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COMUNICAZIONI DEL GOVERNO SULLO STATO DELLE MISSIONI IN CORSO E DEGLI INTERVENTI DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E A SOSTEGNO DEI PROCESSI DI PACE DI STABILIZZAZIONE

COMMISSIONI RIUNITE E CONGIUNTE


3a (Affari esteri, emigrazione) e 4a (Difesa) del Senato della Repubblica e


III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) della Camera dei deputati


COMUNICAZIONI DEL GOVERNO SULLO STATO DELLE MISSIONI IN CORSO E DEGLI INTERVENTI DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E A SOSTEGNO DEI PROCESSI DI PACE DI STABILIZZAZIONE


13a seduta: mercoledì 16 gennaio 2013


Presidenza del presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica DINI

I N D I C E

Comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace di stabilizzazione


PRESIDENTE


BARBATO Francesco (IdV), deputato


BONINO (PD), senatrice


BONIVER (PdL), deputata


DI PAOLA, ministro della difesa


MANTICA (FDI-CDN), senatore


MECACCI (PD), deputato


NEGRI (PD), senatrice


PERDUCA (PD), senatore,


RAMPONI (PdL), senatore


TEMPESTINI (PD), deputato


TERZI DI SANT’AGATA, ministro degli affari esteri


TORRI (LNP), senatore


Intervengono il ministro degli affari esteri Terzi Di Sant’Agata, il ministro della difesa Di Paola, i sottosegretari di Stato per gli affari esteri Marta Dassu’ e De Mistura e per la difesa Magri.



 


PROCEDURE INFORMATIVE


Comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace di stabilizzazione



PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace di stabilizzazione.


Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, sono state chieste l’attivazione dell’impianto audiovisivo e del segnale audio e che la Presidenza del Senato ha preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non si fanno osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.


Diamo il benvenuto agli onorevoli Ministri per questa audizione, che era già stata programmata. Ringrazio i Ministri per aver dato la loro disponibilità a riferire sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. Questa audizione si svolge in ossequio ad un’espressa previsione normativa, che avevamo inserito su iniziativa di diversi colleghi, per garantire una puntuale informazione al Parlamento. Si tratta di una previsione che accompagna la scelta, fortemente voluta dal Parlamento, di dare una cadenza annuale al provvedimento di autorizzazione e rifinanziamento delle missioni stesse. La scorsa settimana le Commissioni affari esteri e difesa del Senato hanno concluso l’esame del provvedimento che riguarda i primi nove mesi di quest’anno e che sarà posto all’attenzione dell’Aula nella tarda mattinata di oggi.


In quell’occasione da più parti ‑ ricordo in particolare le puntuali questioni poste dalla vice presidente Bonino e dal senatore Mantica ‑ erano state sollevate richieste di approfondimento circa la missione europea in Sahel. I recenti sviluppi della situazione in Mali e le prospettive di una missione europea (materia che penso sarà discussa domani al Consiglio dei Ministri degli affari esteri dell’Unione europea) richiedono, credo, un approfondimento e un’adeguata informativa da parte dei Ministri. Siamo consapevoli, certo, che l’oggetto principale delle comunicazioni del Governo è l’esame delle missioni all’estero dall’ottobre 2012 (data in cui i Ministri vennero a riferire l’ultima volta in Parlamento) ad oggi. Tuttavia, le urgenze poste dall’attualità impongono un confronto parlamentare in questa sede. Sono sicuro che i Ministri vorranno fornire i chiarimenti necessari, e in parte ‑ come ho detto ‑ già richiesti nella precedente seduta delle Commissioni affari esteri e difesa del Senato, quanto alla situazione in Mali, come anche rispetto agli sviluppi della situazione in Libia, stante la temporanea sospensione delle attività del consolato di Bengasi a seguito del grave attentato di sabato scorso.


 


Do ora la parola agli onorevoli Ministri.


