In un governo costituito da tecnici era evidente che al Ministero degli Affari Esteri dovesse andarci appunto un tecnico. Cioè un esponente titolato proveniente dal mondo della diplomazia. Ergo: un ambasciatore. E la scelta del premier Mario Monti si orientò sull’allora nostro rappresentante diplomatico a Washington, Giulio Terzi di Santagata. Il titolare, cioè, della sede più prestigiosa.
Una promozione sul campo per Terzi, che sì è trovato subito, da ministro, proiettato su uno scenario internazionale mai come in questo periodo investito da questioni le più delicate e complesse. E le ha tutte affrontate con il tatto e l’esperienza del diplomatico.
Ci riceve nel suo studio della Farnesina. Semplice e austero, come tutto il grande edificio, progettato negli anni ’30, che ospita il ministero. L’intervista a tutto campo affronta tutti i temi più “sensibili” del momento (dalla dimensione europea all’ancoraggio atlantico, alle sfide del nuovo Mediterraneo e della crisi siriana) e si trasforma rapidamente da un possibile scontato alternarsi di domande e risposte in un colloquio scorrevole, per molti tratti cordiale, sempre scandito da considerazioni puntuali e ispirate a criteri di moderazione e di buon senso.
Ministro, il suo mandato è praticamente coinciso con il momento cruciale della cosiddetta Primavera araba. Dopo i recenti avvenimenti in Libia, culminati con l’assassinio dell’ambasciatore americano a Tripoli, e in Egitto, ritiene che la si possa ancora definire cosi?
Siamo molto determinati nel sostenere i Paesi in transizione. Il rafforzamento delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto in quei Paesi che, usciti da lunghe dittature, hanno espresso, attraverso il voto, delle leadership moderate, è una priorità strategica della nostra politica estera. La domanda di democrazia e di sviluppo economico venuta da quelle popolazioni, soprattutto dai giovani, potrà essere compiutamente soddisfatta solo attraverso un processo di consolidamento delle istituzioni democratiche, che necessariamente richiede tempo. Ma occorre anche mettere a frutto i segnali incoraggianti, che non sono pochi. In Egitto, il percorso elettorale che ha portato, in luglio, all’insediamento del Presidente Morsi, ed al giuramento dell’Esecutivo guidato dal Primo Ministro Qandil in agosto, getta le fondamenta per il completamento della transizione democratica. In Libia, la forte volontà popolare di stabilizzare il Paese è stata dimostrata dal voto di luglio, il cui andamento è stato regolare ed ha fatto registrare la partecipazione del 62% degli aventi diritto di cui, è un dato fondamentale, il 39% donne. In Tunisia, le consultazioni legislative dell’anno scorso si sono svolte in maniera corretta – come testimoniato dagli osservatori internazionali – e hanno fatto registrare un’elevata affluenza alle urne, che ha portato alla formazione di un Governo sostenuto da un’ampia coalizione di partiti.
Quale è il ruolo che l’Italia sta attualmente svolgendo nell’area nordafricana compresa appunto fra Tunisia, Egitto e Libia?
L’Italia è partner di riferimento per i Paesi della Regione. Nel 2011, le nostre esportazioni verso il “grande Mediterraneo” sono cresciute del 19% su base annuale; l’interscambio è stato di 82 miliardi di euro; oltre 3.300 compagnie italiane operano nell’area. Anche lo strumento della cooperazione allo sviluppo contribuisce a consolidare le transizioni demo- cratiche. Dall’inizio delle Primavere arabe ad oggi, il nostro impegno complessivo di cooperazione verso l’area è ammontato a circa 250 milioni di Euro, fra doni, crediti d’aiuto e conversioni del debito. Sul piano europeo, nel quadro della nuova Politica di Vicinato dell’UE incoraggiamo i nostri partner ad aumentare la quota di risorse a favore della sponda meridionale del Mediterraneo, per costruire un più forte ed ampio partenariato nei settori strategici come lo sviluppo economico e sociale, la mobilità e la collaborazione in campo migratorio, l’energia, la formazione. In pochi mesi, l’Italia ha rafforzato l’azione esterna dell’Unione Europea lungo le priorità di nostro maggiore interesse, in particolare verso il Mediterraneo. Sono stati messi a frutto nella dimensione europea i risultati conseguiti nei rapporti bilaterali dell’Italia con le nuove leadership arabe, a cominciare dai Partenariati Strategici con l’Egitto e con la Tunisia.
