Va dritto al sodo come al solito Mario Giro. Il viceministro degli Esteri ha avuto modo anche di recente di toccare con mano il malessere che vive l’Europa e non ha dubbi sulle sue cause: «La responsabilità è dei paesi fondatori dell’Unione europea: mancano di motivazioni, di spinta. E’ come se la Brexit avesse sanzionato un sentimento comune, quello che l’Europa non serve più».
Viceministro, sull’immigrazione l’Europa ha lasciato sola l’Italia?
«Bisogna capirci su cosa si intende per Europa. Se si intende la Commissione, Juncker pur depotenziandolo ha proposto, almeno a parole, il nostro migration compact. L’aspettiamo adesso alla prova della concretizzazione. Se per Europa intendiamo invece il Consiglio europeo allora è così, ci ha abbandonati. Faccio questa distinzione perché ritengo che la Commissione in questo momento debba avere più coraggio e dar prova di esistenza, lasciando al Consiglio le sue responsabilità».
Renzi accusa Juncker di parlare e basta.
«Sei mesi fa con il migration compact avevamo chiesto alla Mogherini di trattare insieme investimenti, gestione dei flussi e sicurezza. Loro hanno separato gli ultimi due dagli investimenti, però alla fine hanno presentato un piano che prevede investimenti per 30 miliardi di euro. Se sono 30 va bene però vogliamo vederli, tenuto conto anche di come sono andati i ricollocamenti, che praticamente non funzionano».
Non è forse un problema di interessi diversi? Nel senso che i flussi che arrivano dall’Africa sono un problema italiano, mentre il resto dell’Europa è interessato alla rotta balcanica che è chiusa.
«Apparentemente è così ma non possono lasciare con il cerino in mano noi e la Grecia per i flussi da sud, preoccupandosi solo di quelli che arrivano dalla Turchia. Purtroppo il male è più profondo: c’è un ritirarsi in sé di tutti i paesi. Sono stato al consiglio per lo sviluppo e le posso assicurare che il clima è molto negativo, i paesi curano gli affari loro, nessun vuole discutere niente».
Ma è solo un problema elettorale, la paura dei populismi?
«Quello sicuramente è un problema importante perché siamo tutti, e in particolare Francia e Germania, sotto ricatto elettorale. Ma se si pensa che rincorrendo la destra si riesce a non perdere, si fa il solito errore. Detto questo c’è una questione più profonda e riguarda una forte demotivazione, la rassegnazione di fronte ai problemi. L’impotenza politica che stiamo vivendo da alcuni anni non riguarda solo l’Europa, basta vedere quello che sta succedendo negli Stati uniti».
Non crede che ci sia anche un problema con i paesi dell’est, con il blocco di Visegrad?
«I paesi di Visegrad fanno quello che vedono fare agli altri, il vero problema sono i paesi fondatori, tra i quali ci siamo anche noi. Il male è lì. Germania, Francia, Benelux, sono loro che mancano di motivazioni, mancano di spinta. Non ci sarebbe Visegrad che tenga se i sei paesi fondatori più Grecia, Portogallo e Spagna spingessero in una unica direzione. E’ una facile scorciatoia accusare i paesi baltici, i paesi di Visegrad: loro non fanno che adattarsi al clima che sentono. Noi, la Germania, la Francia, il Belgio, l’Olanda dobbiamo ammettere che viviamo una crisi seria, come se la Brexit fosse venuta a sanzionare un sentimento profondo e diffuso, quello che l’Europa non serve».
Come si inverte questa tendenza?
«Noi stiamo facendo la nostra parte. L’Italia mi sembra l’unico paese che alza la voce in Europa, propone cose concrete, dicendosi pronta a farle da sola. In questo modo stiamo riorientando la cooperazione allo sviluppo. Da soli ovviamente non muoviamo tutta l’Europa, ma il campanello d’allarme lo abbiamo lanciato tanto tempo fa».
A proposito di fare la propria parte: lei è tra i promotori dell’Africa Act.
«È uno dei modi con cui noi continuiamo a insistere sull’Africa, orientando risorse verso i paesi di origine delle migrazioni. Il concetto è sempre lo stesso: prendere sul serio questi paesi come partner. Mettere sul piatto risorse finanziarie all’altezza della situazione in modo da poter gestire in comune i flussi, sennò non andiamo da nessuna parte».
L’investimento iniziale però è di soli 20 milioni di euro.
«Quella è solo una parte perché poi bisogna considerare la cooperazione allo sviluppo e la parte che riguarda il piano straordinario Made in Italy».
E’ convinto anche lei, come il ministro Gentiloni, che in Europa circoli l’idea che l’emergenza migranti sia finita dopo la firma dell’accordo con la Turchia?
«Alcuni hanno questa impressione, ma non è vero per niente. Innanzi tutto purtroppo la guerra in Siria continua, poi i flussi sono molto complessi, le crisi innumerevoli. Se qualcuno si illude che se chiudi una finestra e lasci la porta aperta non avrai problemi, alla fine li avrai».
L’accordo con Ankara però sembra sempre più precario. Secondo lei che futuro ha?
«Non so dire. Anche a noi conviene che quell’accordo tenga, ovviamente, però non vedo il parlamento europeo volare tanto presto sulla liberalizzazione dei visti».