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Dassù: «L’Italia non sarà più sola nel pattugliamento delle coste» (Il Mattino)

Il viceministro degli Esteri Marta Dassù è in prima linea nel governo per fronteggiare, con una logica europea, l’emergenza rifugiati. Ma è proprio il rapporto con l’Europa il problema maggiore, come spiega nell’intervista.


La Germania ci chiede di concedere il diritto di asilo a chiunque sbarchi in Italia. È una provocazione o è una base sulla quale ragionare?


«La Germania non dice esattamente questo. Il punto è che, secondo l’attuale legislazione europea, una persona che richieda protezione internazionale deve farlo nel primo paese in cui arriva. Naturalmente è un problema per l’Italia, data la nostra vicinanza geografica alle aree di crisi: molto spesso, siamo appunto il paese di arrivo. Insomma: gli sbarchi sono in Italia non in Germania. Il fatto è che gran parte dei rifugiati cerca di non farsi identificare in Italia, perché in realtà vuole trasferirsi altrove. Questo ha una conseguenza: l’Italia diventa un paese di transito mentre la maggior parte dei rifugiati finisce in Germania o in Nord Europa. Lo dicono le cifre: nel 2012, la Germania ha ricevuto 77.000 domande di asilo, la Svezia 43.000, l’Italia 15.000. Questo però è solo un lato del problema. L’altro – e qui la situazione drammatica di Lampedusa è rivelatoria – è che anche l’accoglienza ha un costo finanziario ed umano. Un costo molto alto. Per chi arriva e per chi accoglie».


Qual è, nell’impianto normativo attuale, l’aspetto che le appare più urgente correggere?


«Il punto che le ho appena citato – che è poi il famoso criterio di Dublino sarebbe da rivedere. La Direttiva europea 51, che stiamo recependo, riguarda il diritto di un rifugiato di stabilirsi in un altro stato membro; ma non tocca il criterio che attribuisce al paese di primo arrivo la responsabilità di trattare la domanda di protezione internazionale. In altri termini: l’Italia resta esposta. Si tratta di una materia in cui i progressi sono lenti anche perché l’Europa legifera a maggioranza qualificata. Ma partirei a monte: non si tratta solo di normativa, si tratta di solidarietà politica e di consapevolezza della posta in gioco. La realtà è brutalmente semplice: la gente continuerà a fuggire dalle guerre e a cercare condizioni di vita migliori in Europa. È una sfida storica per il continente nel suo insieme. Accentuata dal gap demografico».


È possibile e auspicabile arrivare a una disciplina europea della materia immigrazione?


«Se non altro, intanto, l’Europa ha capito, seppure in virtù di una terribile tragedia, che la dimensione del problema è effettivamente europea. La solidarietà c’è stata, a Bruxelles come a Parigi e altrove. E l’Italia ha ottenuto che il problema immigrazione sia discusso al prossimo Consiglio europeo. Poi certo, devono seguire una quantità di decisioni: l’Italia sta ottenendo un rafforzamento di Frontex, con un’operazione congiunta di pattugliamento marittimo delle frontiere esterne dell’Ue che potrà interessare l’intero mediterraneo, dalla Spagna a Cipro. È un progetto importante. Negli ultimi due giorni è stata anche lanciata l’idea di una Task Force ad hoc fra l’Italia e la Commissione per definire altre misure concrete».


È preferibile trattare il tema immigrazione con interventi a tappe o è necessaria una riforma complessiva che riveda Bossi-Fini, diritto d’asilo, cittadinanza?


«Di revisione della Bossi-Fini ha parlato ieri il Presidente del Consiglio a Lampedusa: vedremo modi e tempi. Il diritto d’asilo, d’altra parte, è ormai regolato da norme europee. E qui va capito un punto: assieme ai richiedenti asilo arrivano migranti per motivi economici. Il problema di fondo è il meccanismo dello human trafficking: va spezzata l’illegalità. Solo attraverso il dialogo con i paesi mediterranei, si potrà tentare di moderare il fenomeno e di spostare l’emigrazione su canali legali».