Presidente Tajani, la “Dichiarazione” di cui si celebra l’anniversario è tra gli atti fondativi dell’Europa unita come la conosciamo. In questi 70 anni sono stati compiuti grandi passi, eppure ogni tanto torna a essere evocato quello “spirito di Messina” che allora risultò decisivo per superare diffidenze e contrasti tra i Paesi fondatori. In questi mesi, nei momenti delle difficoltà europee, lei avverte ancora qualche volta l’afflato di uno “spirito” comunitario, oppure prevalgono sempre soltanto i calcoli di parte e gli interessi nazionali?
«L’attuale contesto geopolitico pone l’Unione Europea di fronte a sfide esistenziali a causa dei numerosi conflitti in atto, al terrorismo, alle pressioni migratorie sempre crescenti, al protezionismo e alle disuguaglianze sociali ed economiche. Oggi come settanta anni fa, abbiamo il dovere di agire insieme, nel solco di quanto fatto dai Padri fondatori della nostra Unione. Non si può negare che gli interessi nazionali giochino un ruolo importante nel negoziato europeo, ma sarebbe miope limitarsi a questo aspetto. Non possiamo dare per scontato un progetto europeo che in pochi decenni è riuscito a trasformare un gruppo di Stati in guerra tra loro in un’Unione dotata di istituzioni comuni e di forti valori. L’Unione Europea è motore di pace, libertà, democrazia e crescita, fondata sui diritti umani e lo Stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare. In una società vorace di risposte immediate, bisogna avere la lungimiranza di prendere decisioni ambiziose, pur con un approccio pragmatico. È proprio questo lo “spirito di Messina” che intendiamo rievocare il 18 e 19 giugno».
L’incontro di Messina si svolge in una città che per l’Italia è davvero una porta verso il Mediterraneo, da dove arrivano in questi giorni segnali e immagini terribili. Dobbiamo temere anche per la nostra sicurezza nazionale?
«Come ho detto il 14 giugno intervenendo davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato, fin dall’inizio degli eventi tra Israele e Iran ho seguito personalmente dall’Unità di Crisi della Farnesina l’evoluzione della situazione sul terreno, per valutare l’impatto e le conseguenze dell’operazione israeliana e il quadro di sicurezza per gli italiani nella regione. Mi tengo in costante contatto con le nostre Ambasciate a Teheran e Tel Aviv e il Consolato Generale a Gerusalemme. Attualmente si trovano circa 50.000 italiani in tutta la regione mediorientale. La presenza più significativa è in Israele, con circa 20.000 connazionali, mentre sono circa cinquecento quelli residenti in Iran. Al momento non ci sono state segnalate situazioni critiche. A questi si aggiungono i nostri militari presenti nell’area, dall’Iraq al Libano, dal Golfo al Sinai. Le nostre Ambasciate sono in contatto con tutti i connazionali che hanno chiesto informazioni per rientrare in Italia. Stanno tutti bene e stanno ricevendo ogni possibile assistenza, tenendo conto dell’interruzione del traffico areo nella regione. Come ho detto in Parlamento, noi siamo convinti che le implicazioni di un prolungato scontro militare tra Israele e Iran sarebbero di portata estremamente rilevante. Le ripercussioni si farebbero sentire non solo sul piano della sicurezza regionale, ma anche su quello economico, energetico, umanitario e migratorio. Per questo, il Governo italiano è in prima linea per favorire la de-escalation. Ora più che mai è il momento di riannodare le fila del dialogo e del negoziato. Dobbiamo evitare altre tragedie umanitarie, economie distrutte e una insicurezza regionale ben oltre il livello di guardia. È giunto il momento di fermarsi, di negoziare e di lasciare che sia la diplomazia a parlare, non le armi. L’Italia è pronta a fare la sua parte, a tutti i livelli. Lo dobbiamo ai nostri cittadini, ai nostri soldati che partecipano alle operazioni in pace nella regione e ai nostri popoli amici del Medio Oriente».
