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Minister Terzi’s speech for the Commencement of the Academic Year

Magnifico Rettore dell’Università di Bergamo,


Magnifici Rettori,


Professori e studenti,


Signore e Signori,


rivolgo a tutti voi un cordialissimo saluto. Ben ritrovati nella nostra Bergamo!


Sono particolarmente grato al Rettore Stefano Paleari per l’invito. Negli ultimi quindici mesi, e ancora in queste ultime settimane di attività di governo, la cultura – nella sua declinazione ampia di “identità”, di formazione e di riferimento – è stata ed è rimasta assolutamente centrale alla politica estera italiana. Era un impegno preciso che avevo preso dinanzi al Parlamento quando ho assunto la guida della Farnesina. Credo sia doveroso riproporlo ora, proprio qui a Bergamo, alla vigilia di una scadenza elettorale così importante per il Paese.


L’inaugurazione dell’anno accademico credo sia l’occasione più adatta per fare da questa prestigiosa Università un appello alla politica. Mi vorrei unire al coro assai ampio di quanti hanno registrato un’insufficiente presenza nel dibattito elettorale del tema della cultura. Si stanno discutendo questioni di grande rilevanza, soprattutto per i giovani: fiscalità, occupazione, crescita, famiglia, modelli di società. Assai meno evidente, è sotto gli occhi di tutti, appare invece l’importanza della dimensione culturale per i giovani e per un’Italia che tutti vorremmo rafforzata e trasformata nei riferimenti fondamentali della nostra coscienza individuale e collettiva.


Sulla sostanza e sulla funzione della cultura si possono avere idee diverse. C’è chi privilegia l’aspetto umanistico, chi quello scientifico. C’è chi sostiene che la cultura sia conoscenza; chi ritiene che sia ciò che resta dopo aver tutto dimenticato; chi la considera un atteggiamento spirituale e chi un impegno civile. C’è chi evidenzia l’importanza di mettere la ricerca al servizio delle imprese; chi indica la priorità nella tutela del patrimonio artistico. Chi attribuisce un ruolo fondamentale allo Stato, e chi alle partnership con i privati. La cultura può essere poesia, metodo scientifico e abito mentale. Può essere Leopardi e Rita Levi Montalcini. Una molteplicità di piani e di interazioni, che costituiscono l’identità e la forza della società italiana. E’ parso invece che la cultura sia come stata fatta svanire, per buona parte delle forze politiche, dal dibattito di queste settimane. Se l’Italia è una superpotenza culturale, è un po’ come se in Russia e in Egitto, e mi rivolgo ai due Rettori stranieri qui presenti, fosse scomparso dalle rispettive campagne elettorali il tema dell’energia e quello del turismo!


L’indifferenza verso la cultura è tanto più inaccettabile quanto più la cultura è stata ed è per noi italiani grande fonte primaria di ricchezza. Grazie alla cultura siamo stati protagonisti nella storia, capaci di immaginare e di creare un mondo diverso, di prosperare, di far diventare la nostra una delle prime economie mondiali. E lo abbiamo fatto senza petrolio, oro, diamanti o altre grandi risorse naturali. La conoscenza è stata la nostra moneta. Abbiamo inventato le università per coniarla. Generazioni di studenti, di ricercatori, di docenti l’hanno fatta fruttare. Abbiamo avvertito la responsabilità di investire nella formazione dei giovani, nella consapevolezza che le loro qualità sono decisive per il futuro della nazione. In un mondo dove ricchezza e benessere sono generati dalla conoscenza, contano il senso critico, la capacità di argomentare e di anticipare e cogliere le opportunità del mercato globale.


Si è parlato molto di economia della cultura. Si è fatto ancora troppo poco per realizzarla. L’Italia dispone di 3.400 musei, 2.100 aree e parchi archeologici e 47 siti Unesco. Un patrimonio mai salvaguardato abbastanza, ma soprattutto non ancora collegato alle potenzialità di crescita e di impresa che altri nostri importanti Partners hanno da tempo saputo sviluppare. Una nuova visione del bene pubblico, improntata a progettualità, meno influenzata da interessi corporativi o approcci burocratici, potrebbe non solo compensare le riduzioni del bilancio pubblico, ma generare profitti e gettito fiscale. Al Ministero degli Esteri lo abbiamo sperimentato nei fatti, in collaborazioni di diplomazia culturale nelle quali i progetti più competitivi hanno generato risorse economiche nette per l’Amministrazione, e non il contrario.


