilancio comunitario. Serve un’analisi assai approfondita».

Si parlerà molto di energia nella conferenza di tutti gli ambasciatori italiani.

«Sì, perché si tratta di una materia prioritaria, su cui si gioca moltissimo del nostro futuro. C’è un’unica strada per liberarsi dalla dipendenza energetica, non solo di quella russa, ed è il nucleare. Una scelta che il governo italiano ha già fatto».

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