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Tajani: «In Italia accolti 181 bimbi. Siamo il Paese UE che ha salvato più vite a Gaza» (Il Messaggero)

Tajani «In Italia accolti 181 bimbi» (Il Messaggero)
Tajani «In Italia accolti 181 bimbi» (Il Messaggero)

Il dibattito sterile lo lasciamo agli altri. Noi per aiutare il popolo palestinese ci muoviamo con fatti concreti, e continueremo a farlo. Domani (oggi, ndr) lo dimostriamo». Antonio Tajani risponde al telefono alla vigilia dell’arrivo nella Capitale della ministra degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese, Varsen Aghabekian. Con lei il vicepremier oggi farà visita ad alcuni dei bambini che l’Italia è riuscita a evacuare dalla Striscia, per essere curati negli ospedali romani: Umberto I, Bambin Gesù, Gemelli. «Siamo il quarto Paese al mondo, dopo Qatar, Arabia Saudita ed Egitto, per minori portati in salvo da Gaza: ne abbiamo fatti uscire 181. Più di tutti gli altri Paesi europei messi insieme».

Ministro, prima di parlare di Palestina partiamo dall’accusa del primo ministro francese Bayrou all’Italia di praticare “dumping fiscale”.

«Sono sbalordito, un’accusa frutto di un ragionamento totalmente sbagliato. Non voglio commentare la situazione politica ed economica in Francia, ma se l’Italia procede su un percorso economico positivo e mantiene una solidità politica rilevante questo non è perché pratica dumping fiscale e non cospira contro altri paesi europei. Ci sono altri, veri paradisi fiscali in Europa, ci sono altre profonde anomalie nella Ue che andrebbero corrette, queste sono le anomalie da contestare».

Torniamo al capitolo Gaza. Nella Striscia si continua a morire: alcune stime parlano di oltre 120 bambini deceduti per denutrizione.

«E questo è inaccettabile. L’Italia sta facendo tutto il possibile per alleviare le sofferenze dei civili, sulle quali anche Hamas ha molte responsabilità. Grazie al progetto Food for Gaza, dal 7 ottobre abbiamo fatto entrare nella Striscia oltre 200 tonnellate beni alimentari. Lavoriamo in continuazione con la nostra Unità di crisi, con la Protezione civile e la Difesa per altre evacuazioni di minori e dei loro familiari, e contiamo di farne arrivare ancora molti. Non è facile. Ma tutto questo non si potrebbe fare se tagliassimo i ponti con Israele».

Quindi il governo resta contrario all’ipotesi di sanzioni per Tel Aviv o per singoli ministri del governo Netanyahu?

«La nostra linea, che ho condiviso in pieno col ministro degli Esteri tedesco Wadephul sabato a Copenaghen, è che bisogna sanzionare i coloni violenti che in Cisgiordania attaccano anche i cristiani. E questo è gravissimo, non perché le loro vite valgano di più, ma perché i cristiani rappresentano un elemento di dialogo: colpire le loro comunità e le loro chiese vuol dire ridurre la possibilità di arrivare alla pace».

L’Ungheria però sui coloni è contraria. La convincerete?

«Mi auguro di sì perché qui non c’entra l’amicizia con Israele: si tratta di condannare dei violenti che impediscono il raggiungimento della pace. Una pace che dev’essere basata sul principio dei due Stati: per questo diciamo no a ogni ipotesi di annessione della Cisgiordania, che minerebbe le basi per la nascita di uno stato palestinese».

È questo il messaggio che oggi consegnerà alla ministra dell’Anp?

«L’Anp è il nostro interlocutore in Palestina e lo sosteniamo: è da lì che bisogna partire per far nascere uno stato palestinese, il cui futuro dev’essere libero da Hamas. Vogliamo farlo insieme ad Arabia saudita, Egitto, e agli altri paesi arabi alla guida di questo processo».

E Roma che ruolo può avere?

«Come ho anticipato l’altroieri al ministro saudita, appena si aprirà questa fase l’Italia è pronta a inviare truppe italiane sotto l’ombrello di una missione Onu sul modello Unifil per riunificare Gaza e la Cisgiordania. Così come ribadisco che è un errore non concedere il visto al leader dell’Anp Abu Mazen per parlare alle Nazioni unite. Bisogna continuare ad avere un interlocutore nel mondo palestinese, e non può che essere la Anp».

Il governo però non riconosce lo stato di Palestina.

«Riconosce l’Autorità Palestinese, non ancora uno “Stato” perché ad oggi non c’è, va costruito. Altri Paesi lo hanno fatto: le sembra sia cambiato qualcosa? C’è chi fa le mozioni e chi prova a rendersi utile. Prima diamo un segnale sanzionando i coloni. Quanto alle armi, checché se ne dica, dal 7 ottobre Roma non ne ha più inviate».

Come inciderà sulla guerra l’uccisione del portavoce di Hamas?

«Israele ha già vinto la guerra contro Hamas. Tel Aviv ha il diritto di difendere la propria sicurezza, di pretendere la liberazione ostaggi. Ma non ha il diritto andare oltre la linea rossa di una reazione proporzionata».

Intanto crescono le richieste di visti per gli studenti che hanno ottenuto borse di studio nelle università italiane. Si riuscirà a concederli?

«Bisogna far uscire gli studenti facendoli transitare per un paese arabo. Abbiamo riservato 100 borse di studio agli studenti palestinesi, è il nostro piccolo o grande contributo alla formazione di una nuova classe dirigente per il futuro Stato palestinese. Il nostro ambasciatore in Giordania in queste ore sta avendo colloqui per creare un “corridoio universitario” dalla Palestina. Non è semplice, abbiamo superato i problemi burocratici per il rilascio dei visti ma restano alcune posizioni politiche dei Paesi della regione su cui bisogna lavorare».

E il piano per una Gaza “riviera” del Medio Oriente?

«Temo sia un libro dei sogni. Magari si potesse trasformare Gaza nella Costa Azzurra, invece che nel luogo di una carneficina. Ogni piano può essere interessante, ma la prima cosa da fare è un cessate il fuoco. E non vedo segnali incoraggianti».

Anche sul fronte ucraino se ne vedono pochi.

«Resto molto cauto. Dopo l’incontro in Alaska ho detto che si vedeva una luce in fondo al tunnel, ma siamo ancora nel tunnel. La palla è nel campo di Putin, che però punta a conquistare territori. Finora non ha ottenuto grandi risultati ma ha un milione e mezzo di soldati che paga tre volte la media, e un’industria che ormai è bellica. Non può tornare indietro facilmente. Continuerà a prendere tempo, non ci illudiamo».

Intanto lui cerca un asse con Xi e Modi. L’Occidente che può fare?

«Mettergli ulteriore pressione. Con sanzioni finanziarie che gli taglino i fondi per l’esercito. Ne abbiamo discusso con gli altri ministri Ue a Copenaghen: l’orientamento è di procedere con un nuovo pacchetto di sanzioni, che credo possa arrivare in tempi rapidi».

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