(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)
Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente del Senato della Repubblica,
Signor Segretario Generale della Lega Araba,
Signor Presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo
Signor Presidente Emerito della Repubblica Libanese
Signor Presidente della Fondazione Alcide De Gasperi,
Senatori e Onorevoli,
Signore e Signori,
Desidero innanzi tutto ringraziare, a nome del Min. Terzi che purtroppo ha dovuto rinunciare per impegni non previsti e non rinviabili, per l’invito a questo colloquio. Il tema della stabilità nei paesi del Mediterraneo ha una rilevanza fondamentale per la politica europea. Ed è interessante che ne discutano insieme Italia e Germania. Negli ultimi due anni abbiamo affrontato e discusso soprattutto la crisi dell’euro-zona. E siamo riusciti, anche grazie alla cooperazione fra Italia e Germania, a mettere sul tavolo una riforma importante della governance economica europea, con il fiscal compact e il meccanismo di stabilità finanziaria. Ne stiamo discutendo proprio in questi giorni in Senato. La concentrazione sulla crisi dell’euro-zona era naturalmente inevitabile. Ci si può chiedere tuttavia se la sua gestione non sia stata troppo lenta, non solo dal punto di vista economico ma anche perché attorno all’Europa stava cominciando quella che abbiamo inizialmente e un po’ superficialmente definito Arab Spring e che sarebbe forse meglio definire il grande risveglio arabo, the Arab Awakening. Dai moti di Tunisia in poi, nel dicembre del 2010, dal sacrificio per la dignità di uno e poi di tanti giovani della regione, l’apparente immobilità dei regimi arabi è stata scossa profondamente. Tutto ciò ha conseguenze economiche, sociali e geopolitiche con cui anche l’Europa si troverà a fare i conti nei prossimi decenni. E sottolineo così i miei due punti di partenza: l’Europa deve riuscire ad affrontare insieme non solo le proprie crisi interne ma anche le sfide esterne.
L’introversione è un lusso che non possiamo più permetterci. In particolare verso una regione, il Mediterraneo, che unisce in ogni caso le due sponde, nel bene e nel male- attraverso un circolo vizioso di conflitti, squilibri migratori, squilibri di sviluppo. Per ragioni demografiche, energetiche, il Mediterraneo tenderà comunque a saldare i destini delle due sponde.
Secondo punto di partenza: quando usiamo la parola stabilità dobbiamo fare attenzione. Per troppo tempo gli europei hanno sacrificato molti principi, troppi, sull’altare di una presunta stabilità. L’unica stabilità possibile, in effetti, è quella che riconosce la dignità e i diritti delle nuove generazioni arabe, dei giovani e delle donne. Questa è la stabilità a cui aspirare.
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Oggi, a un anno dalle rivoluzioni arabe, la situazione sembra più difficile, più preoccupante, più travagliata di quanto avessimo sperato: la crisi profonda della Siria è il simbolo di una transizione difficile. Su un piano diverso, la complicata evoluzione politica interna dell’Egitto, attore regionale chiave, o della Libia del dopo-guerra, indicano l’esistenza di tensioni non risolte. Questo, tuttavia, non deve farci perdere di vista la lezione della storia, il dato strutturale, di lunga durata, come direbbe Braudel. Nel Mediterraneo il dato strutturale, “di lunga durata”, è sicuramente quello dello scambio pacifico, dell’interrelazione mutualmente vantaggiosa. Europa e Mediterraneo devono trovare un nuovo equilibrio, nel rispetto delle differenze, anche religiose.
Si misurerà anche su questo il futuro del rapporto fra le due sponde.
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Le rivoluzioni arabe del 2011 hanno portato al centro della politica europea verso il Mediterraneo, dopo decenni di realpolitik, democrazia, sviluppo e diritti umani. La lista delle challenging issues è conosciuta ormai: dalla governance, al futuro dell’Islam politico, alle questioni economiche e sociali. Non è una lista semplice, per essere onesta. Secondo l’ultimo rapporto OCSE sulla “Arab World Competitiveness”, la regione avrà bisogno di creare 25 milioni di posti di lavoro nel prossimo decennio solo per tenere la disoccupazione ai livelli attuali, superiori al 10%.
E arrivo così al mio terzo punto: se guardiamo alle sfide mediterranee dal punto di vista economico e sociale, la crescita è un problema chiave per l’intera regione mediterranea, inclusa la parte Sud dell’Europa. Questo dato, lo dicevo all’inizio, riduce gli strumenti di intervento esterni dell’Europa (tornerò poi sul problema del bilancio per la politica di Vicinato) ma al tempo stesso impone di avere idee nuove. Ad esempio, il segretario della Lega Araba, che oggi è qui con noi e che saluto, ha sottolineato di recente l’importanza dell’integrazione economica regionale, non solo fra Europa e Mediterraneo ma tra gli stessi paesi arabi.
