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Intervento del Vice Ministro Dassù al Seminario Scenari Economici (Roma, Confindustria, 27 giugno 2013)

· L’Italia, a differenza di altri paesi, non ha utilizzato il “bonus” dell’introduzione dell’euro, e del prolungato periodo di bassi tassi di interesse che ne è seguito, per ridurre il pesante fardello del debito pubblico e introdurre le riforme strutturali necessarie a migliorare la nostra competitività. L’impatto della crisi è stato quindi violentissimo perché il paese l’ha affrontata senza poter utilizzare – in un quadro di Unione Monetaria – gli strumenti tradizionalmente impiegati in passato per stimolare l’economia (svalutazione, deficit spending etc.); per di più partendo da una situazione di prolungata stagnazione, che le necessarie misure di correzione dei conti pubblici hanno inevitabilmente aggravato, con effetti depressivi sulla domanda.


· Anche se il quadro generale è migliorato – l’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione per eccesso di deficit è un risultato importante – le risorse disponibili restano poche e il recente aumento dello spread è lì a ricordarci che i pericoli per la stabilità sono ancora dietro l’angolo. Il Consiglio Europeo in corso proprio in questi giorni dovrà approvare misure per rilanciare l’occupazione e gli investimenti produttivi, ma è evidente che non esistono soluzioni miracolose e che il grosso dello sforzo deve essere fatto a livello nazionale.


· Ci troviamo in una fase di storica debolezza della domanda interna, in cui fattori come la stretta creditizia, il duro percorso di consolidamento dei conti pubblici e la cautela di consumatori e imprese continueranno a pesare ancora a lungo sulle nostre prospettive di sviluppo. In un quadro simile, l’importanza del comparto estero è assolutamente fondamentale. Sempre di più le imprese italiane cercano sbocchi all’estero, sia quelle già presenti sui mercati, che hanno necessità di ampliare i bacini di riferimento, sia quelle che considerano il mercato interno non più sufficiente a garantire livelli adeguati di fatturato.


· Nel complesso le imprese italiane risultano ora più internazionalizzate che in passato, con una maggiore capacità di presidiare i mercati. Le piccole imprese sono quelle che incontrano maggiori difficoltà ad imboccare questa strada, anche se molte di loro riescono a inserirsi con successo in catene produttive globali (le cosiddette Catene Globali del Valore) e ad abbassare i costi attraverso l’appartenenza a reti d’imprese. Restano però le debolezze strutturali dovute al sottodimensionamento e alla difficoltà di accesso al credito.


· Per le aziende è fondamentale adeguare l’offerta all’evoluzione della domanda esterna, attraverso il riposizionamento geografico verso aree e paesi ad alto potenziale di crescita. I dati statistici mostrano che la domanda di esportazioni italiane nei “nuovi” mercati emergenti – raggruppati sotto diverse sigle: Civets, Next-11 etc. – cresce più rapidamente rispetto ai mercati tradizionali. L’Unione Europea resta il principale mercato di sbocco, ma la sua quota è in lieve e continuo declino a vantaggio delle altre aree: l’Asia – non solo Cina e India, anche ASEAN, Corea, Taiwan – l’area NAFTA, il Golfo, la Turchia, l’Europa orientale. Il Medio Oriente è stabile, l’Africa sub-sahariana e l’America Latina sono in crescita e offrono buone opportunità, con volumi però ancora contenuti.


· Per un imprenditore il problema fondamentale è interpretare questi dati e capire quanto possano essergli di guida per il futuro. Tra i vari effetti della grande crisi che abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo c’è anche quello di aver fatto crollare una visione eccessivamente ottimistica dello sviluppo economico e aver restituito importanza alla teoria dei cicli. Complice un periodo senza precedenti di crescita del reddito e dei flussi commerciali mondiali, si era forse persa di vista la possibilità di un rallentamento e anche di un arretramento, soprattutto nei paesi emergenti, che in tempi recenti sono stati i principali motori della crescita.


· Prendiamo, ad esempio, i BRICs: difficilmente saranno in grado di ripetere nel prossimo decennio la performance di quello precedente. Sono grandi Paesi, con modelli di sviluppo diversi: il Brasile e la Russia, esportatori di energia e materie prime, sono soggetti alle variazioni dei prezzi internazionali, risentono delle numerose strozzature del loro sistema produttivo e di carenze infrastrutturali; l’India, importatore di energia ed esportatore di servizi, ha subìto un marcato rallentamento e stenta a ripartire; la Cina infine, economia di trasformazione basato sugli investimenti e l’export, sta cercando di orientare il suo modello verso un maggiore sviluppo dei consumi, di ridurre gli squilibri e l ‘eccesso di capacità, di affrontare i problemi di una popolazione urbanizzata per oltre il 50%, che invecchia rapidamente.


