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Tajani: «Dico no al terzo mandato L’autonomia porti vantaggi a tutti» (Nuova Venezia- Mattino di Padova-Tribuna di Treviso)

L’ Europa di oggi e di domani. Le ripercussioni sul Governo del voto dell’8 e 9 giugno, ma anche terzo mandato, autonomia e politica internazionale. Il ministro degli Esteri, e uno dei due vicepremier in carica, Antonio Tajani, ospite ieri del Messaggero Veneto, ha affrontato tutti i temi principali dell’agenda nazionale e internazionale.

 

Ministro, prima di tutto cosa ne pensa dell’arresto del presidente Toti?

«Ho fiducia nella magistratura, ma sono garantista e convinto che Toti avrà la forza e la determinazione per uscire indenne da queste accuse. Certo, come dice il ministro Nordio, le tempistiche potevano essere diverse. Decisioni come queste, con indagini in corso da anni, potevano essere prese un mese prima oppure un mese dopo. Anche per evitare polemiche in piena campagna elettorale. In fondo non mi pare ci fosse alcun pericolo di fuga».

Piena campagna elettorale per le Europee dove anche lei è candidato con la consapevolezza, però, che non andrà a Bruxelles…

«Mi sono candidato perché è la prima campagna elettorale di Forza Italia senza Berlusconi ed è mio dovere, da segretario nazionale, chiedere agli elettori una grande mobilitazione per il partito. In momenti come questi un segretario deve dare l’esempio. L’altro motivo, invece, è che, essendo l’unico che ha ricoperto ruoli apicali in tutte e tre le istituzioni europee, vorrei mettere la mia esperienza al centro per discutere di questioni comunitarie. Siamo l’unico movimento che ha scritto un programma elettorale che è la trasposizione italiana di quello approvato dal Ppe: dall’ambiente, all’energia, alla politica di difesa comune, fino all’economia».

E come potrà farlo se non sarà in Europa?

«Io ci sarò comunque a Bruxelles e Strasburgo. Sono vicepresidente del Ppe, nel Consiglio europeo essendo ministro degli Esteri, nonché il segretario nazionale di uno dei partiti della principale famiglia europea. Ai tavoli comunitari mi siederò sempre e proprio perchè conosco la macchina sono in grado di muovermi al meglio. Anche perché il presidente della Commissione europea, così come quello del Parlamento, lo decide il Ppe. Ed è per questo che l’unico voto utile l’8 e il 9 giugno è quello per Forza Italia. I singoli partiti italiani da soli in Europa non pesano nulla. Contano le famiglie europee e a Bruxelles la principale è quella del Ppe di cui è parte, da sempre, Forza Italia».

Voi siete per il bis di von der Leyen e Salvini no. Che messaggio arriva a chi votano a centrodestra?

«I trattati impongono il voto proporzionale ed è dal 1994 che Forza Italia e Lega appartengono a famiglie politiche diverse. Tra l’altro Salvini non mi ha nemmeno votato come presidente del Parlamento europeo. Un conto è la politica italiana, un altro quella europea».

In che senso?

«Conosco bene la politica di Bruxelles e posso assicurare a tutti che noi con Alternative für Deutschland non andremo mai. Il Ppe, in un congresso in cui si è regolarmente votato, ha indicato all’80% von der Leyen come possibile presidente della Commissione. Ma è il Consiglio europeo che decide il nome del presidente in base ai risultati elettorali. Nel 2019 noi avevamo indicato Manfred Weber, poi il Consiglio scelse von der Leyen perché ci opponemmo al socialista Frans Timmermans».

Quindi come pensa di muoversi questa volta?

«La migliore alleanza possibile in Europa è quella tra popolari, liberali e conservatori. Quella che mi ha eletto. Sono stato il primo a sconfiggere la sinistra e i socialisti. E su questo tema non prendo lezioni da nessuno».

È possibile un rimpasto di governo nazionale dopo le Europee?

«No, sono soltanto chiacchiere. Resto il principale difensore della coalizione di centrodestra e sono leale sia nei confronti della Lega sia di Fratelli d’Italia. I cittadini ci hanno scelto per governare. In Europa ci sono le famiglie politiche, non i singoli partiti. È una realtà completamente diversa».

