«Sono un pragmatico»: in questa intervista a «L’Eco di Bergamo» si definisce così Antonio Tajani, che riassume il proprio punto di vista nella triangolazione fra l’essere vice premier, ministro degli Esteri e leader di Forza Italia.
Partiamo dalla sofferenza della popolazione palestinese di Gaza.
«Stiamo facendo tutto il possibile sul lato diplomatico, e non è facile. A livello umanitario abbiamo portato in Italia oltre 700 palestinesi della Striscia con difficoltà inimmaginabili. Come ha detto la ministra di Stato degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese, pochi hanno fatto come noi. Oggi (ieri per chi legge) ho visitato un bambino di Gaza ricoverato all’Ospedale di Bergamo che ha insistito per regalarmi un Tricolore disegnato da lui in segno di riconoscenza, con la scritta “Grazie Italia”. Sono commosso e gli sono molto grato. Il nostro compito è continuare a lavorare per la pace».
Però da Gaza all’Ucraina la diplomazia non pare protagonista.
«La diplomazia fa, e deve fare, tutto il possibile. A Gaza proprio in queste ore si lavora con grande determinazione per arrivare finalmente ad un cessate il fuoco, per alleviare le sofferenze dei palestinesi, per la liberazione degli ostaggi israeliani e favoriamo il negoziato fra Stati Uniti e Iran per trovare una soluzione alla questione iraniana. Sull’Ucraina non credo Putin voglia concludere la guerra in tempi rapidi. I suoi soldati, un milione, guadagnano più del doppio di un operaio e quella russa è ormai un’economia di guerra. Per tornare indietro ci vuole tempo: ma bisognerà capire se Putin avrà il coraggio di farlo, di trasformarsi in un uomo di pace».
Su questi ed altri temi, siamo al disgelo con Macron?
«La Francia è un Paese amico, fra noi è in vigore il Trattato del Quirinale e io sono un pragmatico. Dobbiamo dialogare con tutti in modo costruttivo. Ci possono essere divergenze, ma poi tutto si chiarisce. La forza d’interposizione dei “volenterosi” per l’Ucraina? Parliamone quando ci sarà la fine del conflitto o il cessate-il-fuoco. Per ora è un esercizio retorico. Noi, semmai, pensiamo ad una zona “cuscinetto” presidiata dall’Onu. Comunque ne stiamo ancora discutendo».
Soluzione diplomatiche: pensa che il Papa possa dare una spinta positiva?
«Leone XIV, con il quale ho parlato per pochi minuti il giorno dell’insediamento, è un Papa di alto livello, molto colto, spirituale e semplice. Mi ha colpito il suo primo discorso appena eletto e spero che tutti l’abbiano ben compreso. Le sue parole sulla pace non si sono limitate alla cessazione delle ostilità, ma alla trascendenza della pace cristiana. Un messaggio chiaro, di grande spiritualità e sul quale sto ancora riflettendo nel mio incarico di ministro degli Esteri».
Veniamo alle questioni interne: il rapporto con Salvini?
«Sono in ottimi rapporti personali con Matteo Salvini, ma siamo leader di partiti diversi. Il posizionamento di Forza Italia è al centro: cristiano, liberale, riformista, europeista. In Europa siamo con il Ppe, Meloni e Salvini hanno altre appartenenze. L’alleanza di centro destra non è sull’Europa, ma su un programma politico che mette al centro: lavoro, crescita economica, lotta all’immigrazione irregolare, sicurezza, riduzione del carico fiscale, sostegno alle imprese. Un’alleanza fatta da tre partiti ci consente di allargare il perimetro del consenso. E Forza Italia può crescere nell’elettorato ex Dc ed ex socialista che votava Pd e che oggi non si riconosce nella gestione della Schlein che ha spostato il partito tutto a sinistra».
Intanto avete perso a Genova: partita rinviata alle prossime Regionali?