Torniamo a Messina 1955. Da allora in avanti, l’unificazione europea procedette essenzialmente sulle materie economiche e commerciali, e infatti il primo passo successivo fu la nascita del MEC. Quali sono, secondo lei, le scelte recenti più importanti fatte dall’Europa nel percorso di unificazione in altri campi: politico, finanziario, giuridico, e per forza di cose anche militare?
«Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad importanti passi in avanti nell’integrazione europea, in primis sul piano economico-finanziario. Penso ad esempio alla risposta che abbiamo saputo dare alla sfida della pandemia: col programma Next Generation EU abbiamo visto una mutualizzazione del debito impensabile fino a pochi anni fa, all’insegna della solidarietà tra gli Stati membri. La collaborazione europea non è mancata anche nella riforma del Patto di stabilità, con cui abbiamo cercato di introdurre un equilibrio più politico tra rigore e crescita, adattando le regole di bilancio europee alla realtà di un mondo in costante cambiamento. Sul piano giuridico, è in corso un lavoro per approfondire ipotesi per rendere più efficiente il funzionamento della nostra Unione. Infine, in ambito di difesa, vogliamo rafforzare il coordinamento tra l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea attraverso il consolidamento del pilastro europeo della Nato. Ne abbiamo parlato proprio pochi giorni fa, il 12 giugno, a Roma con i Paesi del “Gruppo Weimar plus” insieme al Segretario Generale della NATO Mark Rutte, anche in vista del Vertice dell’Aja. Dobbiamo reagire compatti per affrontare le sfide attuali e garantire la nostra sicurezza, soprattutto alla luce dei recenti sviluppi in Medio Oriente con l’intensificarsi delle ostilità tra Israele e Iran.
A Messina, la Sicilia e il Sud furono testimoni diretti di un passaggio della storia dell’Europa unita. Da allora, l’Unione ha destinato alla crescita di queste regioni molte attenzioni e risorse e, in ultimo, una quota molto significativa degli investimenti del NextGenEu. Qual è il suo bilancio delle capacità del Mezzogiorno di sfruttare queste risorse, visto che in Italia e in altri Paesi comunitari continua a esserci tanta diffidenza su questo punto?
«Io penso che il Sud abbia dimostrato di saper cogliere l’opportunità storica rappresentata dal Next Generation EU. Il Pnrr italiano ha deciso di destinare una parte importante delle sue risorse al Mezzogiorno, per lo sviluppo di progetti che apportino vero valore aggiunto al territorio. Penso alla misura da 1,2 miliardi – di cui la Farnesina è titolare il cui 40 % è destinato alle imprese del Meridione: quella che chiamiamo “quota Sud”. Grazie a queste risorse abbiamo agevolato i processi di transizione digitale ed ecologica delle nostre imprese, favorendone al contempo la competitività sui mercati globali con ricadute positive per lo sviluppo del territorio nazionale e delle comunità locali. Penso anche al Progetto Pnrr “Turismo delle radici”, che contribuisce a valorizzare e far conoscere all’estero le aree rurali, i piccoli Comuni e i Borghi del nostro Paese. Il Sud Italia ha visto emigrare molti nostri connazionali e può trarre grande beneficio da tale iniziativa, con la quale la Farnesina, in sinergia con gli enti locali, offre agli ottanta milioni di italiani e italo-discendenti nel mondo l’opportunità di scoprire e visitare i luoghi di origine dei loro familiari, contribuendo allo stesso tempo a rilanciare l’economia di territori che non rientrano tra le mete turistiche principali. Inoltre, il MAECI si troverà a gestire per la prima volta anche risorse europee del Fondo sviluppo e coesione. Queste risorse saranno distribuite proprio ai territori del Centro-Sud per realizzare interventi di investimento legati alla promozione del turismo, in particolare quello di ritorno, e dello sport, contribuendo così alla crescita economica e sociale del Mezzogiorno. Oggi cominciamo a vedere gli effetti di questi investimenti, sia in termini di rilancio del territorio che di stimolo al tessuto economico. In molte realtà del Mezzogiorno, il Pnrr si è già tradotto in crescita, impresa, occupazione. Si tratta di un modello che dobbiamo essere capaci di pubblicizzare in tutta Europa, altrimenti non saremo mai capaci di sconfiggere narrazioni poco aderenti alla realtà».