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Tajani: «E’ una cosa da giacobini. Il giudice applica la legge, non sceglie le destinazioni. Ma noi andiamo Avanti.” (Corriere della Sera)

Tajani: «E’ una cosa da giacobini. Il giudice applica la legge, non sceglie le destinazioni. Ma noi andiamo Avanti.” (Corriere della Sera)
Tajani: «E’ una cosa da giacobini. Il giudice applica la legge, non sceglie le destinazioni. Ma noi andiamo Avanti.” (Corriere della Sera)

Tajani: la Palestina? Avviamo il percorso per creare uno Stato.

Roma «Posso dirlo: a me questa cosa fa quasi sorridere». Antonio Tajani sta parlando del pronunciamento della Corte di Giustizia europea: sulla sicurezza delle destinazioni di rimpatrio degli immigrati, decidono i giudici.

Sorridere? Nel centrodestra è l’unico…

«Ma sì… come si può pensare che un magistrato decida se un Paese è sicuro? Alla lista lavorano tante persone tutto l’anno per valutare i vari parametri, con ambasciate e diplomatici. Non è una decisione individuale, non è un ministro che decide da solo. È frutto del lavoro dei ministeri, Palazzo Chigi, Interni, ambasciatori, funzionari… Vogliamo mettere alla Farnesina un magistrato? Solo nelle dittature giudiziarie tutti sono sindacabili tranne i giudici, è una cosa da giacobini. II giudice deve applicare la legge, non scegliere le destinazioni sicure. Questa non è certezza, ma incertezza del diritto».

Se tutto va bene, il nuovo Patto europeo per i migranti e l’asilo entrerà in vigore soltanto il giugno prossimo. E intanto?

«Lo ha detto anche Palazzo Chigi: noi intendiamo andare avanti. Poi, c’è anche la possibilità che la Commissione decida di anticiparne i tempi…».

Il presidente Mattarella e la premier Meloni hanno avuto parole dure su quanto avviene a Gaza. Anche l’Italia riconoscerà lo Stato palestinese?

«Ne abbiamo parlato anche nei giorni scorsi. II riconoscimento è un atto formale importante, e noi siamo concretamente favorevoli. Ma oggi non ci sono i presupposti concreti per uno Stato palestinese. Dobbiamo costruire le condizioni per uno Stato che riconosca Israele e sia riconosciuto da Israele. La reciprocità non è secondaria. Gaza e Cisgiordania dovrebbero essere riunificate. Le Nazioni Unite potrebbero guidare una missione di caschi blu a guida araba per garantire la stabilità della Striscia, l’Italia sarebbe pronta a partecipare».

È in arrivo un «però»?

«Però non possiamo riconoscere qualcosa che di fatto non esiste, ripeto che il riconoscimento deve arrivare alla fine di un percorso, quando ci saranno tutti gli “ingredienti” costituzionali di uno Stato. A settembre, all’Assemblea Onu se ne discuterà in maniera approfondita, ma intanto dobbiamo raggiungere il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi».

Quindi, per ora si continua con gli aiuti umanitari?

«Certo. E siamo in grado di farlo soltanto in forza del nostro rapporto con Israele. Badi bene: la nostra condanna per quello che accade è chiara, l’hanno ribadito sia Mattarella che Meloni. Quel che sta facendo il governo israeliano è oltre la linea rossa. Con i coloni violenti bisogna inasprire le sanzioni. Ed è assurdo sparare contro una chiesa o assaltare villaggi cristiani in Cisgiordania. I cristiani sono un elemento di stabilità in tutto il Medio Oriente, impermeabili ad Hamas. Perseguitarli non è utile nemmeno a Israele, significa rafforzare Hamas».

Il presidente Trump ha spostato i sottomarini nucleari. Dobbiamo avere paura?

«È un messaggio politico a una Russia che risponde in maniera aggressiva ogni volta che le si chiede di arrivare alla pace. Trump si è mostrato disponibile al dialogo, ma ha ricevuto in cambio le dichiarazioni aggressive di Medvedev. Gli Usa sono favorevoli a un accordo, Trump ha fatto fin troppo per arrivare alla pace. Ma di certo non si fanno prendere in giro da Putin».

I dazi però preoccupano.

«Ci vorrà tempo per comprendere tutto. L’accordo quadro andrà declinato prodotto per prodotto, un lavoro certosino che dovremo fare con Usa e Bruxelles. E vero che il 15% è tanto, però è il miglior accordo che si poteva fare. Guardiamo anche i dazi altrove: l’India è al 25%, il che apre anche opportunità per noi. Io resto convinto che la Bce debba ridurre ulteriormente il costo del denaro, fare quantitative easing, immettere denaro sul mercato. II rapporto eurodollaro è tutto a nostro svantaggio, con la moneta Usa calata del 13% da inizio anno».

 E come si può fare?

«Se l’euro si svaluta è meglio. E poi, si dovrebbero aggiornare alcuni strumenti. Si potrebbe anche, attraverso una decisione comunitaria, rimodulare lo strumento Sme supporting factor contenuto negli accordi di Basilea. Il limite per i prestiti alle piccole imprese oggi è a 2,5 milioni, io penso si possa arrivare a 5. In ogni caso, il mercato interno Ue è la nostra grande risorsa. Ma per rilanciare il potere di acquisto, occorre ridurre la pressione fiscale. E io oggi so- no a Reggio Calabria per la tre giorni di Forza Italia da cui usciranno le nostre proposte al governo per il Sud».

Roberto Occhiuto, il governatore di FI della Calabria, ha dato le dimissioni a sorpresa. Lei è d’accordo?

«È stato un atto di coraggio che gli permette di rimettere in moto la macchina amministrativa. I tempi della giustizia non sono quelli della politica, quando c’è un’inchiesta tutti si fermano, hanno paura di firmare. Come sta accadendo a Milano: si bloccano le città e si bloccano le regioni. Io sono garantista nei confronti di Occhiuto, di Sala, di Ricci: la giustizia deve fare il suo corso ma è impensabile paralizzare le amministrazioni».

A quando il tavolo per le candidature delle Regionali?

«La data non è ancora fissata: domani saremo insieme ad Ancona con Giorgia Meloni e Matteo Salvini e magari lì decideremo quando trovarci. Tenete comunque conto del fatto che noi non abbiamo i problemi della sinistra, la nostra è un’alleanza politica strutturata e non elettorale che è rimasta tale dal 1994. In ogni regione correremo con un candidato unitario».

  • Autore: Marco Cremonesi
  • Testata: Corriere della Sera

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