Una fine d’anno intensissima, come intensissima è l’attività di Antonio Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri e leader di Forza Italia. Impegnato su tre fronti, tutti agitati: la situazione internazionale con conflitti ancora aperti; la manovra; il suo partito, sul quale aumenta la pressione per «cambiamenti» e «volti nuovi» che lui non respinge, ma canalizza in un «quello che chiedono lo stiamo già facendo e lo abbiamo sempre fatto: la libertà è il nostro faro, anche quella di scegliere chi deve guidare FI, un partito che ha resistito alle profezie di sventura e cresce elezione dopo elezione. E questo è il più grande regalo che potevamo fare a Silvio Berlusconi».
Partiamo dall’Ucraina: come valuta l’incontro tra Trump e Zelensky?
«Noi come Italia sosteniamo il tentativo americano per raggiungere il cessate il fuoco e la fine definitiva del conflitto. Ogni passo in avanti verso una pace giusta e duratura è un fatto positivo. E mi pare che oggi (ieri, ndr) si sia registrato qualche progresso. Speriamo che Putin voglia veramente la fine del conflitto».
In ogni caso oggi voterete un decreto che prevede aiuti anche militari, nonostante il freno della Lega.
«È un decreto assolutamente equilibrato, come i precedenti. L’Italia continuerà a sostenere militarmente, economicamente, finanziariamente e politicamente l’Ucraina. E parteciperà alla grande fase della ricostruzione. Aiutiamo l’Ucraina perché è una battaglia di libertà, per un Paese invaso che deve godere di una pace giusta e duratura, che significa sicurezza per loro e per tutta l’Europa».
Forza Italia ha avuto un ruolo decisivo?
«Noi siamo il partito delle libertà, anche in politica estera. Siamo nel Ppe, siamo europeisti, atlantisti, cristiani, liberali, abbiamo nel Dna questi valori. Il che non significa essere in guerra con il popolo russo, ma anche Berlusconi votò in Parlamento europeo contro l’invasione da parte della Russia, disse “sono rimasto deluso da Putin”, ed era suo amico».
Nonostante ciò aumentano le voci di chi chiede cambiamenti in FI. Occhiuto vuole una politica più liberale, i figli di Berlusconi insistono sul rinnovamento, c’è chi ipotizza una guida del partito di Massimo Doris… Che succede?
«Succede che FI è un partito liberale che ha regole democratiche. C’è un congresso nazionale che elegge il segretario, come è stato per me, ce ne sarà un altro nel 2027. C’è uno statuto e quello si rispetta. Ma quello che conta sono i contenuti quando si parla di politica, prima ancora dei nomi».
Appunto: vi chiedono di essere più attrattivi, più efficaci, più liberali.
«Non c’è partito che più di noi sia per la libertà. E non solo ci abbiamo scritto un manifesto dei nostri valori a settembre scorso, ma faremo tre manifestazioni a metà gennaio a Milano, Napoli e Roma sui nostri valori che trasformiamo in azioni concrete».
Per esempio?
«Posso elencare tante battaglie. Intanto, fedeli alla nostra idea di economia sociale di mercato, abbiamo operato per garantire la libertà di chi fa impresa, senza statalismo. Penso al nostro no alla golden power sulle banche, in nome del libero mercato. Al diritto per le libere professioni di avere casse autonome, perché crediamo nei corpi intermedi. Alla battaglia per impedire ulteriori tassazioni sulle case. Alla libera concorrenza. Al no alla tassa sui cosiddetti extraprofitti, che non esistono: il profitto deriva dalla libertà di impresa. Sono temi che abbiamo voluto fossero contenuti nella Manovra. E anche quella sulla giustizia è una battaglia di libertà».
Si potrebbe obiettare che l’italiano medio non è così interessato a questi temi.
«Ma noi ci occupiamo di tutti. Ridurre le tasse al ceto medio è una nostra battaglia da sempre. La nostra campagna estiva negli ospedali per migliorare la sanità lo è, e prima ancora nelle carceri, perché la privazione di libertà del reo non deve essere privazione di dignità. E ancora: la cittadinanza per i ragazzi stranieri che completano il ciclo di studi nel nostro Paese e la loro integrazione. Il sì alla legge sul fine vita normato da leggi serie e umane».
Eppure vi dicono che crescete poco, dovete allargarvi. Lei potrebbe cedere il suo posto per dare una scossa?
«FI è cresciuta elezione dopo elezione, gli stimoli sono sempre positivi ma la realtà è questa. Nuovi volti ne abbiamo, siamo aperti a chiunque voglia essere protagonista, oggi abbiamo 250 mila iscritti, una classe dirigente eletta dalla base, questo è essere un partito vero. Poi tutti possono candidarsi alla segreteria, chi avrà più consenso vincerà. II mio obiettivo è vincere le elezioni con FI e il centrodestra e garantire altri cinque anni di buongoverno. Mi impegnerò come ho sempre fatto per convinzione, per difendere le mie idee. Mi dimisi dalla Rai per andare a lavorare al Giornale di Montanelli, poi da lì per costruire FI con Berlusconi quando era davvero una scommessa. Mi sono sempre candidato con le preferenze per essere giudicato dai cittadini. Mai voluto un paracadute, sono un uomo libero, non dipendo da un incarico. E non cambio».