I ruoli
Mancano leadership europee come quelle di De Gasperi o Kohl. Tutti facciano un passo avanti.
È nei momenti di massima crisi che si «possono aprire nuove opportunità», e trovare il coraggio per un «elettroshock indispensabile per salvare l’Europa dal tramonto, dal ridursi a gigante economico e nano politico, entità residuale nel nuovo scenario mondiale». Lo dice, lo invoca Antonio Tajani, per anni presidente del Parlamento europeo, vicepresidente della Commissione e oggi ministro degli Esteri di uno dei paesi «storicamente più europeisti». Per questo, nel momento in cui da Usa e Russia arrivano colpi violenti contro l’Ue, chiede a tutti «gesti di coraggio, o adesso o mai più». E dunque non «meno Europa, ma un’Europa che si rinnova e diventa protagonista e anche autonoma».
Come si fa, nel momento in cui l’Europa sembra sul punto di affondare?
«Cambiando, profondamente. L’Europa così come è strutturata non può reggere al confronto con altre potenze. E non è questione di replicare a questa o quella dichiarazione — l’America resta necessariamente il nostro principale alleato — o di pensare di essere in guerra con la Russia. Serve pensare a come noi possiamo risollevarci, non ridurci ad azioni di piccolo cabotaggio».
C’è una ricetta?
«L’Italia può avere un grande ruolo in questo cambiamento, sapendo quali sono le necessità. La prima è ritrovare un’anima politica, quella di un continente dalle radici cristiane, dell’illuminismo, dei diritti, del rispetto per la persona, l’unico che non prevede la pena di morte».
A chi spetta portare avanti questo processo?
«Abbiamo validi e capaci leader nazionali, ma mancano grandi leadership europee come quelle di De Gasperi, o Kohl, o Mitterrand. Tutti devono fare un passo avanti. Non limitarsi appunto a ragionare come leader di un paese, ma di un progetto più ampio».
Può la politica ridar forza a quello che anche la Lega, oltre ai tanti nazionalisti, ritiene un carrozzone inutile?
«Intanto provare amore di patria non significa essere nazionalisti. Tutti amiamo il nostro Paese, ma per renderlo più forte non possiamo isolarci, perché i numeri ci dicono che non possiamo confrontarci da soli con le grandi potenze mondiali. Quindi bisogna contrastare le spinte nazionaliste con riforme incisive e vere».
Istituzionali?
«A cominciare da quelle. Come diceva Kissinger “quando cerco l’Europa non so chi chiamare”. Siamo ancora lì, solo che oggi non è detto che ci sia più un’America che pensa anche a noi, anche sul fronte della sicurezza. Quindi è ora di eliminare il diritto di veto almeno per molte materie, ne parlerò con i miei alleati. Poi unificare il ruolo di presidente della Commissione europea con quello del Consiglio europeo, eletto direttamente dai cittadini. E rafforzare il Parlamento europeo, che non ha ancora iniziativa legislativa. Tutto questo per avere un’Europa più politica e meno burocratica». Per arrivare poi a quali poteri decisionali? «Quelli che deriverebbero dall’altro passaggio indispensabile, il completamento del mercato unico. Si fa con l’unione bancaria, il mercato unico dell’energia, il mercato dei capitali, le leggi sulla concorrenza, l’armonizzazione fiscale che impedisce si creino paradisi fiscali. E c’è un altro passaggio fondamentale».
Quale?
«Deve tornare la politica e finire lo strapotere delle burocrazie di Bruxelles. Non è possibile che solo perché si è studiato al Collegio di Bruges si possa pensare di avere più potere da chi è eletto dai cittadini. La burocrazia europea è elefantiaca, in poteri, in lacci e lacciuoli. Bisogna essere rapidi, veloci, elastici. Per ogni nuovi norma, due vanno abolite. E basta con politiche da harakiri, come l’esagerazione sul Green Deal che ha fatto danni a un continente industriale come il nostro. Per non parlare dell’agricoltura…».
Non sembra facile ridurre il gap rispetto alla forza militare di Europa e, dall’altra parte, Usa, Russia, Cina.
«Non è facile, ma è l’unica strada. È una necessità rafforzare la nostra difesa, il che non significa solo armi da usare contro un ipotetico nemico, ma mezzi anche per difendere la nostra economia, penso alla nostra Marina militare, alle forze che prestano servizio sotto l’egida Onu. Io penso serva un esercito comune come punto d’arrivo, ma intanto è necessario un coordinamento per una difesa comune, anche attraverso una stretta collaborazione industriale con Usa e gli altri paesi della Nato e del G7».
Si ma con quali soldi? Salvini non sembra disposto a spendere nemmeno per gli aiuti all’Ucraina.
«Il decreto anni per l’Ucraina, da usare sul proprio territorio si farà come ha detto chiaramente la premier. Non c’è dubbio sulla nostra linea. Per impegni maggiori, possiamo pensare a fondi europei ad hoc, a eurobond per rafforzarci. Perché la realtà è quella che abbiamo davanti: dobbiamo saper garantire la nostra difesa e lavorare alla riunificazione dell’Europa anche ad Est, e noi siamo i primi sostenitori dell’ingresso nella Ue dei paesi balcanici».
Quanto tempo ci vorrà? Trump minaccia di smarcarsi dalla difesa europea nel giro di mesi.
«L’unità dell’Occidente è un patrimonio irrinunciabile. Io non credo si possa fare a meno così facilmente dell’Europa, anche se è chiaro che agli Usa interessa la sfida con la Cina. Perché non è detto che la Cina rompa con la Russia e non servirebbe neanche agli Usa perdere un alleato e un continente che è un mercato di import ed export ricchissimo. E tantomeno — lo dico a tutti quelli che contestano l’importanza dalla Ue — serve all’Italia isolarsi. Dei 623 miliardi di export delle nostre aziende, oltre 200 sono verso paesi europei. Isolarsi, dire no all’Europa, ci farebbe diventare residuali e irrilevanti».