Settant’anni fa, nel 1955, a Messina e Taormina si gettarono le basi dell’unione europea con la riunione, voluta da Gaetano Martino, dei sei ministri della Ceca: la Comunità del carbone e dell’acciaio. Antonio Tajani ora è a Messina con i suoi colleghi dei governi europei e decine di esperti e docenti – da Luigi Gianniti a Ernesto Galli della Loggia ad Angelino Alfano e così via – con lo scopo di «valorizzare il passato per costruire il futuro».
Ministro Tajani, le guerre in Iran e a Gaza devono spingere l’Europa a svolgere un ruolo di stabilizzazione nell’area del Mediterraneo e nel sud del mondo?
«Assolutamente sì. L’Europa deve agire sempre di più e tutta insieme. Guai se i Paesi del nostro continente continuassero a muoversi in maniera separata e non in un’ottica comunitaria. Ricordiamoci sempre che cosa accadde in Libia con la cacciata di Gheddafi. Tutte le rivalità tra i Paesi europei ci hanno portato a contare di meno e non di più in quell’area. Dobbiamo mettere in campo un autentico e forte “sovranismo europeo” che è la garanzia per tutti gli interessi dei Paesi Ue. La guerra in Iran deve spingerci a questo salto di qualità. Se non lo facciamo, compiamo un grande errore politico che pagheremo a caro prezzo».
Il cancelliere Merz dice che Israele in Iran sta combattendo per tutti noi. È così?
«Credo che il capo del governo tedesco voglia dire, ed è così anche per me, che Israele difende un modello di società e di democrazia. La democrazia a mio avviso non è un sistema immune da errori, però è il miglior sistema possibile. E Israele è una democrazia. Non bisogna mai confondere Israele con i suoi governi».
Sta dicendo che Netanyahu sbaglia molto?
«Israele ha ragione sulla bomba atomica iraniana. L’Iran ha sempre avuto una linea guida: cancellare lo Stato d’Israele dalla carta geografica. E se Teheran si costruisce la bomba atomica e oltrepassa, come ha certificato l’Onu, la linea rossa, Israele ha il diritto all’autodifesa».
Non si poteva usare meglio l’arma diplomatica con l’Iran invece di arrivare a questo punto?
«Sono stati fatti tanti tentativi di dialogo, da anni, ma purtroppo sono tutti falliti e l’Iran si è voluta avviare a una escalation atomica non tollerabile, perché getta insicurezza sul mondo intero».
Trump sta per intervenire direttamente contro l’Iran. Fa bene? Scelta giusta o sbagliata?
«È una decisione degli Usa la qualità del tipo di sostegno a Israele».
La Ue non può spingerlo a fermarsi?
«È difficile interpretare il pensiero di Trump. Cambia spesso posizione. E bisogna valutare le sue decisioni quando le prende davvero. La linea del G7 è comunque che si ritorni a trattare tra Stati Uniti e Iran sul nucleare. Oggi sembra impossibile, ma quel tavolo mediato dall’Oman, che l’Italia sostiene fino in fondo, è l’unico luogo dove possiamo riprendere un confronto diplomatico. Ma è l’Iran che deve essere pronto a tornare al negoziato. Con un obiettivo chiaro: Teheran non può pretendere di avere la bomba».
Se l’America si getta nella guerra, c’è il pericolo che il terrorismo fondamentalista impazzi in Europa e in Italia?
«Il rischio terrorismo c’è sempre. L’Italia, per evitarlo, sta facendo la sua parte con il lavoro certosino dell’intelligence, delle forze dell’ordine. L’Italia è pronta a fare la sua parte a tutti i livelli, quello della sicurezza per i propri cittadini e quello più generale per favorire la de-escalation. È giunto il momento di fermarsi e lasciare che sia la diplomazia a parlare, non le armi».
Lei parla molto con i governi dei Paesi arabi moderati. Che posizione hanno?
«Vogliono tutti la de-escalation. E la loro mobilitazione è di cruciale importanza. Ancora però, per loro e per tutti noi, la fase è molto fluida ed incerta».
Una cosa sembra certa: che l’Europa balbetta o non c’è.
«Ci sono gli Stati europei e non c’è ancora l’Europa in politica estera. Deve rafforzarsi il coordinamento degli europei sul piano della sicurezza così come è stato fatto per i dazi. L’azione italiana con l’amministrazione Usa è sempre stata finalizzata a sostenere, sulle tariffe, una politica comune europea e a mettere a disposizione dell’Europa le risorse diplomatiche italiane e il nostro buon rapporto con la Casa Bianca. Questo nostro approccio è stato capito: anche nella politica di sicurezza tutti, per la de-escalation, devono lavorare con questo spirito di collaborazione costante».
Lei vede poco impegno comune?
«Io credo che ogni Paese europeo sia troppo piccolo per contare a livello globale, mentre l’Europa non è troppo piccola per farsi valere sulla dimensione più larga. Tutto quello che sta accadendo ci deve far comprendere che la difesa comune significa avere più peso nelle crisi».
Lei si augura un cambio di regime a Teheran?
«L’operazione militare israeliana si chiama “Resurrezione del leone” e il leone era raffigurato nella bandiera dello scià. Il messaggio lanciato dagli israeliani è che bisogna tornare all’epoca precedente alla teocrazia…».
Ma la democrazia è esportabile?
«Sì può diffondere lo spirito della democrazia, ma non si deve imporre con le armi un modello di civiltà occidentale. Gli Alleati nel 1945 sono stati determinanti per riportare la democrazia in Europa e in Italia ma noi abbiamo sviluppato il nostro modello di ordine sociale e politico. E il compito che i padri dell’Europa hanno indicato è stato quello di un’Unione garante di libertà e di pace. Questa idea è talmente attuale che noi siamo tornati a Messina per ripartire da quello slancio del ’55».
Ma ora c’è il futuro che inquieta.
«Guardi che è nella storia la chiave del domani che sapremo costruire. Andiamo avanti seguendo il percorso tracciato da quei volenterosi che fecero dell’Europa un modello positivo di democrazia e di sviluppo. C’è ancora tanta strada da fare».