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Il console italiano: «La nostra lotta per fare arrivare chi ci ha aiutato. Dobbiamo salvarli» (Corriere della Sera)

La calca. Le grida. I pianti. Le suppliche. I bambini lanciati oltre il filo spinato. Le ragazze sollevate di peso per scavalcare il limite tra i salvati e i sommersi dell’Afghanistan. E stata un’altra giornata di paura e disperazione nello scalo di Kabul. In migliaia vogliono tentare la fuga verso la libertà. E cercano di approfittare del nostro ponte aereo messo in piedi in tempi record. Ma ci sono le liste. Come in Schindler List. Di chi viene aiutato a scampare alla furia Talebana. Il personale dell’ambasciata o di altre istituzioni italiane. I familiari. I collaboratori e le loro famiglie. Chi viene ritenuto a rischio e chi ne fa richiesta. A coordinare sul campo, assieme alla Difesa e all’intelligence, i controlli e le complesse operazioni di evacuazione è rimasto lui, Tommaso Claudi, console italiano a Kabul. Di Macerata, 30 anni appena, in diplomazia dal 2017, come prima sede diplomatica ha avuto in sorte quella che in questi giorni si è trasformata nel fronte più caldo. E ora al Corriere racconta questa drammatica emergenza umanitaria che richiede determinazione.

Sconvolgono le immagini del caos di Kabul. Quali sono le difficoltà operative sul campo?

«La principale difficoltà consiste nel far accedere i connazionali e i nostri collaboratori afghani ai cancelli dell’aeroporto, dove si accalca la folla che vuole entrare». Come la sta affrontando? «Questo è un aspetto che, in una situazione confusa, richiede una impegnativa attività di costante monitoraggio, negoziato e raccordo anche con i colleghi di altri Paesi».

Lei, giovanissimo, porta sulle spalle il peso di una situazione molto complessa. Come la sta gestendo?

«Si tratta effettivamente di una situazione difficile, la gestione non può che avvenire nel contesto di una squadra, qui e con il sostegno della Farnesina in costante contatto».

Come è stata organizzata l’evacuazione degli italiani in tempi così rapidi?

«Si e trattato e si tratta di uno straordinario sforzo organizzativo frutto di una forte coesione tra tutte le componenti nazionali che operano qui a Kabul e a Roma: Esteri, Difesa, Servizi di informazione».

La situazione è precipitata a ridosso di Ferragosto?

«Naturalmente esisteva da tempo una pianificazione, mentre, a più riprese, col progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza, l’Ambasciata invitava a lasciare il Paese».

Le donne afghane commuovono e angosciano tutto l’Occidente. Cosa si può fare per loro?

«L’Italia, col ministro degli esteri Luigi Di Maio e insieme ai nostri partner, ha chiaramente indicato come si vigilerà attentamente sulla tutela delle donne in Afghanistan, tema su cui non possiamo accettare compromessi».

Gli afghani che hanno collaborato con l’ambasciata e le altre articolazioni del nostro Paese temono ritorsioni. Riceveranno protezione?

«Questo è tra gli obiettivi della mia presenza qui, assieme a quello di tutela dei connazionali».

Ma come farete a garantirla?

«Abbiamo messo in piedi un ponte aereo che ha già permesso di evacuare diverse centinaia di persone tra connazionali, personale delle istituzioni italiane in Afghanistan, i loro collaboratori afghani ed esponenti della società civile».

E ora che la situazione si fa sempre più pericolosa?

«Continueremo a lavorare senza sosta per continuare le operazioni di evacuazione e per assistere i connazionali che lo richiedano».

C’è qualcuno che l’ha colpita in modo particolare?

«Molte situazioni mi hanno colpito. Il dramma della popolazione civile, la compostezza e abnegazione della nostra squadra qui. La determinazione di tutti noi, incluse le Ong presenti, ad assistere questo popolo».

A lei è richiesta freddezza in una situazione che sgomenta. Come l’affronta?

«Grazie allo spirito di tutti noi e al clima di comunità che abbiamo da sempre vissuto dentro l’Ambasciata, in particolare con la componente militare e i carabinieri del reggimento Tuscania. So di avere nella mia funzione di Incaricato d’Affari la rappresentanza del mio Paese. E questo per me è un onore, una fortissima motivazione e una responsabilità cui voglio adempiere nel migliore dei modi».

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