TERZI DI SANT’AGATA, ministro degli affari esteri. Signor presidente Dini, signor presidente Carrara, signori vice presidenti Narducci e Garofani, sono veramente lieto di essere qui di fronte agli onorevoli senatori e deputati e ringrazio per questa opportunità che risponde ad un’esigenza, avvertita ripetutamente dal Parlamento, di dare continuità e periodicità costanti alle illustrazioni delle nostre attività all’estero (missioni di pace, componente militare e civile).


Vorrei ribadire in primis alcune osservazioni di carattere generale sulle linee di fondo che ispirano il decreto missioni, che verte nella sua grande prevalenza sui finanziamenti alla componente militare, ma nel quale abbiamo ottenuto che anche in questa versione ci potesse essere un significativo spazio per gli interventi destinati alla cooperazione civile e a sostegno delle attività di tipo diplomatico, di missione e di presenza politica nei Paesi dove operano missioni di pace, che sono comunque cruciali per la sicurezza nazionale. Abbiamo ottenuto che ci fosse la possibilità di una piccola quota di finanziamento, che in questa versione del decreto è pari ad 81milioni di euro.


Per tutto il mandato di questo Governo alla Farnesina abbiamo sempre sottolineato la stretta interdipendenza fra sicurezza, stabilità e crescita economica e guardiamo quindi anche a questo aspetto di valore economico che noi attribuiamo alla presenza all’estero sul piano della sicurezza. Il quadro che abbiamo dinanzi, gli sviluppi nel Mediterraneo e nel Nord Africa, l’instabilità di un’intera area geografica che va dal Corno d’Africa alla Somalia e le sfide poste dall’evoluzione dello scenario afgano ci inducono a non abbassare in alcun modo la guardia ed anzi ad accentuare tutta la presenza che possiamo esprimere all’estero sul piano della sicurezza.


I nostri interventi nelle aree di crisi ‑ è questo un secondo aspetto che vorrei sottolineare ‑ sono ispirati da una precisa visione di come fare peace keeping e di come essere presenti nelle operazioni di pace, mettendo l’enfasi ‑ lo vedremo soprattutto con l’avvio concreto di una nuova fase di transizione in Afghanistan ‑ sull’assistenza alle popolazioni civili, sull’institution building e sul collegamento tra l’adempimento di un mandato militare e il sostegno all’economia e alla ricostruzione. È questo secondo aspetto che torno a sottolineare in questa sede, quello del finanziamento delle operazioni di pace, perché si tratta a mio avviso di un investimento veramente strategico per la nostra credibilità internazionale ed anche per le nostre relazioni bilaterali con i Paesi che vogliamo assistere nella loro fase di stabilizzazione.


Venendo ai casi specifici, il presidente Dini si è riferito alla situazione in Mali, che è quella di più evidente attualità e che si caratterizza, come è ampiamente noto con quello che appare sulla stampa quotidiana (ma vorrei fornire anche alcune indicazioni più precise su questo punto), con un attacco molto consistente di gruppi estremisti ed integralisti del nord del Mali alle città di Konna e Douentza nei giorni scorsi. Tale attacco ha suscitato una condanna unanime da parte della comunità internazionale ed ha anche rappresentato, sul piano strategico sul terreno, un salto di qualità nella capacità di questi gruppi non solo di avvicinarsi al controllo di Bamako, ma anche di radicarsi in modo forse irreversibile nella realtà maliana, se non si adotteranno le opportune operazioni di contrasto e di intervento.


L’accelerazione è riconducibile alla decisione di Ansar Eddine di ritirarsi, una decina di giorni fa, dal tavolo del negoziato e quindi di riunirsi agli altri gruppi armati. Si tratta di una decisione che era inattesa anche dagli stessi Paesi della Regione. Nei miei contatti con diversi interlocutori, fra i quali anche il Ministro degli affari esteri algerino, avevo tratto la sensazione che invece questa fase di dialogo delle scorse settimane e degli scorsi mesi potesse maturare e consolidare una spaccatura all’interno dei quattro movimenti attivi nell’Azawad. Questo invece non è avvenuto, anche per una situazione locale in cui la componente Tuareg, che è stata trascurata dalla comunità internazionale per decenni (forse l’importanza delle sue rivendicazioni era stata sottostimata quanto alla capacità dirompente che ad un certo punto queste avrebbero potuto avere), da diversi mesi si è spostata a favore di un’alleanza con i movimenti integralisti.


