C’ è un nesso stringente tra la presenza in Veneto dei tre leader di centrodestra per sostenere Alberto Stefani e la minaccia della Lega di non votare il prossimo decreto per l’invio di armi in Ucraina: è la campagna elettorale, bellezza. Si può tradurre così il pensiero del ministro degli Esteri Antonio Tajani che, con linguaggio consono a un diplomatico, quindi con altri termini, fa capire che le minacce in tempi di propaganda contano poco e che alla fine Salvini si allineerà come ha sempre fatto. E sempre perché siamo in campagna elettorale il leader di Forza Italia glissa sullo scontro istituzionale tra FdI e il Quirinale che ha tenuto banco ieri, preferendo non esprimersi sull’argomento. Mentre sull’Autonomia non nasconde la perplessità sulle pre-intese Stato-Regioni, perché «servono i Lep per garantire uguaglianza a tutti i cittadini italiani».
Ministro, conclusa la lunga tornata di sei elezioni regionali, cosa cambierà? Il conto totale dei voti dei partiti potrebbe modificare gli equilibri e spostare l’asse delle politiche di governo?
«Gli esiti di queste tornate elettorali non modificano gli equilibri nazionali. Il nostro esecutivo è solido e sta lavorando molto bene. Ovviamente sono contento che Forza Italia sia in crescita e questo riflette l’apprezzamento per il nostro lavoro. Chiaro che, se i rapporti di forza cambiano, ci saranno adeguamenti, ma sempre nel rispetto reciproco e della lealtà che caratterizza la coalizione».
Se Forza Italia risultasse seconda, superando la Lega, chiederete una compensazione nei ministeri?
«Assolutamente no, non servono rimpasti. Ribadisco che il governo funziona bene così com’è. Non mi interessano le poltrone, ma i risultati. Quello che conta è la capacità di incidere sulle politiche e il mio partito lo sta facendo: dalla giustizia alla casa, dalla politica estera alla tutela della proprietà privata, dalla semplificazione al taglio delle tasse».
Niente risorse per il piano casa in legge di bilancio, ma un rialzo delle tasse per gli affitti, sfratti in tempi record e condono elettorale. Cosa condivide e cosa no?
«Per noi la casa non si tocca. Abbiamo presentato un emendamento alla manovra per evitare qualsiasi aumento di tasse sugli affitti brevi. Per quanto riguarda gli sfratti, l’obiettivo di tutelare la proprietà privata e garantire la certezza dei contratti è certamente condivisibile. Allo stesso tempo, abbreviare troppo le procedure rischia di lasciare le famiglie affittuarie, che sono morose incolpevoli, senza soluzioni alternative. Serve una riflessione che ci consenta di individuare il giusto equilibrio. Le risorse sul Piano Casa ci sono. Per noi la politica abitativa è una priorità. Quanto al condono, nel 2003 Bassolino e la sinistra impedirono ai cittadini campani di usufruirne. Oggi l’alternativa non può essere l’abbattimento di migliaia di case».
Il blitz della Lega sull’Autonomia prima del voto andava evitato?
«L’Autonomia differenziata è nel programma di governo ed è molto attesa dai veneti: noi la sosteniamo, la attueremo nel rispetto della Costituzione e delle indicazioni della Corte. Le pre-intese firmate in queste ore sono un passaggio procedurale, non cambiano la sostanza: servono comunque i Lep per garantire uguaglianza nei diritti fondamentali su tutto il territorio nazionale».
A proposito di risorse, l’Italia aderirà al fondo comune Ue per acquistare armi dagli Usa?
«L’Italia continua a sostenere l’Ucraina con aiuti militari e civili. Stiamo varando il dodicesimo pacchetto. Sugli aiuti militari che offriremo attraverso gli Stati Uniti, la questione è complessa: dobbiamo capire bene i dettagli, le modalità, le coperture finanziarie. Abbiamo già impegni molto onerosi dopo aver raggiunto il 2% del Pil in spese per la difesa Nato. Ogni decisione deve essere compatibile con i vincoli di bilancio e discussa serenamente con gli alleati americani. Non ci sono pressioni: c’è un dialogo costruttivo».
Quando si voterà il rinnovo degli aiuti militari all’Ucraina, non è garantito l’appoggio della Lega. Che succederebbe se votassero no? «Il governo ha una posizione unitaria, formalizzata anche dal Consiglio supremo di Difesa: pieno sostegno all’Ucraina. Questo è l’indirizzo della maggioranza, ribadito più volte. È normale che in una coalizione ci siano sensibilità diverse, ma alla fine prevale sempre la responsabilità. Abbiamo approvato insieme undici pacchetti di aiuti, è stato deciso il dodicesimo. La difesa dell’Ucraina è difesa del diritto internazionale e della nostra sicurezza. Non si tratta di essere bellicisti: si tratta di impedire che un Paese più grande invada un Paese più piccolo. È un principio di civiltà. Normale che in una democrazia parlamentare ci siano dibattiti interni, anche vivaci. Questo accade in Germania, Francia, ovunque. L’importante è che alla fine prevalga una linea chiara, e questa c’è: atlantismo, europeismo, sostegno al diritto internazionale».
Concorda con chi teme che l’Europa si sfalderebbe se saltasse l’Ucraina?
«Se l’Ucraina cade, l’Europa è in pericolo. Non è retorica: è geopolitica. Significherebbe che un regime autoritario può invadere un Paese europeo e farla franca. Dove si fermerebbe Putin? Moldova? Paesi baltici? Per questo sosteniamo Kiev: per realismo. Serve un’Europa più forte, più autonoma, capace di difendersi».
Quanto è alto il pericolo che il sistema-paese subisca danni economici dalla guerra ibrida di altre potenze fatta con le armi di intelligenza artificiale? Siamo adeguatamente protetti?
«La minaccia ibrida è reale e seria. Sappiamo che Russia, Cina e altri attori ostili usano cyber-attacchi, disinformazione, sabotaggio. L’Italia ha innalzato il livello di allerta, soprattutto su infrastrutture critiche. I nostri servizi di intelligence lavorano bene, in coordinamento con gli alleati. Non vogliamo creare panico inutile, ma la vigilanza è massima. Stiamo investendo in cyber-sicurezza, in protezione delle reti, in contrasto alla disinformazione. Il livello di allerta è adeguato alla minaccia: alto, ma gestito con competenza e discrezione».
Ultima domanda: perché Trentini a differenza del prigioniero francese, ancora non è stato liberato?
«Il caso Trentini ci sta molto a cuore e lavoriamo incessantemente per la sua liberazione. Le situazioni sono diverse da Paese a Paese: in Iran, per esempio, Cecilia Sala fu liberata presto, come Alessia Piperno, mentre ostaggi francesi sono stati liberati dopo anni. Con il Venezuela la situazione è più complessa. Ma non ci arrendiamo. Abbiamo contatti continui, anche attraverso canali indiretti. Ricordiamo che altri due italiani di recente sono stati liberati dal governo venezuelano. Per Trentini la situazione è diversa, forse legata a loro questioni interne. Ma soprattutto la situazione internazionale vede un durissimo confronto fra Caracas e Washington. Certo non diciamo in pubblico tutto quello che facciamo: la diplomazia degli ostaggi richiede discrezione. Ma la famiglia Trentini deve sapere che lavoriamo e lavoreremo: non lo abbiamo dimenticato».