ROMA – Il voto in Francia conterà perché «serve stabilità in Europa. Qualunque cosa la mettesse a rischio, sarebbe un danno per tutti. Poi, noi collaboreremo con il governo francese chiunque vinca. Se il mio omologo apparterrà al partito della Le Pen, mi confronterò con lui. Ma aspettiamo il secondo turno. Il nostro interlocutore principale, i Republicains, saranno decisivi. Lo ripeto: serve un’Europa stabile. E serve a tutti».
Antonio Tajani, ministro degli Esteri e leader di FI, si trova nella posizione più comoda e assieme più delicata possibile. FI è stabilmente parte del Ppe, partito decisivo per ogni alleanza europea, ma è anche il baricentro moderato della maggioranza italiana, i cui due partiti alleati — FdI e Lega — si sono schierati contro le nomine europee, gridando l’uno all’esclusione dalle trattative, l’altro al golpe.
È vero che le grandi scelte si sono fatte non tenendo conto delle posizioni sovraniste, pur consistenti in Europa. Un errore?
«Bisogna conoscere la politica europea per giudicare, non peccare di superficialità. Nella Ue ci sono diverse maggioranze. Una in Consiglio, e si crea con l’accordo tra capi di Stato e di governo in carica: è quella che ha espresso la von der Leyen. Poi ce n’è un’altra in Parlamento, che deve eleggere von der Leyen, che dà il gradimento su commissari, che può cambiare da dossier e dossier».
Meloni lamenta il fatto che l’Italia non è stata considerata come un grande Paese nella fase delle trattative.
«Io stesso, nella riunione del Ppe, ho protestato perché si doveva dare più ascolto alle nostre istanze, e ho precisato che non avremmo accettato una apertura ai Verdi, perché siamo per una terza via tra il fondamentalismo e il negazionismo climatico, la via della salvaguardia sociale ed economica dei posti di lavoro. E ho detto, e fino al 18 lavorerò per questo, che bisogna aprire ai Conservatori dei quali è leader Meloni se si vuole avere la certezza che von der Leyen venga votata. Sempre per il principio della stabilità, è bene che la maggioranza che la sosterrà sia ampia e certa».
Quindi serve un accordo con i conservatori?
«È fondamentale, non si ci si può precludere un dialogo a destra. Lo fece anche Merkel con i conservatori polacchi per far votare von der Leyen e assicurare forza alle istituzioni europee».
Perché secondo lei Meloni è stata messa a margine?
«La variabile anti-destra in alcuni settori è condizionante, ma io dico che il governo italiano non è solo composto da esponenti dei Conservatori o di Id come la Lega: ci siamo noi di FI, io che sono stato 22 anni vicepresidente del Ppe, siamo la seconda forza della coalizione, diamo equilibrio al governo e siamo pienamente affidabili. La nostra garanzia è forte. È un grave errore non averne tenuto conto. Accade perché, a differenza del passato, purtroppo mancano grandi leader che sappiano prendere in mano queste trattative».
Cosa può aspettarsi adesso l’Italia?
«L’Italia ha diritto ad avere un ruolo importante: è Paese fondatore, il secondo per manifattura, il terzo per potenza economica. Non può non avere un commissario di peso e un vicepresidente».
Fitto?
«Il commissario deve avere determinate caratteristiche: conoscere la macchina di Bruxelles, essere conosciuto e capace di passare le audizioni. Fitto ha tutti questi requisiti».
Adesso che dovrebbe fare Meloni? Votare in Parlamento von der Leyen?
«Adesso andrà avanti la trattativa tra lei e von der Leyen, che ha bisogno dei voti di FdI per essere certa della sua elezione. Ha una maggioranza, quella del Consiglio, ma le serve quella del Parlamento e ha bisogno di Meloni, che potrà far pesare i suoi voti per ottenere il meglio a livello di commissario».
C’è chi, come Feltri, dice che un partito come FI doveva far saltare il tavolo, per solidarietà a Meloni.
«Ho avuto due grandi maestri, Berlusconi e Montanelli. Non ho bisogno di altri. Io sono vicepresidente del Ppe, ho votato il mio candidato, questa è sempre stata la mia posizione e Meloni lo sa bene. Non c’è alcun problema tra noi. Apparteniamo a famiglie diverse, io non sono un conservatore, come lei non fa parte dei popolari».
La premier dovrebbe spostarsi al centro anziché dialogare con le destre estreme o immaginare una maggioranza spostata a destra?
«Lei è la leader dei Conservatori e non le dico cosa deve fare. Non si entra in un partito così, come fosse un gioco. Ci sono storie, valori, appartenenze, origini. Ognuno ha il suo Dna. Oggi conta solo che l’Europa sia forte e stabile».
La Lega si presenta sul piede di guerra.
«È sempre stato così. Le maggioranze in Europa sono diverse da quelle dei singoli Paesi. Non è la posizione della Lega a determinare la forza che avrà l’Italia anche perché, lo ripeto, ci siamo noi profondamente e lealmente ancorati al Ppe. Siamo una garanzia per tutti, nessuno potrebbe permettersi di farci uno sfregio. Non avrebbe senso per il Ppe e non lo avrebbe per l’Italia, che è Paese fondamentale per gli equilibri europei».
Ma se von der Leyen non passasse il voto di fiducia, che succederebbe a quel punto? Potrebbe toccare a lei?
«La von der Leyen passerà il voto, sarà costretta ad aprire ai conservatori e credo lo farà. Ma in ogni caso, ho già detto e ribadisco una volta per tutte che io non sono candidato, è fuori discussione».