In questi ultimi giorni, l’avvio di un dialogo non è sfociato in un vero processo di riconciliazione e di intesa nazionale. Di conseguenza è stata intrapresa la strada dell’unificazione di questi gruppi e si è interrotto il cessate il fuoco annunciato all’inizio di dicembre. La Francia ha risposto immediatamente, insieme ad altri Paesi africani, all’appello, anche questo inatteso, ma determinato dal precipitare della situazione sul terreno, proveniente dal presidente Traoré. Mi raccontava l’inviato speciale delle Nazioni Unite Romano Prodi che proprio quel giorno egli era a Bamako, impegnato in incontri con la dirigenza locale; si parlava ancora della possibilità di sviluppare il dialogo fra le componenti del nord del Mali. Solo poche ore dopo la sua partenza da Bamako è partita questa richiesta di assistenza da parte di Traoré, dovuta chiaramente al degradarsi degli sviluppi sul terreno. L’operazione militare che stiamo vedendo, guidata dalla Francia, è pienamente in linea con la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 2085 del 20 dicembre 2012. Il Consiglio di sicurezza, in due fasi distinte (da ultimo ancora ieri), ha ribadito la necessità di questo intervento. Significative le dichiarazioni molto esplicite del Ministro degli esteri russo, ma anche del Governo cinese e di tutti i Paesi africani che hanno particolare voce in capitolo in questa vicenda: ben otto sono i Paesi che stanno già fornendo assistenza militare sul piano bilaterale, per poi creare un quadro che dovrebbe rapidamente tradursi in una vera forza di pace africana ECOWAS, anche questa già prevista dalla risoluzione 2085, ma che adesso si pone in termini di assai maggiore urgenza di intervento. Ancora nelle scorse settimane si pensava che ci fosse tempo fino al prossimo autunno per mettere insieme questa forza, invece il precipitare della situazione la rende straordinariamente urgente.


Questo è il contesto africano. ECOWAS e Unione Africana si sono espresse chiaramente. Il prossimo 25 gennaio ad Addis Abeba si svolgerà un’importante conferenza dei Paesi contributori di forze e il prossimo 19 gennaio si terrà un vertice ECOWAS ad Abidjan, in cui verranno stabiliti i dettagli operativi per l’entrata in azione della missione africana Afisma.


Vorrei cogliere l’opportunità per informare le Commissioni che il Governo intenderebbe muoversi essenzialmente secondo tre linee. Sul piano politico intendiamo ribadire con chiarezza il pieno sostegno italiano all’intervento nel quadro della risoluzione 2085. Tale intervento è bilaterale ma si può già definire multinazionale perché riguarda ormai molti Paesi africani e una serie di Paesi europei ed occidentali. Seguiremo una linea che è già stata anticipata dall’Alto rappresentante Ashton il giorno dell’avvio dell’intervento e che io stesso ho espresso al ministro degli esteri Fabius nella telefonata con la quale lui ha voluto anticiparci – credo che il Ministro della difesa darà indicazioni analoghe riguardo ai suoi contatti con il Ministro degli esteri francese – l’intervento e le dinamiche che avevano portato a questa decisione francese.


In secondo luogo, analogamente a quanto si sta facendo sul piano europeo da parte di diversi Paesi (ma vedremo domani alla riunione del Consiglio affari esteri (CAE) dei Ministri degli esteri quale sarà la situazione di tutti i 27 Paesi), occorre offrire un concreto sostegno logistico all’operazione, soprattutto ai Paesi africani che hanno difficoltà a trasferire truppe sul teatro operativo, e di questo ho già parlato con il ministro Di Paola e con il Presidente del Consiglio. Siamo certamente interessati a raccogliere indicazioni in questa sede sulle intenzioni del Governo.


