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Di Stefano: Un pilastro della nostra economia (Up! Economia)

Le risorse ci sono. Le strategie per ripartire pure. Ma serve trovare il momento giusto. L’intero sistema fieristico italiano, bloccato dall’emergenza Covid-19, vuole continuare a mantenere la sua posizione nel contesto internazionale. Innegabile che il Coronavirus si sia abbattuto come una scure egli enti fieristici del Belpaese infliggendo un duro colpo, da Nord a Sud, dalle realtà più piccole a quelle più strutturate. Ma questo diventa anche un’occasione per riflettere sul rilancio del sistema, su nuove modalità da affiancare alla Fiera intesa come la si è conosciuta finora. L’incognita della pandemia pesa ancora sul riavvio e sui calendari, ma anche il Governo ha messo i ferri in acqua per sostenere un sistema ritenuto strategico. Analizzare il passato, dunque, per guardare al futuro. Un’analisi che fa in maniera puntuale il Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri, Manlio Di Stefano, anche diversi confronti con gli attori del sistema fieristico.

Onorevole, come si posizionava nel contesto internazionale il sistema fieristico italiano nell’era pre Covid?

“In Europa le fiere italiane si posizionano tra le prime quattro con Francia, Germania e Gran Bretagna (ante Brexit). Vantano un’alta capacità di attrazione dei buyers in comparti come la pelletteria, la moda e il mondo della meccatronica e dell’automotive”.

Poi è arrivato il Covid che ha costretto a cancellare interi calendari, quasi 200 solo tra gli eventi di carattere internazionale come il salone del Mobile di Milano o il Vinitaly di Verona. Che impatto ha avuto tutto questo sul fronte dell’export?

“L’impatto negativo, purtroppo, non c’è stato solo sull’export, ma su tutta la filiera, dal turismo al ritorno degli investimenti. Il punto, pero, non sono gli eventi cancellati, ma come e quando ripartire. Oggi l’export, ad esempio, si è spostato sull’e-commerce e altri canali, ma il sistema fiere è un pilastro della nostra economia, un pilastro su cui puntare con alcune integrazioni come la piattaforma Fiere smart, digitale e che estende la fiera fisica. Inoltre, abbiamo emesso ristori per 25 milioni di euro per gli eventi cancellati in primavera e, con il Decreto Rilancio, abbiamo avviato una quota di credito d’imposta per gli enti fieristici per far fronte a un problema di capacità economica che crea il rischio di atti predatori all’estero”.

Dai ristori alle figure degli influencer. Le strategie sono state messe in campo. Cosa manca per rilanciare il sistema?

“Serve un calendario condiviso per il 2021 condiviso si tra le Regioni, sia con Francia e Germania e questo per evitare guerre fratricide. C’è disponibilità anche per piccole fiere autunnali, ma il vero problema oggi è la mobilità internazionale su cui non c’è certezza. Non è un problema politico né di risorse visto che sono stati stanziati 1,4 miliardi di euro, ma se i principali buyers arrivano da Asia e Stati Uniti dove circola ancora forte il virus, non è pensabile che in autunno arrivino nelle fiere italiane. Sono tutte pronte a ripartire, ma alcune hanno scelto di saltare tutta la stagione. Un ottimo esperimento di ripartenza è la fiera virtuale, lanciato con la Settimana della Moda a Milano. Il Digital Milano fashion week ha dato numeri positivi, 10 milioni di visitatori. Ma è una strada a integrazione, non a sostituzione perché le fiere hanno un indotto enorme”

Eppure lamentano scarsa attenzione da parte del Governo.

“La scorsa settimana li ho incontrati e tutti sono consapevoli degli strumenti messi a disposizione. La lamentela comune è sull’incertezza, ripeto, della mobilità, ma questo dipende dai partner internazionali e gli enti sono d’accordo con noi per ripartire a pieno regime nel momento giusto, altrimenti, se mancano gli arrivi, si rischia anche un flop d’immagine “

Guardando oltre confine, ci sono delle best practice da applicare al sistema fieristico italiano che possiamo importare?

“Stiamo lavorando su una di queste, sul modello francese per avere un coordinamento unico a livello nazionale, sia per stilare i calendari sia per definire le fiere su cui puntare maggiormente. In Italia ogni Regione va da sé e questa non è una materia su cui possiamo imporre regole, cerchiamo di andare in questa direzione anche in Conferenza Stato-Regioni per acquisire più forza in Europa”.

In alcune realtà, come il Fvg, c’è anche resistenza alla fusione tra fiere che continuano a chiudere con bilanci negativi.

“Ognuno fa le sue scelte, non possiamo imporre nulla ripeto, ma gli esempi di fiere unificate in Italia hanno dato ottimi risultati e poter lanciare grandi fiere rispetto a piccoli eventi è decisamente più attrattivo. Dipende se ci si vuole internazionalizzare, anche considerando che ora l’export è l’unica forma di garanzia di tenuta. Se poi l’obiettivo è rimanere piccole fiere di nicchia, sono scelte regionali. C’è un dibattito in corso su questo tema perché oggi molti enti hanno problemi di capitalizzazione e sarebbe opportuno fare sistema. Un sistema da tutelare non solo come quota export ma come asset del

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