E’ indispensabile, io credo, un’Agenda di riforme per le economie arabe, fondate sull’apertura commerciale e sull’aumento degli investimenti. Questo è stato un punto essenziale sottolineato dal Presidente del Consiglio, Mario Monti, nel suo recente viaggio in Egitto.
L’Italia si muove in questa linea. Grazie anche all’impulso del nostro paese, sono in preparazione nuovi Piani d’Azione della UE (per ora con Tunisia e Marocco), volti a consolidare i “Partenariati privilegiati”. Amministrazioni più efficienti, libertà di impresa, di sicurezza sul lavoro, protezione della proprietà intellettuale sono tutte aree di collaborazione. L’Italia sta insistendo per impostare rapidamente i negoziati per accordi di libero scambio (DCFTA) con Tunisia, Marocco, Egitto e Giordania. E’ a favore di un dialogo più strutturato su migrazione, mobilità e sicurezza, da ricondurre anch’esso all’interno dei partenariati. L’Europa deve mirare a un piano d’azione più ambizioso nel Mediterraneo. Quanto realizzato fin’ora è importante ma non sufficiente rispetto alla vastità dei cambiamenti in corso.
E, in effetti, il Consiglio Europeo ha incaricato la Commissione e il SEAE di preparare entro l’anno una road map per i rapporti con i partner del Mediterraneo, che inquadri organicamente l’insieme delle iniziative e che guidi la politica europea nel Vicinato Meridionale.
L’Europa deve superare definitivamente l’attuale frammentazione degli interventi, determinata spesso da “agende nazionali”. Occorre un’iniziativa di maggiore respiro, attraverso un approccio integrato tra Istituzioni Finanziarie Internazionali, Commissione Europea (tramite ENPI e NIF), Unione per il Mediterraneo, BERS, BEI, cooperazioni nazionali.
Di non minore rilevanza per i nostri interessi è la discussione sulle risorse. Al Vicinato meridionale devono andare finanziamenti adeguati. Sotto questo profilo è di grande rilevanza il negoziato sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020. La Commissione Europea ha proposto 18 miliardi in 7 anni – si tratta di una base minima – da destinare in gran parte (almeno i due terzi) ai partner della riva sud del Mediterraneo. E’ un obiettivo su cui l’Italia si sta battendo insieme a Francia e Spagna.
Vengo così al mio ultimo punto, sulle dinamiche politiche e geopolitiche. Esistono, insieme all’appoggio per i cambiamenti in atto, preoccupazioni rilevanti: la crisi della Siria,a un anno dall’inizio di un ciclo drammatico di proteste e repressione, è affidata, per la sua soluzione ai fragili spazi del Piano Annan, con i rischi di cui potrà parlarci il Presidente emerito del Libano. Esistono in Europa altre fonti di preoccupazione. Sia per la sorte delle comunità cristiane (è il caso della minoranza copta in Egitto) sia per i diritti delle donne: protagoniste delle rivoluzioni arabe, rischiano in certi casi di diventarne le vittime.
In breve: non è facile, e forse non aiuta, essere superficialmente ottimisti sulla fase attuale della transizione. Ma non per le ragioni che spesso si dicono, legate a un’automatica diffidenza verso l’Islam politico, si pensi al modello turco. Contano, piuttosto, altri fattori, tra cui il rimescolamento di equilibri geopolitici che non si sono ancora assestati. Guardiamo, ad esempio, alla crescita del ruolo regionale di Arabia Saudita e Qatar, che si proietta sulle dinamiche della crisi siriana, che tocca la Giordania e si proietta ai confini della Turchia. Guardiamo agli spostamenti della politica estera egiziana, alle difficoltà di Israele e dei territori palestinesi, al ruolo in ascesa di Ankara, al grande divide tra Sunniti e Sciiti, che è parte della rivalità tra Ryiad e Teheran, alle difficoltà della Libia del dopo-guerra.
Ecco, se guardiamo a queste dinamiche, un dato sembra abbastanza chiaro. Per la prima volta da decenni, l’influenza degli attori esterni, Stati Uniti inclusi, è in decisa diminuzione, mentre aumenta il peso degli attori nella regione, inclusa la Lega Araba. Se questo dato è vero, e io credo lo sia, uno dei problemi dell’Europa è di concepire modalità di intervento che le permettano di costruire dei partner iati veri, fondati sulla ownership degli attori locali.
Il declino dell’influenza occidentale, in altri termini, non deve diventare una giustificazione per l’inazione. Deve spingere a concepire una vera interazione. Quella che l’Italia, sia sul piano bilaterale che come parte dell’Ue, intende appunto costruire.