In terzo luogo, alla riunione straordinaria del Consiglio affari esteri di domani intendo sottolineare l’assoluta urgenza di dare avvio alla missione Eutm: 250 uomini formatori che dovrebbero recarsi a Bamako per favorire la creazione di una capacità militare maliana, che allo stato delle cose si è rivelata assolutamente insufficiente. Avrete sicuramente letto diverse analisi e diversi reportage (quindi fonti pubbliche) che descrivono come l’esercito maliano non sia stato in grado da molti mesi, e ancora di meno nelle ultime settimane, di far fronte a una sfida alla quale avrebbe dovuto essere preparato grazie all’attività di formazione che già da diversi anni alcuni Paesi occidentali hanno destinato alle forze maliane. Ma sicuramente il colpo di Stato di Sanogo e le incertezze politiche a Bamako hanno influito su questa incapacità e anche mancanza di volontà dei quadri maliani di confrontarsi con la sfida posta dagli integralisti.


Al CAE di domani parteciperà anche il ministro degli esteri Coulibaly, quindi sarà anche l’occasione per guardare alle prospettive del rilancio del dialogo politico e del negoziato con i gruppi disposti a mantenere l’unità del Paese.


L’emergenza umanitaria è molto forte: 19 milioni di persone sono a rischio alimentare nel Sahel e 350.000 sono i rifugiati e gli sfollati. È pertanto molto importante guardare a una rapida soluzione di questa crisi e soprattutto evitare che si radichi una realtà di presenza endemica di forze terroristiche sul territorio che devono essere invece contrastate in modo duro e fermo sin dall’inizio.


Passando alla Libia, ci sono stati contatti ai massimi livelli politici. Il presidente Magarief la settimana scorsa ha incontrato il presidente Napolitano e il Presidente del Consiglio. Ho avuto con lui una lunga conversazione, soprattutto in occasione di un business forum organizzato con un gruppo molto rilevante di imprenditori italiani. Il tema della sicurezza in tali incontri è emerso costantemente, nel senso di un’analisi da parte libica della situazione in Cirenaica e anche di una disponibilità e di una volontà italiane a proseguire sulla strada di un contributo forte e attivo al rafforzamento delle condizioni di sicurezza a tutto campo nel Paese, al rafforzamento del controllo dei confini, all’incoraggiamento politico, all’azione delle istituzioni internazionali (Nazioni Unite e Unione europea), al consolidamento della sicurezza nel Paese.


L’episodio che ha coinvolto il nostro console generale a Bengasi è stato grave al punto che i vertici dello Stato libico hanno cancellato le loro visite all’estero, tranne quella in corso in Qatar in quei giorni, ma c’è stata anche una dimostrazione di grande amicizia e di grande collaborazione da parte libica nei nostri confronti, non soltanto per le espressioni di enorme rincrescimento che mi sono state rivolte sia dal presidente Magarief che dal ministro degli esteri Abdelaziz nelle telefonate seguite di poche ore all’incidente, sia nelle modalità concrete di risposta sul piano della sicurezza e sullo spiegamento di mezzi che i libici hanno subito dato per la protezione dei nostri uffici. Ciò nonostante, abbiamo ritenuto di far tornare tutto il personale italiano a Bengasi in Italia (sono arrivati ieri sera), e stiamo procedendo a un reassessment delle condizioni di sicurezza nell’intera Libia e nell’intera Regione.