La vicenda Siria continua ad occupare la scena ed è un capitolo particolarmente delicato per gli infiniti riflessi che può generare a livello internazionale. Il presidente Assad non cede, continua a bombardare i ribelli e intanto sta sfiorando la guerra con la Turchia. Sullo scacchiere mondiale è questo lo scenario più preoccupante? E quale è la posizione dell’Italia?
Il protrarsi della crisi in Siria rischia di destabilizzare l’intera regione. Di questa situazione Assad ed il suo regime portano la piena responsabilità. Non esiste una soluzione militare alla crisi siriana. L’unica soluzione è politica ed è quella del Piano di Ginevra, accettato dagli Stati Uniti, dalla Russia e dai Paesi europei. Il piano prevede la cessazione delle violenze, l’avvio di un processo di transizione con la partecipazione di tutte le principali forze politiche della società siriana, e l’uscita di scena di Bashar Al Assad. Su queste basi, l’Italia sostiene pienamente gli sforzi dell’Inviato Speciale dell’ONU e della Lega Araba Brahimi. Auspichiamo da tempo una missione di peacekeeping in Siria, ma è necessario un via libera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Intanto, l’Italia sta facendo la sua parte sia per fronteggiare l’emergenza umanitaria sia per favorire una soluzione politica, promuovendo l’unità delle forze di opposizione e preparando il dopo-Assad. Il Governo italiano e’ stato tra i primi a inviare aiuti umanitari sia direttamente – ricordo l’ospedale da campo realizzato insieme alle autorità di Amman alla frontiera tra Giordania e Libano – sia in collaborazione con le organizzazioni internazionali come l’Unicef impegnata in un programma di assistenza ai bambini siriani sfollati.
L’Italia è presente già con un migliaio di caschi blu nella missione UNIFIL nel Libano del Sud: quale ruolo assume la presenza italiana in un’area di prossimità alla crisi siriana?
L’Italia è impegnata con uno dei contingenti più numerosi della missione UNIFIL lungo il confine tra Libano e Israele: mai come oggi si rivela fondamentale assicurare la stabilità su quel versante , in un periodo così difficile per gli equilibri regionali. Il Libano è cruciale per la stabilità dell’area mediterranea e mediorientale, che a sua volta esercita un’incidenza decisiva sulla nostra sicurezza. La nomina del Generale Serra al comando della missione, giunta a gennaio di quest’anno, è il riconoscimento per la professionalità nella condotta delle operazioni che ha fatto parlare di “stile italiano” nella gestione delle missioni internazionali: ho potuto verificare di persona durante la visita in Libano e in occasione di colloqui con le autorità che il lavoro del generale Serra è apprezzato da tutte le forze politiche libanesi. Abbiamo ribadito il forte sostegno del governo italiano alla politica di “dissociazione” del Libano dalla crisi siriana, anche in seguito all’attentato in cui il 19 ottobre è rimasto ucciso il generale Wissam al Hassan. La missione Unifil è uno dei più importanti contributi che l’Italia offre, sul campo, per sostenere gli sforzi libanesi volti ad arginare un potenziale allargamento della crisi alla regione.
Negli Stati Uniti Barak Obama è stato appena riconfermato alla presidenza anche grazie ai meriti acquisiti in questi quattro anni in politica estera. Ritiene che si manterrà fedele alla sua strategia o la modificherà?