· Si tratta in parte di rallentamenti fisiologici, crisi della crescita che – in presenza di un elevato potenziale – si risolvono soprattutto con la rimozione di colli di bottiglia e l’introduzione di riforme economiche e sociali. E’ il caso probabilmente della Cina e del Brasile. In altri casi, come la Russia, il sistema ha di fatto raggiunto la capacità produttiva compatibile con il modello di sviluppo esistente e per crescere ulteriormente ha bisogno di interventi più radicali, di modernizzazione e di diversificazione, che a loro volta richiedono massici investimenti. Per un imprenditore che intende sopravvivere e prosperare nella competizione globale, capire queste dinamiche è fondamentale: investire nel momento sbagliato, o interpretare male le politiche di sviluppo decise dai governi, può essere la ricetta per il disastro.


· In questa prospettiva, raccogliere la sfida dell’internazionalizzazione vuol dire utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per cogliere le opportunità e proteggersi dalle insidie, collaborando sempre più strettamente con l’unica struttura che dispone di solide antenne all’estero, la Farnesina. E’ una collaborazione che va nei due sensi, ognuno esercitando il rispettivo ruolo. Per le nostre rappresentanze diplomatiche, che costituiscono la prima linea della promozione del Sistema Paese all’estero, il rapporto quotidiano con gli imprenditori è una fonte preziosa di informazioni, che aiuta a finalizzare piani di promozione realistici e commisurati alla realtà dei paesi di accreditamento; è un rapporto che i nostri diplomatici hanno istruzione di ricercare anche quando, come talvolta accade, le imprese evitano di rivolgersi alle nostre strutture.


· Con tutte le difficoltà del caso – il nostro è un paese notoriamente allergico al coordinamento e alla cooperazione – devo dire che in questi ultimi tempi (forse complice la crisi) la collaborazione tra imprese, associazioni di categoria e istituzioni ha compiuto notevoli passi avanti e ha dato vita a numerose iniziative congiunte ben riuscite, in Italia e all’estero. Alla Farnesina è stata creata una apposita direzione generale, che quotidianamente interagisce con i tanti attori che in Italia si occupano di internazionalizzazione: MISE, ICE, SACE, SIMEST, ANCE, Banca d’Italia, Cassa Depositi e Prestiti, Abi, Mediobanca, Unioncamere, Assocamerestero. Last but not least, Confindustria, naturalmente.


· In questo modo sono nate, ad esempio, importanti missioni con ANCE in America Latina, dove si concentrano il 48% delle nuove commesse per le nostre imprese – a fronte della grave crisi dell’edilizia in Italia ; così sono nate le iniziative di divulgazione sulle opportunità del mercato integrato dell’ASEAN, uno dei più dinamici al mondo; le missioni di “diplomazia energetica”, chiamiamola così, mirate a diversificare le fonti di approvvigionamento e auspicabilmente ridurre la bolletta energetica che grava sui costi delle imprese; più recentemente le consultazioni condotte, insieme al MISE, con tutti gli stakeholders in vista dell’avvio del negoziato per la Transatlantic Trade and Investment Partnership tra Europa e Stati Uniti d’America.


· E’ chiaro che, soprattutto in questa congiuntura, dobbiamo lavorare insieme. Insieme dobbiamo valorizzare il nostro sistema produttivo, imparando – perché no? – dai nostri competitors a fare squadra in modo più efficace e a far valere i nostri punti di forza: la solida base manifatturiera, la capacità di innovazione, il rapporto col territorio. A proposito di rapporto col territorio, una vetrina unica per noi sarà rappresentato dall’EXPO di Milano. Un’azione diplomatica intensa, portata avanti in collaborazione con EXPO SpA, ha consentito di raggiungere con largo anticipo la quota prefissata di 130 paesi partecipanti. Io stessa sto preparando una missione in Asia fra due settimane per la firma di contratti con la Cina e il Giappone, forse anche la Corea. Siamo a buon punto dunque, malgrado i dubbi e le polemiche che sempre accompagnano questo tipo di eventi. Il contenitore è pronto, il pubblico anche; ora sta anche a voi, anzi soprattutto a voi, gli imprenditori, fornire il contenuto e far vedere a tutto il mondo cosa sapete fare.

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