Nell’occasione odierna vorrei rivolgere un appello al Parlamento e agli illustri parlamentari presenti sull’esigenza di dotare le nostre strutture governative all’estero di condizioni credibili di operatività in un ambito di sicurezza rafforzata. Noi abbiamo diversi uffici esposti in aree molto difficili, fra l’altro proprio nelle zone nelle quali la nostra presenza è vitale per poter contribuire alla collaborazione economica, oltre che politica, fra i Paesi. Quello di Bengasi è l’unico ufficio europeo che rilasci visti Schengen; la chiusura di tale struttura blocca un canale di comunicazione di affari, politico e di rapporti umani fra la Cirenaica e l’intera Unione europea. Questo è un aspetto rilevante e ancora una volta cade sul problema dei finanziamenti dedicati alla sicurezza. Non si tratta di grandi cifre, ma l’appello che rivolgo è di attribuire alle condizioni ragionevoli di sicurezza per il nostro personale una priorità molto alta per il bilancio pubblico e per gli impegni nella spesa pubblica.


Il rapporto con la Libia è molto importante e si è sviluppato in modo estremamente positivo negli ultimi mesi con la mia visita a Tripoli, prima della missione del presidente Magarief: abbiamo sempre registrato un grande apprezzamento da parte dei libici a tutti i livelli per quanto l’Italia sta facendo e credo che questo sia stato anche il riscontro avuto dalla Camera e dal Senato nell’incontro che si è svolto con queste Commissioni.


Anche per la crisi siriana continuiamo a rispondere con interventi di emergenza umanitaria, in particolare per le categorie più deboli della popolazione siriana (donne e bambini) con un approccio inclusivo.


All’azione realizzata attraverso gli organismi internazionali abbiamo affiancato iniziative di assistenza diretta e abbiamo incluso anche le fasce della popolazione più esposte nelle zone liberate della Siria, dove spesso gli aiuti non riescono ad arrivare a causa dell’attività di interdizione del regime.


Abbiamo operato anche nei Paesi limitrofi per sostenere le strutture di accoglimento dei rifugiati, il cui numero si avvicina o si avvicinerà molto rapidamente al milione.


Tutti avvertiamo un grande senso di frustrazione e l’urgenza di fermare i massacri, ma la soluzione della crisi, ancora una volta, non può che essere ricercata sul piano politico e per favorire l’unitarietà delle opposizioni il Governo italiano, come sapete, ha riconosciuto la Coalizione nazionale siriana quale unico rappresentante legittimo del popolo siriano.


Negli ultimi giorni abbiamo visto un’intensificata azione dell’inviato speciale Brahimi e tentativi di rilancio della road map, ma il tentativo di rilanciare il dialogo con l’opposizione che non preveda la completa uscita di scena di Assad lascia abbastanza perplessi, dato che senza aver risolto il problema della presenza di Assad nel Paese non ha per il momento alcuna chance, se si guarda alle posizioni espresse da al-Khatib e da tutti i leader della Coalizione nazionale siriana.


Tuttavia riteniamo sia necessario continuare a prepararci al dopo-Assad ed è per questo che ospiteremo la prossima riunione ministeriale del Gruppo degli amici della Siria a Roma, la cui data non è ancora decisa. È una disponibilità che abbiamo espresso e credo sarà uno snodo importante per rafforzare la governance dell’opposizione e anche quella di tutta l’azione umanitaria.


Vorrei menzionare molto rapidamente il processo di pace in Medio Oriente. Esso è di importanza chiave, visto che abbiamo la missione Unifil, e costituisce appunto un aspetto di garanzia molto significativo nel contesto regionale.


Noi europei auspichiamo e premeremo con la nuova amministrazione americana affinché si rilanci un’iniziativa concreta, proattiva di riavvio del processo di pace. Ne ho parlato a metà dello scorso dicembre con il senatore Kerry, all’epoca non ancora investito del nuovo incarico, e l’ho trovato assolutamente consapevole dell’esigenza di creare una dinamica nuova nel processo di pace.


