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Giro: “Venezuela, siamo di fronte a un regime” (Unità)

Venezuela, ultimo atto. I morti delle ultime manifestazioni sono oltre 20, molti di più probabilmente. Le notizie scarse e contraddittorie, la violenza in aumento. Lo scontro tra governo e opposizione è totale e non ci sono apparenti alternative. L’esclusione dalle presidenziali prossime venture di Henrique Capriles, il più forte oppositore, (per una multa da l0$!) significa che si è gettata la maschera: non resta nulla di Hugo Chavez, siamo di fronte a un regime. Chavez era certo estremo nelle sue posizioni ma pur sempre leale e pronto ad accettare le sconfitte. Aveva un’ideale e un programma per il suo paese e l’America Latina. L’attuale gruppo dirigente si comporta invece proprio come coloro che volevano far cadere Chavez: a colpi di mano extra-costituzionali che manipolano giustizia e forze armate. Nella storia del Venezuela non ci sono molti «buoni»: Paese ricchissimo di risorse quasi sempre in mano a classi predatorie a discapito del popolo. Fin dagli anni Cinquanta il Paese era famoso perché potevi diventare ricco in pochi anni, se avevi le leve giuste. Nulla o quasi si è mai prodotto in loco: bastava il petrolio – vera maledizione – e tutto veniva – come accade ancora – dall’estero. Per questo pochi sono gli imprenditori veri e minima la classe operaia e lavoratrice. Solo una o più elite rapaci, in apparente lotta fra loro, e una sterminata classe sottoproletaria (come si diceva una volta) alla mercé di chi comanda. Niente ceto produttivo, pochi intellettuali, solo tanti commercianti di import-export. Chavez fu la reazione a questa situazione, patriottica ed egualitaria. Nei suoi proclami e nel suo modo di governare c’era una vena di demagogia ma anche una vera e propria volontà di cambiare direzione al Paese. Basta con i predatori che svendono le ricchezze venezuelane, basta con lo sfruttamento esasperato delle classi povere! Il Venezuela sembrò cambiare rotta e riacquistò giustizia e prestigio. Il tentato colpo di Stato contro il leader del 2002, fu un tentativo abortito di tornare indietro, ma non era più possibile. I venezuelani erano diventati più consapevoli. Il Socialismo del XXI° secolo era in marcia non solo a Caracas ma in tutto il subcontinente. Ma dopo la morte di Chavez nel 2013, i suoi eredi non sono stati all’altezza dell’eredità ricevuta. Il Paese è alla rovina economica e non bastano le continue denunce contro «complotti» esterni a nasconderlo: esiste ben evidente un fallimento della linea di politica economica utilizzata dopo Chavez. Solo che nessuno se ne assume la responsabilità e si gena la colpa su un ipotetico nemico esterno, vecchio trucco. La società venezuelana si è impoverita ed invece di unirsi si è divisa ancor più: ora abbandonano il chavismo anche ceti poveri che lo avevano sostenuto. Oltre la cortina fumogena delle propagande contrapposte, resta solo una cruda realtà: oggi è in atto una lotta esclusivamente per il potere, in cui tutti i metodi sono leciti. A nessuno interessa più ciò che accade alle classi povere: il Venezuela è ormai un failed state in cui non ci si può fidare nemmeno delle istituzioni. Dire No alla mediazione del Papa (anche da parte dell’opposizione) è stata forse la scelta più sciagurata. Per un Paese amico dell’Italia, tale situazione è fonte di molte preoccupazioni. Stiamo facendo molto per aiutare i nostri numerosissimi concittadini, scontrandoci con l’insensibilità dell’attuale governo che ci ostacola in tutti i modi: impedisce l’invio di medicine che mancano, non dà notizie sui concittadini in carcere, minaccia le nostre imprese con cui pure è in debito. Non si tratta così un Paese storicamente amico che ha sempre rispettato le scelte del popolo venezuelano e suoi rappresentanti. In questi anni sono stato sei volte in Venezuela per discuterne, per cercare soluzioni, per aiutare il dialogo. Oggi non posso che esprimere con tristezza tutta la mia delusione. Unica consolazione: aver contribuito alla liberazione di quattro connazionali.

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