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Perizia contro? Ma i marò non si toccano

«Non mi attendo una soluzione a breve termine per i nostri marò arrestati in India ora che sono finiti nel tritacarne giudiziario. Anche per questo ritengo che la soluzione dovrà essere politica». Di ritorno dallo stato indiano del Kerala dove ha compiuto la sua ennesima missione per tentare di «riportare a casa i nostri ragazzi», parla il sottosegretario agli esteri Staffan De Mistura che ieri ha incontrato a Lecce i famigliari di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Un colloquio per consegnar loro alcune lettere private e per aggiornarli sulla situazione alla luce delle ultime notizie.


Sottosegretario, la situazione sembra precipitare: la polizia indiana avrebbe confermato che la perizia balistica inchioda i nostri marò…


«Si tratta fino a questo momento di notizie della stampa indiana: ripeto, stampa indiana, quindi tutte da verificare. Secondo queste notizie le perizie balistiche della polizia del Kerala indicherebbero che le pallottole che hanno ucciso i pescatori possono essere italiane. Ho spiegato ai famigliari dei due marò che prima di tutto vogliamo verificare non le notizie giornalistiche ma quelle ufficiali»


Come intendete procedere?


«Verificheremo le perizie con i nostri ufficiali del Ros che erano già presenti ad una parte delle analisi balistiche…»



Cosa intende dire che erano presenti solo ad una parte delle analisi?


«Da quello che ho capito nella prima parte, che è la più importante, loro erano presenti. Poi i risultati non erano stati rivelati perché la stessa polizia del Kerala aveva dei dubbi sia sui fucili che sulle pallottole, e in quella parte non erano presenti i nostri esperti del Ros. Ora vogliamo che siano loro ad analizzare i risultati ufficiali»


Teme qualcosa?


«Qualunque sia il risultato balistico, nel peggior dei casi si potrebbe ipotizzare un eventuale errore umano, che andrebbe comunque provato. Ma anche in questo caso rimane fermo e intoccabile il principio che la giurisdizione è quella italiana, che le acque erano internazionali, e che i nostri marò vanno giudicati, se vanno giudicati – ed è un grande SE – solamente nel loro paese d’origine, nella loro madre patria».


Un principio però che le autorità indiane continuano a negare…


«Le autorità del Kerala sanno e non possono contestare che l’incidente è accaduto in acque internazionali, esattamente a 22,5 miglia dalle coste del Kerala. Le autorità però sembrano voler insistere – e noi non siamo d’accordo – che trovandosi i pescatori colpiti su una imbarcazione indiana, ed essendo i pescatori indiani, varrebbe a loro dire una legge locale secondo la quale in questi casi è competente la giurisdizione indiana. Ma questo contraddice il diritto internazionale e produrrebbe un precedente pericolosissimo in termini internazionali. Perché questo vorrebbe dire che da ora in avanti qualunque militare che viene mandato all’estero per compiere una missione su incarico del proprio paese, e fosse coinvolto involontariamente in un incidente, non potrebbe essere giudicato dal suo paese. Un principio che varrebbe anche per i militari indiani, che pure sono molto presenti in missioni all’estero».


Resta il fatto che la legge che regola le missioni anti-pirateria dei fucilieri del San Marco imbarcati sui mercantili italiani è lacunosa, lasciando una parte della linea di comando addirittura in mano agli armatori privati. Non ritiene che sia dovere del governo provvedere a modificarla giacchè decine di altri marò sono in questo momento impegnati in missioni analoghe senza una adeguato ombrello normativo?


«La nostra missione al momento è quella di risolvere il problema dei marò, e tirarli fuori da lì qualunque siano le circostanze. Dopo sono sicuro che sarà necessario fare un’analisi dei motivi per i quali questo incidente è avvenuto, perché evidentemente questa legge va riverificata. Le faccio un esempio. Quando io ero a capo della missione dell’Onu in Afganistan e giravo con tre macchine di scorta e con le guardie del corpo, pur essendo capo della missione al più alto livello era chiaro e concordato da me e dalle regole di ingaggio che qualora ci fosse stato un incidente o un presunto incidente, prendeva il sopravvento nei mie confronti e nei confronti di tutti, il caposcorta. Subito prima, durante e subito dopo un incidente comanda e decide chi ha la responsabilità militare. Credo che qualcosa del genere vada riscritto anche per le nostre navi, altrimenti potremmo avere confusione e la confusione come accaduto in questo caso comporta ritardi. Ma tutto questo andrà discusso dopo che avremo riportato a casa i nostri marò»


Molti osservatori ritenevano che il destino dei nostri marò fosse legato allo svolgimento delle elezioni politiche nel Kerala. Il voto si è tenuto ma la situazione non sembra sbloccarsi….


«Quello che lei dice è vero, ma le elezioni hanno in qualche modo ridotto l’attenzione nel Kerala che prima del voto era molto elevata. Quando sono arrivato per la prima volta c’erano manifestazioni pubbliche nei confronti del marò, oggi non più. C’è una attenzione molto più attenuata. Ma questo non vuol dire che la macchina giudiziaria non sia già ingranata. Occorre quindi una soluzione politica e anche diplomatica».


Prevede una soluzione a breve, medio o lungo termine?


«Non a breve termine. Direi a medio termine. L’errore di entrare con la nave nella rada, il che ha consentito alle autorità di polizia indiane di arrestare i nostri marò, ha messo in moto un tritacarne giudiziario che va affrontato, insistendo sulla nostra giurisdizione e su una soluzione che, ripeto, deve essere anche politica».


Come ha trovato i famigliari dei nostri due marò?


«Oggi (ieri per chi legge – ndr) ho incontrato a lungo le famiglie, giunte a Lecce da Bari e da Taranto: ci siamo incontrati a metà strada per fare il punto della situazione e pianificare il futuro. Sono rimasto colpito dalla dignità, dalla fermezza e dalla fiducia che hanno le famiglie sul fatto che i marò li tireremo fuori e li riporteremo a casa».

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