Antonio Tajani, ministro degli Esteri: l’Italia ha subito pressioni per partecipare all’offensiva militare di Stati Uniti e Gran Bretagna contro i ribelli delle Yemen?
«Nessuna pressione. Noi abbiamo sottoscritto la dichiarazione politica sulla sicurezza nel Mar Rosso — che è la più importante, e che la Francia ad esempio non ha firmato —, ma non abbiamo sottoscritto quella sugli interventi armati offensivi: una scelta da una parte obbligata, visto che ci vorrebbe prima un passaggio parlamentare, secondo la nostra Costituzione; dall’altro frutto di una convinzione politica, condivisa sia con il presidente del Consiglio, con il ministro Crosetto e con le nostre forze armate: c’è il rischio di un’escalation che vogliamo assolutamente evitare».
Eppure resta il fatto che almeno gli inglesi ci hanno sollecitato a entrare nella coalizione di cui Panno parte anche alcuni Stati europei, Ira cui Danimarca e Germania.
«Quello risale ad alcune settimane fa, molto prima degli attacchi. Rispetto alla reazione militare di tre giorni fa siamo stati informati con molte ore di anticipo, visto che siamo alleati e che abbiamo una nave militare nelle stesse acque. Noi finora abbiamo dato soltanto il nostro sostegno politico, non militare, se con questa parola si intende l’uso offensivo della forza pianificato a fini deterrenti. Ho parlato io con Blinken quando Washington ha definito la dichiarazione che autorizza la forza di alcuni Stati e gli americani sono perfettamente consapevoli della nostra posizione».
Eppure le azioni terroristiche e militari dei ribelli Houthi danneggiano anche il traffico commerciale diretto verso l’Italia, colpiscono i nostri interessi economici. Non è abbastanza per non limitarsi ad una mera azione di protezione delle nostre navi?
«Noi siamo favorevoli a una missione europea allargata, più strutturata, abbiamo chiesto al commissario Borrell di mettere all’ordine del giorno proprio questo argomento. Una missione europea diversa da quella attuale, anche con regole di ingaggio diverse, cui parteciperebbe anche la Francia, è un obiettivo di breve periodo».
Regole di ingaggio diverse significa autorizzare attacchi mirati contro gli Houthi?
«No, significa allargare il raggio di azione geografica e di risposta delle navi militari europee, ma ci vuole sempre un’intesa a Bruxelles, con tutta una serie di accordi tecnici successivi. Se si trattasse di azioni militari mirate occorrerebbe l’autorizzazione del nostro parlamento, ma bisogna andare con ordine e non prevediamo al momento che questo avvenga».
Le nostre truppe che partecipano alla missione Unifil garantiscono una zona cuscinetto di sicurezza fra Israele e Libano. Prevede cambiamenti nel loro spiegamento territoriale, un perimetro diverso delle operazioni?
«Le nostre truppe dipendono dall’Onu, sono inserite nella catena di comando delle Nazioni Unite. Ne abbiamo discusso anche con Blinken per cercare di arrivare in tutti i modi a una de-escalation».
Gli aiuti militari e finanziari all’Ucraina stanno scemando. Come si sta muovendo l’Italia per evitare che Kiev rimanga scoperta dal punto di vista militare?
«Abbiamo appena varato l’ottavo pacchetto di aiuti, stiamo facendo il massimo entro le nostre possibilità, non ci tiriamo indietro. La nostra partecipazione alle missioni di pace, insieme al nostro impegno finanziario, è molto vasta, dai Balcani al Libano, all’Africa. Ma non siamo un gigante economico».
Cosa pensa del processo per genocidio contro Israele cominciato all’Aja?
«Per noi non esiste il presupposto per un processo simile, il che significa che non ci sono dati che autorizzano a dire che uno Stato come Israele abbia posto in essere scientemente delle azioni per eliminare un’etnia dalla faccia della terra. Che poi ci siano stati degli atti e delle misure che potevano essere modulate in modo diverso è un altro discorso: abbiamo sempre raccomandato a Tel Aviv di cercare di evitare ritorsioni che coinvolgono la popolazione civile, ritorsioni eccessivamente aggressive. Da parte nostra stiamo facendo il massimo sia per aiutare i profughi palestinesi che la popolazione civile, ma non dimentichiamo mai che se la reazione di Israele deve essere proporzionata, Hamas continua a farsi scudo con il suo stesso popolo».
Cosa risponde alle opposizioni che le chiedono di riferire in Parlamento sulla situazione nel Mar Rosso?
«Sono sempre disponibile ad un confronto costruttivo».
Se Giorgia Meloni non si candidasse alle Europee sarebbe sollevato?
«Assolutamente indifferente, ma penso che lo decideremo insieme e a chi tira in ballo la stabilità della maggioranza rispondo che non c’entra nulla».