I margini per la soluzione dei due Stati divengono sempre più ristretti. Hamas indubbiamente ha continuato a rafforzarsi e l’autorità palestinese, malgrado il successo alle Nazioni Unite, sta subendo duri colpi soprattutto a causa della crisi finanziaria. Lo scorso novembre abbiamo organizzato alla Farnesina una country presentation sulle opportunità economiche offerte dall’economia palestinese ma senza un miglioramento del quadro politico è difficile pensare un futuro più positivo per la stabilità economica della Palestina.


Come ho detto, il ruolo di Unifil 2 in Libano è ancora più strategico dopo lo scoppio della crisi siriana, perché rappresenta un fattore ineludibile di deterrenza. L’Italia quindi contribuirà a svolgere questo ruolo nella missione sotto il comando generale Serra, con i suoi oltre 1.100 militari che vi prendono parte.


Un breve accenno all’Iran: con la caduta di Assad, semmai ci sarà, Teheran perderà un alleato strategico. È questa consapevolezza che in questo momento rende ancora più difficile una soluzione politica della questione siriana, perché credo non vi sia una soluzione nella quale qualcuno possa vincere completamente e qualcun altro possa perdere completamente. Credo quindi sia necessario mantenere una prospettiva di coinvolgimento dell’Iran, oltre che della Russia, in una soluzione politica della crisi siriana.


Per quanto riguarda il negoziato nucleare, l’adozione delle nuove sanzioni europee ha contribuito a tale dinamica. La nostra posizione è basata sul principio del doppio binario (e quindi anche delle sanzioni) come pressione per convincere la leadership iraniana a ritornare al tavolo del negoziato.


Non mi trattengo oltre sull’Afghanistan perché è sicuramente un aspetto sul quale si soffermerà il ministro Di Paola. Vorrei soltanto notare che vi è stato uno sviluppo importante con la visita del presidente Karzai a Washington e che si stanno sempre più definendo i negoziati per quanto riguarda una futura presenza americana, sul piano militare, post-transizione. I risultati in Afghanistan devono rimanere irreversibili ed è in questo senso che l’Italia è impegnata con la cifra, che abbiamo già promesso e di cui abbiamo anticipato la consistenza, di 120 milioni di euro l’anno per il triennio 2015-2017.


Seguiamo anche con particolare attenzione gli sviluppi in Somalia. Dopo la mia visita a Mogadiscio lo scorso ottobre abbiamo attivato un tavolo interministeriale per fornire concreto aiuto alle autorità somale, in particolare nel rafforzamento della sicurezza e del settore giustizia, al quale tengono molto. Stiamo anche svolgendo alcune attività per mettere il nuovo Governo somalo in grado di gestire un bilancio e creare una amministrazione finanziaria, che fino adesso è stata completamente assente, altro aspetto di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi con il vice primo ministro e ministro degli affari esteri somalo, signora Fawzia, in occasione della sua visita a Roma.


Mi fermerei qui e per quanto riguarda i Balcani occidentali e aspetti in altri Paesi, come il Pakistan, Myanmar e Sudan, credo sia più corretto essere disponibile alle domande per non prendere troppo tempo.


DI PAOLA, ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli deputati e senatori, mi concentrerò sugli aspetti più prettamente militari della esposizione del ministro Terzi Sant’Agata e sarò breve per consentire a voi di porre domande – giacché credo sia la parte per voi più interessante – soprattutto tenendo conto che la situazione sta evolvendo. Stiamo infatti facendo il punto della situazione al 31 dicembre 2012 mentre oggi è in discussione nell’Aula del Senato il decreto 2013. Come dicevo, la situazione sta evolvendo e quindi è giusto avere da voi indicazioni e sentimenti su come muoversi in una situazione in evoluzione.


Per quanto riguarda il terzo quadrimestre del 2012, in Afghanistan sta continuando la progressiva riduzione delle forze, ancorché nel decreto che sarà discusso nell’Aula del Senato sia prevista per il 2013 una presenza media di 3.000 unità, che sarà però al di sotto di quel valore medio alla fine del 2013. Ciò è legato al fatto che stiamo mettendo in teatro a Kabul il quartier generale della forza di reazione rapida di Solbiate Olona comandata dal generale Battisti, come probabilmente qualcuno di voi avrà appreso da una delle varie interviste dei giorni scorsi. Questo determinerà nella prima parte dell’anno un aumento di unità, che sarà poi seguito da una progressiva riduzione.