Quale sarà il tema fondamentale, allora, del prossimo quinquennio europeo?

«La politica ambientale ed energetica che deve essere diversa da quella svolta in questa legislatura sotto la guida di Timmermans che ha dato vita a una strategia molto teorica, con una visione ideologica che ha messo in difficoltà industria e agricoltura. È giusto combattere il cambiamento climatico, ma in maniera pragmatica e con obiettivi raggiungibili. Per quello dico che dobbiamo lavorare sul nucleare di quarta generazione. Non possiamo più evitare, inoltre, di compiere passi in avanti sul tema della difesa europea».

In questa nuova Europa lei immagina un ruolo specifico per Draghi?

«È un uomo di grande peso, ma deve essere indicato da qualcuno. Io non lo tirerei per la giacchetta. Mi pare prematuro parlare di incarichi. Penso sempre, tuttavia, che deve essere la politica a governare le vicende. Siamo in democrazia e non può farlo né l’economia né la burocrazia».

In politica interna lei ha detto che “vigilerete” sull’autonomia differenziata. Cosa intendeva?

«Significa che faremo in modo, attraverso ordini del giorno, che ci sia la possibilità di ottenere i Lep prima dell’entrata in vigore della riforma perché l’autonomia deve essere ugualmente vantaggiosa per un veneto, un lucano e un campano. Detto questo, vorrei ricordare che se non ci fosse stata Forza Italia con i suoi parlamentari e con il suo presidente della Commissione, la legge non sarebbe passata alla Camera. Noi eravamo presenti, altri erano assenti. Questo significa vigilare sull’autonomia, anche sulla sua attuazione che era e rimane parte del programma di Governo».

Ci sono ancora spiragli per il terzo mandato?

«Sono culturalmente contrario al terzo mandato. Ma anche per Bardi e, mi auguro, per Cirio. Non è un problema personale, è una questione di principio. Bisogna evitare incrostazioni di potere quando ci sono ruoli come il governatore che nella sua Regione ha poteri superiori a quelli del presidente del Consiglio in Italia. Se nella riforma del premierato inseriamo il limite dei due mandati, non vedo perché non dovrebbe essere lo stesso per i presidenti di Regione».

Quanto durerà ancora la sospensione di Schengen a Nord Est?

«La rotta balcanica ci preoccupa come potenziale direttrice di arrivo di terroristi ed è per questo che abbiamo chiesto alla Slovenia la sospensione del trattato di libera circolazione. Temo che dovremo prorogarlo oltre la scadenza di giugno. Garantiremo, però, una sorta di corridoio privilegiato per i transfrontalieri come, peraltro, avviene già adesso visto che non sono sottoposti alle medesime tipologie di controlli delle altre persone».

Non c’è nemmeno un possibile orizzonte temporale per ritornare alle frontiere aperte?

«È tutto legato alla situazione in Medio Oriente».

Avete avuto segnalazioni di rischi particolari?

«Non a livello di organizzazioni terroristiche vere e proprie, ma c’è il rischio di lupi solitari oppure di persone che si autoradicalizzano. Bisogna continuare a fare attenzione e la nostra è massima soprattutto sui due fronti di crisi: Ucraina e Palestina. Ma non siamo a un passo dalla guerra, almeno per quanto ci riguarda, siamo chiari. Gli unici veri attacchi che continuiamo a subire sono quelli cibernetici».

L’iniziativa di Macron, quindi, è personale?

«Non ne abbiamo mai parlato in Europa, al G7 e nemmeno in sede Nato. Non siamo in guerra con la Russia e le armi inviate a Kiev hanno il vincolo di non poter essere utilizzate oltre il confine ucraino».

Salvini però non vuole più mandarne altre…

«L’Ucraina non deve perdere la guerra. Decideranno governo e Parlamento, ma la firma in calce all’autorizzazione è in capo al ministro della Difesa e a quello degli Esteri».

 

  • Autore: Mattia Pertoldi
  • Testata: Nuova Venezia- Mattino di Padova-Tribuna di Treviso

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