«Genova era una partita difficile, ma nelle altre elezioni amministrative siamo andati bene. Anche in Lombardia. Non sono preoccupato per FI, ma non sono contento perché vorrei fare di più. Detto questo, quel che conta sono le Politiche: è lì il dato omogeneo, quello che fa la differenza. Il centrodestra in Lombardia sta governando bene e la sfida sarà il Comune di Milano, dove Forza Italia sarà decisiva per la vittoria. Sono convinto e ribadisco che a Milano un candidato civico può allargare i confini del centrodestra, coinvolgendo movimenti civici e partiti come quello di Calenda».
Passiamo all’economia, aspettando i dazi di Trump.
«Non sappiamo come andrà a finire il contenzioso, ma un accordo si riuscirà a trovare. Dobbiamo trattare con l’America e voglio essere ottimista. Non bisogna allarmarsi. Confido anche nell’abilità del Commissario europeo Sefcovic, peraltro un mio amico, che sta trattando con Trump. Stiamo lavorando per rafforzare il nostro export, lavorando su tanti altri mercati. Abbiamo lanciato un piano d’azione del governo e un capitolo riguarda l’India dove sono stato un mese fa. A giorni c’è la partita di ritorno con il Business Forum a Brescia e le opportunità per noi sono tante. In Italia operano 4 milioni di imprese di tutte le taglie dimensionali e il nostro obiettivo è arrivare a 700 miliardi di export nel giro di due anni e mezzo, cioè a fine legislatura. Vede, la stabilità del governo, che tutti all’estero ci riconoscono, è un fattore di competitività perché alle imprese garantisce certezze e di programmare il futuro».
In questo contesto perché riforma il ministero degli Esteri?
«Ci sarà un ambito politico e uno economico. La Direzione generale per la Crescita economica del ministero, insieme alle tre società pubbliche del settore, si dedicherà all’export e a loro si potranno rivolgere le nostre imprese. Le ambasciate italiane sono già state mobilitate. La Farnesina sarà sempre più economica».
Veniamo alla questione delle prescrizioni contenute nel golden power esercitato dal governo sulla vicenda Unicredit-Banco Bpm che riguardano la Russia e che la vede su posizioni critiche verso il ministro Giorgetti.
«Sono per il libero mercato e non faccio il tifo per nessuno. I dubbi di tutta la delegazione di FI sulla base giuridica sono stati messi a verbale nella riunione del Consiglio dei ministri. L’accordo, che ha corretto il testo originario, prevede che l’eventuale uscita di Unicredit dalla Russia debba avvenire almeno dopo 9 mesi effettivi. La nostra priorità è la difesa delle imprese e in Russia, nel rispetto totale delle sanzioni, operano 270 nostre aziende. Se Unicredit va via, rischia di saltare tutto».
Lei ha riscosso un certo consenso fra gli imprenditori, ma come sono i rapporti con il sindacato?
«Sono ottimi con la Cisl, di cui abbiamo sostenuto la legge popolare per la partecipazione dei lavoratori, e con i sindacati autonomi (Confsal). Non capiamo perché Cgil e Uil non vogliano firmare l’accordo sulla sanità che prevede un aumento di stipendio per quei lavoratori. Non mi piace il sindacato che si occupa di più di fare il sindacato dei sindacalisti e non dei lavoratori. Noi non crediamo nel salario minimo per legge, che peraltro punta al ribasso, perché preferiamo il “salario ricco”. La posizione europea è quella di favorire i contratti collettivi, cosa che da noi avviene per circa il 90%. Il centrodestra è per la detassazione degli straordinari e dei premi di produzione: in questo modo gli stipendi possono recuperare potere d’acquisto».
Fa discutere l’opzione astensione, manifestata dal centrodestra, in vista dei 5 referendum di giugno, 4 dei quali riguardano il lavoro.
«In questo tipo di referendum è previsto il quorum per la partecipazione e, di conseguenza, anche il non quorum. C’è libertà di scelta e io non andrò a votare. Del resto, questo principio era stato sostenuto anche dal presidente Napolitano e da Pannella, due grandi protagonisti della sinistra e del mondo referendario».