Nel settore Ovest nel 2012 abbiamo continuato la riduzione delle nostre unità, in particolare con la chiusura della task force South East, quella che era impegnata nella parte più estrema del nostro settore e quindi nelle province di Gulistan, Bala Baluk e Bakwa. Pertanto oggi il nostro dispositivo è soprattutto concentrato sull’asse che va da Herat fino a Farah e Shindand, dove sono la task force di Herat, task force center di Shindand e task force south di Farah. Questo progressivo trasferimento della responsabilità alle forze afgane sta avvenendo e voi sapete che alla fine, proprio negli ultimi giorni del 2012, il presidente Karzai ha formalizzato l’avvio della tranche 4, che prevede il trasferimento alle forze di sicurezza afgane della maggior parte dei distretti e, in particolare, di tutti i distretti della regione Ovest. Quindi tutti i distretti della regione di cui gli italiani hanno la responsabilità passeranno, nel corso del 2013 e di una parte del 2014 (la tranche 4), sotto la responsabilità degli afgani e noi saremo sempre più in fase di supporto.


Per quanto riguarda il post 2014, si tratta di responsabilità che dovranno assumersi il nuovo Governo e il nuovo Parlamento. Oggi incontrerò il segretario alla difesa uscente degli Stati Uniti, Panetta, con il quale avrò anche occasione di approfondire quali sono gli orientamenti statunitensi, alla luce del fatto che sui giornali si legge “di tutto e di più”: in effetti, non è chiarissimo quali saranno gli orientamenti statunitensi. Sulla base di quegli orientamenti, poi, saranno assunte le opportune decisioni dal nuovo Governo e dal nuovo Parlamento.


Per quanto riguarda il Libano, nel corso del 2012 c’è stato il turnover tra la brigata Ariete e la brigata Friuli, che è quella attualmente impegnata in teatro. Per il resto, la situazione è abbastanza stabile e statica nell’area Sud del Libano, dove c’è la responsabilità della missione Unifil. Nel Nord del Libano continuano invece le instabilità connesse ai riflessi della crisi siriana.


Nei Balcani, a fine settembre, c’è stato il ritiro del nostro Operational reserve battalion, il battaglione di riserva operativa, che era stato schierato a marzo per sei mesi. La nostra forza nei Balcani si è stabilizzata e si stabilizzerà per tutto il 2013 ‑ almeno questa è la previsione ‑ intorno alle500 unità. Continuiamo ad avere la responsabilità della sorveglianza dei siti sensibili di Dečani e Peć (siti storici della chiesa ortodossa), fino a quando non ci sarà il cosiddetto processo di unfixing, cioè il trasferimento della responsabilità della sorveglianza di questi siti alle forze di polizia kosovare. È un processo che tecnicamente potrebbe essere già attuato all’inizio del 2013: ciò che ancora frena o comunque rallenta questo processo sono le sensibilità politiche connesse al discorso di questi due siti particolarmente importanti (Peć e Dečani).


Per quanto concerne l’Oceano indiano, abbiamo sempre assicurato una presenza di unità navali e in questo momento abbiamo la nave “San Marco”, con l’ammiraglio Natale, che è la flag ship (la nave bandiera) e che quindi ha anche il comando della componente “Ocean shield”, cioè della componente NATO che, insieme all’operazione “Atalanta”, contribuisce alla sorveglianza dell’Oceano indiano in funzione antiprateria. Fondamentale, al di là dell’episodio che ci riguarda direttamente, è la presenza dei nuclei di protezione militare a bordo delle unità navali; da quando questa pratica è stata attivata – non solo da noi, ma anche da altri Paesi (ognuno con le modalità che ha ritenuto opportune) – il rateo di attacchi positivi è crollato fortemente. Oggi sono in corso solo vecchi rapimenti; si tratta di cinque navi, con circa 130 marittimi attualmente ostaggio dei pirati, e sono vecchie navi che sono state piratate. Da quando i nuclei di protezione militare sono diventati efficaci ed effettivi sulla maggior parte delle unità mercantili, non ci sono stati episodi positivi di cattura di navi.


