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«Tajani: noi siamo liberali, quella mossa sugli istituti andava concordata prima Le Pen? Preferisco Macron»

Giorgia Meloni ha battuto il pugno sul tavolo. In una intervista ad alcuni quotidiani, tra cui il Corriere, non solo ha confermato quello che da Forza Italia in tanti hanno contestato — ovvero che la norma sugli extraprofitti delle banche è stata decisa e annunciata senza preventivamente avvertire i colleghi che se la sono ritrovata a sorpresa in Consiglio dei ministri — ma ha scandito che è stato un provvedimento voluto da lei in persona, del quale non si pente.  

Una risposta molto secca, in sostanza, alle rimostranze degli azzurri, che anche con Antonio Tajani si erano irritati: «Non ne sapevamo nulla, certe cose vanno concordate. E il provvedimento va modificato». Il chiarimento fra i due è arrivato, si sono sentiti più di una volta nelle ultime ore, i rapporti restano corretti, ma il segretario di FI non fa marcia indietro: «Capisco quello che dice Giorgia, ma resto della mia idea», dice con calma ma anche con fermezza.  

Nella sostanza, resta la richiesta di un maggior coinvolgimento e di un metodo che veda condivisione quando si operano scelte di questa portata, ma soprattutto resta la volontà di presentare corpose modifiche al provvedimento sugli extraprofitti delle banche, a settembre quando approderà in Parlamento.  

«Su moltissimi temi siamo in sintonia — dal salario minimo alla volontà di ridurre la pressione fiscale, a partire dal rendere stabile il taglio del 7% del cuneo fiscale —, questa vicenda non ha a che fare con la stabilità del governo», premette il vicepremier. Ma, aggiunge, il suo partito «ha una storia e una tradizione liberale, un’economia statalista non è la nostra. D’altra parte, siamo partiti diversi, alleati e compatti, ma ciascuno porta una sua visione. II che è anche un bene. FI è garante di una visione europea anche per il governo, troppo Stato in economia non è un bene».  

E quindi ecco le richieste di modifica: «Bisogna tutelare le piccole banche escludendole dalla tassa, perché sono le banche del territorio, le più vicine ai risparmiatori e perché, per come è oggi la norma, finirebbero per pagare in proporzione più dei colossi bancari stranieri», è la prima richiesta. Poi bisogna pensare a un sistema di «deducibilità». E infine è necessario un «preventivo incontro e confronto con i rappresentanti delle banche e assicurare che si tratterà di un intervento una tantum», visto che già Renzi aveva applicato un prelievo del 3,5%.  

Insomma, la battaglia non finisce qui. E anche i no non finiscono. L’altro, che fa rumore, è quello che lo stesso Tajani ha più volte ribadito a un accordo dopo le Europee di giugno con Identità e democrazia, il gruppo di Salvini composto da molti partiti anche dell’ultradestra, da quello di Marine Le Pen all’AfD tedesca. II leader leghista accusa: «Chi non vuole un accordo con Le Pen, preferisce governare con i socialisti, preferisce Macron». Meloni sul tema è apparsa possibilista: «Io non metto veti su nessuno, ma è presto per decidere, manca molto tempo alle Europee». Tajani invece è secco: «Non è questione di veti, ma di realtà. Noi, in quanto partito del Ppe, non potremmo mai accettare un’intesa con partiti anti-europeisti come quello di Le Pen o l’AfD».  

Secondo Tajani «bisogna conoscere bene la politica europea per parlarne: il Ppe non accetterebbe mai un accordo di questo tipo, in Europa non valgono le logiche italiane, non siamo io, Meloni e Salvini a decidere. Ogni gruppo ha una sua identità e autonomia. È irrealistico parlare di un’alleanza di questo tipo. Vedremo come andranno le elezioni, ma in ogni caso è difficile pensare a una maggioranza che non sia composta da popolari, conservatori, liberali e magari socialisti in posizione defilata». Insomma, con Le Pen «non abbiamo a che fare noi. Se preferisco a lei Macron? Per la visione dell’Europa, certamente sì». D’altra parte, aggiunge, «anche io, che quando divenni presidente del Parlamento europeo i socialisti li sconfissi, non venni votato da Salvini».  

Insomma, il neo segretario di FI ha tutte le intenzioni di tenere la barra del suo partito al centro, anche chiedendo certezze che l’autonomia voluta dalla Lega non danneggi il Sud, altro tema caldo. Per attrarre voti di astensionisti, o delusi del centrosinistra, certamente non per sterzare in un campo di destra già molto affollato. Con la certezza che la famiglia Berlusconi «ci sarà sempre vicina» anche se Pier Silvio al momento non sembra pronto o voglioso di scendere in campo.  

L’obiettivo insomma è tenere alta la bandiera dei valori liberali e popolari del partito: «E non chiediamo affatto che sia abbassata al 3% la soglia di accesso alle Europee, non ci interessa». Ci sarà magari un cartello con altre forze centriste? «Vedremo se potrà esserci qualche intesa, ma noi andremo col nostro simbolo». E Renzi? «No grazie, a noi servono soldati, non chi si sente generale».  

  • Author: Paola Di Caro
  • Header: Corriere della Sera

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