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Pistelli: «Siria, l`Italia vuole essere a Ginevra 2» (l’Unità)

I nuovi equilibri mediorientali passano per Ginevra. Dal dossier sul nucleare iraniano a quello della guerra in Siria, passando per l`annoso conflitto-israelo palestinese. l`Unità ne parla con Lapo Pistelli, viceministro degli Esteri con delega sull`Iran.


Partiamo dal dossier più caldo: quello iraniano. C`è chi ha parlato di fallimento del primo round del negoziato. Qual è il punto di vista italiano?


«L`Italia, come è noto, per scelta di governi precedenti, non fa parte del formato 5+1. Avremmo sicuramente potuto giocare un più attivo, ma ormai questa è storia. Ciò non di meno, rivendichiamo di aver avuto un ruolo di apripista nel valutare il nuovo corso di Teheran, e abbiamo una opinione precisa su quanto sta accadendo».


Qual è questa opinione?


«L`accordo sarebbe pure stato possibile. Ma alcune resistenze – chi per convinzioni, chi per scelta tattica – hanno consigliato un breve rinvio. Dico con chiarezza che, secondo noi, l`accordo ci sarà. È evidente che gli equilibri nella regione si stanno muovendo in modo profondo. Probabilmente un rinvio di una settimana consentirà il perfezionamento di alcuni dettagli che solo a settembre sembravano inimmaginabili. Europa e Stati Uniti hanno tutto da guadagnare da quello che potrebbe diventare un contributo di stabilizzazione della regione. Vorrei che anche Israele avesse la stessa percezione. In fondo, se l`Iran smette di essere un problema, e la Siria si avviasse verso una transizione, Netanyahu potrebbe finalmente concentrarsi sulla trattativa con i palestinesi, senza emergenze regionali che lo distraggano».


La stabilizzazione del Medio Oriente passa anche e per certi versi soprattutto, dalla Siria. E per la conferenza di Ginevra2. Quali sono in proposito le aspettative dell`Italia?


«Non nascondo che la Ginevra siriana è un appuntamento ancora molto lontano. E’ vero che la distruzione degli arsenali chimici procede con una rapidità impressionante. È vero anche che giungono notizie positive dall`opposizione siriana, che ha deciso di partecipare. Ma le turbolenze in casa saudita, la discussione su chi debba partecipare fra gli attori regionali, e un accordo preliminare su regole e contenuti di un governo di transizione, indicano che siamo ancora lontani».


Su questo snodo cruciale della crisi mediorientale, quale ruolo ha giocato e intende ancor più giocare l`Italia?


«L`Italia si è fatta carico, assieme ad altri e più di altri, del dramma dei rifugiati nella regione. Abbiamo poi contribuito a persuadere alcuni amici europei un po` “irruenti”, che la soluzione militare era un vicolo cieco, e, al tempo stesso, abbiamo spinto l`opposizione siriana a prendere le distanze dal jihadismo qaedista, che ne minava la credibilità internazionale. Per primi, fra gli europei, abbiamo detto che l`Iran dovesse essere associato al tavolo negoziale. Insomma, la nostra non è stata una presenza da spettatori, ed anzi è giusto riconoscere che avevamo visto più lontano di altri. Per ciò, è oggi legittima la richiesta di far parte del formato negoziale di Ginevra2, che aiuti i siriani a uscire da questa lunga, tragica notte».


Ginevra evoca anche i negoziati informali che portarono all`accordo di Oslo-Washington tra Israele e l`Olp. A distanza di tempo, quale futuro ha il negoziato israelo-palestinese?


«Questo è effettivamente il terzo fronte caldo aperto nella regione, il più antico, più vecchio addirittura della frattura Stati Uniti-Iran. Noi abbiamo ammirato la tenacia con cui il segretario di stato Usa, John Kerry, ha riportato le a parti al tavolo e rispettiamo la riservatezza dei colloqui. Ma diciamo a chiare lettere che questa è l`ultima occasione per far sopravvivere lo spirito di Oslo. Non vorremmo che le due parti si preparassero al gioco del “blame game”, cioè lo scaricabarile, in caso di fallimento. Sia chiaro: per noi e per gli americani, il successo di tutte e tre gli appuntamenti, è un risultato “win win” (vinci vinci). Ma questa valutazione non si estende ad alcuni attori regionali che sperano, invece, nel successo di uno e nel fallimento di altri. Per ciò, lo sforzo richiesto agli europei e agli americani, sarà maggiore. Siamo davvero a uno snodo decisivo: potremmo positivamente ridefinire gli equilibri del Medio Oriente, ma, altresì, tutto potrebbe anche tradursi in una drammatica escalation delle crisi. Quella che si è aperta è davvero una stagione cruciale, e tutti siamo chiamati a dare un contributo di stabilità e pacificazione».



Una stagione che investe anche un altro Paese chiave della regione: l`Egitto. La prova di forza dei militari che ha portato alla defenestrazione del presidente islamista Mohammed Morsi segna il fallimento della «Primavera egiziana»?


«Questo è un anno difficile per tutte le transizioni arabe, come era da immaginare dopo la delusione verso i governi scaturiti dalle prime elezioni del 2012. Ma serve pazienza perché le primavere, con le grandi contraddizioni e gli errori, restano un punto di svolta nella storia del mondo arabo. L`Egitto, per dimensione e ruolo nella regione, è ovviamente un caso speciale. Non ci stanchiamo di sollecitare le autorità e i diversi partiti a ritrovare un dialogo smarrito, a rispettare i diritti umani, a procedere verso un rapido ritorno alla normalità democratica. Sappiamo che non è un impegno facile ma non ci sono alternative».

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