In Somalia siamo impegnati, nell’ambito della missione Eutm Somalia, che si svolge in Uganda, nell’addestramento delle forze armate somale. Noi facciamo parte di questa missione, a guida irlandese, con un contingente di una decina di istruttori: è un impegno che prevediamo di continuare anche nel 2013. La missione, da parte europea, è stata estesa fino al 2014: infatti l’Unione europea ha deciso di estendere la missione di addestramento delle forze somale fino a quell’anno. Il nuovo concetto prevede che, quando le condizioni di sicurezza miglioreranno a Mogadiscio, la missione di addestramento si sposterà dall’Uganda (oggi è a Bihanga) a Mogadiscio. Questo dipenderà dalle condizioni di sicurezza a Mogadiscio. In correlazione con il discorso somalo, ancorché non strettamente collegato alla missione Eutm, è l’addestramento delle forze di polizia somale, che da pochi giorni è iniziato a Gibuti da parte dei Carabinieri. È stato scelto Gibuti perché è più vicino all’area (fa parte del Corno d’Africa); ad oggi non ci sono ancora le condizioni (così come non ci sono per Eutm) per svolgere l’addestramento delle forze di polizia somale in Somalia. È stato scelto pertanto Gibuti; voi sapete che nel decreto di quest’anno c’è questa new entry (Gibuti), dove in questo momento si sta svolgendo l’addestramento delle forze di polizia somale.


Passando alla Libia, in questo momento abbiamo degli addestramenti di forze di polizia libiche che sono stati svolti al Coespu di Vicenza da parte di Carabinieri. A Cesano è iniziato l’addestramento di una settantina di addestratori dell’esercito libico; si tratta quindi di un addestramento di addestratori, in connessione anche con la cessione alla Libia di una ventina di mezzi “Puma” (blindati leggeri). L’addestramento è quindi finalizzato all’utilizzo di questi mezzi e, più in generale, alla formazione di addestratori che poi a suo tempo, in Libia, addestreranno il personale libico.


La situazione in Libia è stata illustrata dal ministro Terzi. Ci sono vari contatti in corso a livello bilaterale tra l’Italia e la Libia per potenziare lo sviluppo sia addestrativo, sia anche della sicurezza delle frontiere Sud. Però in questo momento il quadro della controparte libica è ancora non del tutto stabile, quindi non abbiamo ancora degli interlocutori che fanno seguito alle cose che ci diciamo e agli impegni che potenzialmente si prendono: si tratta di un quadro ancora fluido. C’è una grande disponibilità italiana: nel decreto di quest’anno avete visto un impegno consistente, sia intermini di soldi che di uomini. Questo dipenderà da quanto riusciremo fisicamente a stringere degli accordi, relativi in particolare alla presenza di nostri addestratori in Libia sulla base delle condizioni di sicurezza, anche giuridica, in cui opereranno queste persone.


Passando all’area calda del Mali, in questo momento la missione europea, che si chiama Eutm Mali e che ‑ come ha detto il ministro Terzi ‑ aveva tempi di sviluppo piuttosto lenti, subirà un’accelerazione fortissima. Domani sicuramente vi sarà la spinta della Francia in tal senso, ma anche la baronessa Ashton sono sicuro che dirà che dobbiamo muoverci. Si tratta di inviare circa 200‑250 istruttori e forze di supporto europee nell’Ovest del Paese, che è la parte più sicura, per addestrare le forze maliane. Al

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