Con la rielezione del Presidente Obama la politica estera americana continuerà nel solco tracciato negli ultimi quattro anni: dialogo, multilateralismo e apertura verso i paesi arabi e del Mediterraneo per accompagnare e sostenere le transizioni democratiche. La continuità rende l’America più forte e con essa il legame transatlantico. Da parte loro gli Stati Uniti continueranno a puntare sul rafforzamento del processo d’integrazione europea e su un’Europa più forte per affrontare insieme le sfide globali.
E’ un’alleanza “naturale”, e oggi ancora più forte, quella tra USA ed Europa, che insieme hanno oltre il 50% e che insieme lavorano anche in ambito G8 e G20, per rilanciare la crescita e promuovere la stabilità dei mercati finanziari.
Il presidente Giorgio Napolitano ci ha invitato ad accettare una “riduzione di sovranità” a vantaggio dell’Unione europea e della soluzione della gravissima crisi economica che attraversa tutti i Paesi dell’Unione. Qual è il suo parere?
È un invito di altissimo valore politico, che deve essere accolto con forte determinazione. Il Capo dello Stato ha pienamente colto nel segno ricordando che l’Europa deve andare avanti sulla strada dell’approfondimento dell’unione economica e monetaria, e che le innovazioni richieste comportano ulteriori trasferimenti di poteri decisionali e quote di sovranità. Ricordo che nella stessa occasione il Presidente ha opportunamente sottolineato come la questione degli avanzamenti necessari nel processo di integrazione si ponga anche sul piano politico-istituzionale. Questa stessa convinzione ha guidato le attività di riflessione e di analisi condotta nei mesi scorsi dal “Gruppo sul futuro dell’Europa”, un gruppo di undici Ministri degli Esteri provenienti da Stati membri dell’UE tradizionalmente promotori della causa europeista. È stata raggiunta una convergenza di vedute che rappresenta una base molto importante dalla quale l’Europa può muovere per affrontare le grandi sfide che ha di fronte: reagire ai populismi, rafforzare la governance dell’Unione Economica e Monetaria ispirandosi a principi di responsabilità e solidarietà, parlare con una sola voce, agendo come “comunità di valori” per promuovere i principi che guidano la sua azione esterna, cioè la solidarietà e la promozione della democrazia, dei diritti umani e della libertà religiosa.
La questione dei due marò trattenuti in India. Le autorità di New Dehli stanno davvero superando tutti i limiti delle consuetudini e dei trattati. Quale potrà essere l’atteggiamento della Farnesina?
L’ingresso della nave Enrica Lexie in acque indiane è stato il frutto di un sotterfugio della polizia indiana, che ha chiesto alla nave di entrare nelle acque territoriali indiane per riconoscere alcuni sospetti pirati. Il fermo dei Marò è avvenuto ad opera di oltre trenta unità della polizia indiana salite a bordo della Enrica Lexie. Di fronte a queste circostanze, abbiamo innanzi tutto ottenuto condizioni di detenzione favorevoli e adeguate allo status dei nostri militari, garantendo un’efficace presenza italiana e l’assistenza di un team qualificatissimo di giuristi italiani e internazionali. Sono oltre cinquanta i funzionari, tra legali, periti, diplomatici, impegnati su questo dossier. I due principi fondamentali che, secondo il diritto internazionale, si applicano a questo specifico episodio sono: la giurisdizione esclusiva dello stato di bandiera nelle acque internazionali e l’immunità di due militari che operano quali agenti dello Stato italiano nell’attività di contrasto alla pirateria. Per sostenere le nostre ragioni abbiamo condotto un’azione di sensibilizzazione sostenuta da importanti Paesi amici e organizzazioni internazionali. Abbiamo portato il caso all’attenzione dell’Unione Europea, del G8, dell’Asean. Io stesso ne ho parlato al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Proprio nei giorni scorsi l’Unione Europea è tornata a confermare anche pubblicamente il suo pieno sostegno alle nostre posizioni. Non ci fermeremo fino a quando Salvatore Girone e Massimiliano Latorre non saranno tornati a casa.