Caro Direttore,
gli iraniani scelgono oggi il successore di Ahmadinejad. E’ un passaggio stretto e difficile innanzitutto per Teheran, cui il mondo guarda però con estremo interesse.
Il Consiglio dei Guardiani ha selezionato preventivamente i candidati mutilando fortemente la griglia degli sfidanti, impedendo di correre agli esponenti di punta del fronte riformista (che si richiamavano larvatamente all’onda verde del 2009) ma anche a quelli del fronte radicale, impegnati a cercare una continuità con il Presidente uscente.
Cionondimeno, la campagna elettorale ha dimostrato – nell’inedito format dei tre confronti televisivi all’americana – una certa vivacità anche fra gli esponenti dei principalisti, legati tutti a un rapporto di fedeltà con la Guida Suprema. Se il programma nucleare a scopi pacifici è un tema che unifica da sempre e compattamente non solo tutti i candidati alla Presidenza ma anche gli oppositori più critici del regime, il modo con cui Teheran si è rapportata col mondo, negoziando questa partita – per non parlare della gestione dell’economia – ha invece fortemente diviso i candidati fra loro.
Il regime cerca – a partire dalla percentuale di partecipazione al voto della propria giovanissima popolazione – la legittimazione “democratica” della propria diversità rispetto ai Paesi dell’area, ma è abbastanza chiaro per tutti che si è storicamente esaurita la possibilità di “esportare” il peculiare modello istituzionale e religioso della propria rivoluzione (l’ultima analisi illusoria fu quella di ritenersi fonte di ispirazione della primavera araba) al di fuori del propri confini.
Persiana fra arabi, sciita fra sunniti, teocratico-repubblicana fra monarchie, Teheran reclama un proprio spazio nei nuovi equilibri regionali e mondiali.
La via di Ahmadinejad è clamorosamente fallita. Dalla contestata rielezione del 2009 fino alla rottura frontale con la Guida, l’ex Presidente ha schiacciato il Paese in un’insopportabile retorica negazionista, ha cercato improbabili alleanze con i Paesi ex non allineati, ha stretto una morsa insopportabile sulle libertà civili e politiche, ha pagato il conto salato delle sanzioni internazionali.
Il Presidente oggi esce mentre la Guida resta. I candidati in lizza – quattro su sei legati ad Ali Khamenei – sono tutte personalità d’indubbio spessore ed esperienza. Spetterà al vincitore – nell’auspicio che il voto si svolga in condizioni accettabili – decidere se e come aprire una diversa fase delle relazioni fra Teheran e il mondo.
La comunità internazionale ha interesse a far cambiare i termini dell’equazione, a ritrovare un partner che pur nella diversità talora radicale di posizioni possa essere coinvolto utilmente nella discussione sui molti dossier di interesse comune. E’ il caso del già menzionato negoziato nucleare sul quale non sono consentite scorciatoie e furbizie. E’ quello della stabilizzazione dell’Afghanistan con il quale l’Iran condivide quasi mille km di confine, o dell’altro vicino iracheno. E’ il caso soprattutto in questi giorni – della discussione su formato, contenuti e possibili esiti della Conferenza di Ginevra 2 sulla guerra in Siria dove – come sostengono il governo italiano e il ministro Bonino – se non si vuole che Teheran, capofila dell’arco sciita, continui a essere un pezzo rilevante del problema, è opportuno trovare le forme perché diventi parte di una possibile soluzione.
Oggi insomma potrebbe iniziare la prima scena di un nuovo film. Quale sia il finale dipenderà innanzitutto dalle scelte degli iraniani e dal grado di razionalità del nuovo rapporto Presidente-Guida, ma servirà poi la nostra capacità di leggere intelligentemente i nuovi scenari che si potrebbero aprire.