La cultura di un Paese si riflette sull’abito mentale e sui comportamenti dei suoi cittadini; sul corretto ed efficiente funzionamento delle istituzioni, alla base del progresso economico. Non si risalirà facilmente nelle classifiche di Transparency International, dove siamo in un desolante 72simo posto, senza un drastico riequilibrio di attenzione ai valori identitari della nostra cultura. Il contrasto a vere piaghe come quelle della corruzione e dell’evasione, l’attrazione degli investimenti dall’estero, la nostra stessa influenza nel mondo non possono che avvenire superando il cerchio di un certo provincialismo culturale, di modelli sui quali ci si è assopiti, e dimostrando che è nostra cultura il rispetto delle regole, l’integrità di impresa e la dignità della persona.


Superare la marginalizzazione della cultura è essenziale per ragioni strettamente connesse con gli interessi della nostra politica estera. La cultura è il nostro gigantesco soft power, la nostra reputazione. Se nella società globale conta una “pagella di influenza”, i cui voti sono dati in primis dalle eccellenze culturali e scientifiche, l’autorevolezza dell’Italia, in una congiuntura difficile per il Paese, si è giovata dello straordinario lavoro di molti scienziati italiani, come i ricercatori del CERN, coordinati da FABIOLA GIANOTTI, indicata dalla rivista TIME la quinta persona più importante del 2012. Penso anche a tante eccellenze bergamasche, che contribuiscono molto al prestigio dell’Italia nel mondo, come: ANDREA VITERBI, l’inventore dell’algoritmo alla base del funzionamentodella telefonia mobile cellulare; SILVIO GARATTINI, fondatore e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”; DUILIO BERTANI, che ha consentito di svelare i disegni originali sotto lo strato pittorico di dipinti famosi; ANGELO VESCOVI, che ha effettuato il primo trapianto al mondo di cellule staminali su un paziente affetto da Sla; DIETELMO PIEVANI, che ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche; RICCARDO SIGNORELLI, inserito da «Panorama» nella top ten degli innovatori che cambieranno il mondo. E penso a tanti altri giovani economisti, fisici, giuristi, biologi che ci riempiono di orgoglio con il loro quotidiano lavoro. Il loro esempio dimostra che l’Italia e Bergamo, con la cultura, possono far progredire il mondo.


La cultura favorisce il radicarsi di una sensibilità che orienta all’ascolto dell’altro, a comprendere coloro che sono diversi da noi. Una qualità, questa, essenziale per promuovere la stabilità internazionale e lo sviluppo. Per questo, l’Italia promuove nel mondo la formazione e l’educazione, essenziali per sottrarre i giovani alle lusinghe di propagande integraliste, e per denunciare le falsificazioni del fondamentalismo. Nelle 28 missioni internazionali di pace alle quali partecipa, l’Italia mette a disposizione della popolazione locale la cultura del dialogo, il rispetto della diversità di opinioni e il principio di civiltà in base al quale nessuno può essere costretto a rinunciare ai propri diritti fondamentali. Grazie a questi valori, l’Italia ha anche assunto la leadership internazionale di fondamentali battaglie di civiltà. Penso alle azioni a tutela delle minoranze religiose e alla lotta contro le mutilazioni femminili.


Per tutte queste ragioni, ho voluto intensificare l’azione della diplomazia culturale, organizzando manifestazioni come l’anno della cultura negli Stati Uniti, sostenendo l’internazionalizzazione del sistema universitario e promovendo il networking tra scienziati, università e imprese attive nel settore dell’innovazione tecnologica. Ma questo sforzo non può certo essere sufficiente. Occorre un impegno culturale al centro della vita dei cittadini. Il Maestro Riccardo Muti ha di recente osservato in un entusiasmante intervento al Senato che l’Italia non è ancora desta: dobbiamo destarla noi con la cultura. Credo che questo impegno civile sia particolarmente sentito da tutti voi e da Bergamo, città candidata a capitale europea della cultura, che ha molto accresciuto il suo prestigio internazionale grazie agli investimenti culturali. Bergamo deve sempre meglio essere la concreta dimostrazione che la cultura produce quell’energia vitale di cui il Paese ha bisogno.

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