Roma – Le missioni all’estero rappresentano un investimento politico per il nostro Paese in quanto rafforzano il ruolo e il prestigio dell’Italia sullo scenario internazionale». A sostenerlo è Staffan de Mistura, sottosegretario agli Esteri, con alle spalle una esperienza senza eguali nelle maggiori aree di crisi, dall’Afghanistan all’Iraq. L’Unità lo ha intervistato al suo rientro dal Libano, dove ha presenziato, assieme al ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, all’insediamento del generale Paolo Serra al comando della missione Unifil (12 mila militari di 36 Stati). «Le tensioni tra Israele e Iran sono una grave causa di preoccupazione – annota de Mistura – da tempo Hezbollah ha fatto capire che se l’Iran viene attaccato da Israele, loro non staranno con le mani in mano. E il teatro di scontro sarebbe inevitabilmente l’area di azione di Unifil. Ma in tal caso, Unifil non parteciperebbe al conflitto, allo scambio di razzi tra Israele ed Hezbollah: si arrocca nel bunker e vi rimane fino a quando è passata la tempesta Contribuire alla stabilità del Libano è dunque di fondamentale importanza per la stabilità dell’intero Medio Oriente».
Dall’Afghanistan al Libano, quanto sono importanti le missioni all’estero per l’Italia?
«Sono molto importanti. E per diversi motivi. Innanzitutto, perché stanno a indicare che l’Italia non è solo partecipe della Comunità internazionale ma che è pronta a contribuire attivamente alle operazioni di pace, di stabilità e di aiuto umanitario, supportate dalle Nazioni Unite e quindi dalla Comunità internazionale. E proprio perché trovano questa legittimazione da parte del massimo organismo decisionale dell’Onu, il Consiglio di Sicurezza, le missioni stanno a dimostrare che c’è consapevolezza che in diverse aree del mondo esiste la necessità, condivisa, dell’intervento internazionale. Sono importanti, le missioni all’estero, per un terzo, fondamentale, motivo che dovrebbe riempire d’orgoglio l’intera nazione…».
Quale sarebbe questo motivo d’orgoglio?
«L’Italia ha dimostrato con i fatti, a più riprese e in diverse aree di crisi, di avere una capacità particolare nel contribuire efficacemente a queste missioni sotto egida Onu».
Può fare degli esempi?
«Certamente. Sono state le Nazioni Unite a chiedere all’Italia di individuare un generale italiano come comandante della missione Unifil nel Sud Libano. Siamo fieri che ci sia di nuovo un generale italiano, il generale Paolo Serra, al comando dell’Unifil in un momento così delicato. Un altro esempio, più generale: non è un caso che in tutte le missioni Onu c’è una richiesta di carabinieri, sia per funzioni di addestramento sia per compiti operativi».
Perché questo riconoscimento? Da cosa deriva?
«Perché è nella natura degli italiani saper combinare tecnologie avanzate con il contatto umano. Efficienza e umanità. Capacità di interagire con le popolazioni locali, sempre in un’ottica propositivo, in cui mantenimento della sicurezza e ricostruzione sono le due facce di una stessa medaglia. Un discorso che vale per il Libano come per l’Afghanistan, dove la soluzione non può essere militare ma politica. Vede, l’esperienza sul campo mi ha insegnato che il soldato deve essere più cose, una combinazione poliedrica: deve essere un militare, ma al tempo stesso un diplomatico, e ancora un negoziatore, un buon amministratore e un promotore di sviluppo locale. Gli italiani riescono ad esserlo, e questa è davvero una straordinaria peculiarità».
Lei è reduce da una missione in Libano. Perché in questo momento la missione Unifil a guida italiana è particolarmente importante?
«Fondamentalmente per due ragioni. La prima, è che il Libano è in una situazione molto fragile ma nello stesso tempo ha dimostrato una grande capacità di tenuta, nonostante gli eventi drammatici che stanno segnando Paesi limitrofi, in particolare la Siria. E quando un vicino come la Siria si sente minacciato può essere tentato di mandare messaggi laterali. Il teatro ideale per farlo, anche in questo caso, sarebbe quello in cui opera Unifil, in cui ci sono truppe italiane, francesi, spagnole. Ma è anche vero che il governo Mikati e tutti i politici libanesi sono riusciti ad evitare abilmente che il Libano diventi il luogo in cui si gioca la partita in trasferta della Siria. La seconda ragione dell’importanza di Unifil, è perché è una costante della politica estera italiana quella di essere parte attiva nella stabilità del Mediterraneo, e il Libano è un esempio molto importante, direi speciale di coesistenza tra varie comunità etnico-religiose. Contribuire alla stabilità del Libano è dunque di fondamentale importanza per la stabilità dell’intero Medio Oriente».
Un’altra area calda resta quella dei Balcani. Quale ruolo l’Italia intende svolgere in questo ambito?
«Il ruolo dell’Italia nei Balcani deve essere quello di facilitare una stabilizzazione permanente dell’area. Molte situazioni nei Paesi balcanici sono rimaste in una fase di stallo ed è necessario stabilizzarle. I Balcani sono per l’Italia una regione che è importante non abbandonare. Il tempo aiuta, l’importante è non abbandonare i Balcani e agevolarli a entrare in quella che è l’Europa di oggi. Certamente la Serbia è cruciale e l’Italia farà la sua parte perché si senta aiutata a essere parte dell’Europa».
In Italia si è aperto un dibattito vivace, a volte duro, sulle spese militari e su un nuovo modello di difesa che supporti una politica estera che non oscilli, come nel recente passato, tra subalternità e velleitarismo. In questo contesto, che ruolo possono e debbono avere le missioni all’estero?
«Le missioni debbono avere, a mio avviso, un peso molto importante, per le ragioni che ho indicato in precedenza e anche perché testimoniano che l’Italia pur attraversando un difficile momento economico, non rinuncia a fare la sua parte in quanto partner proattivo della Comunità internazionale».