È giunta anche in Italia l’eco delle violente proteste che, nelle scorse settimane, hanno messo a ferro e fuoco il Kazakistan, stato transcontinentale, a cavallo tra Europa e Asia, nato dalla dissoluzione dell’ex Unione Sovietica. Circa 200 morti e almeno 6mila arrestati negli scontri, esplosi il 2 gennaio scorso per dar voce al malcontento contro il caro-gas. A fornire un resoconto di quelle giornate drammatiche – oltre a ragionare sulle possibili vie d’uscita alla crisi – è oggi l’ambasciatore italiano a Nur-Sultan, il cesenate Marco Alberti. II diplomatico riveste l’incarico dal 1° settembre 2021.
Ambasciatore Alberti, qual è stato l’elemento scatenante delle proteste in Kazakistan?
«A scatenare i disordini, nell’ovest del Paese, è stato l’improvviso aumento dei prezzi del Gpl, utilizzato in alcune zone come carburante per le auto e per il riscaldamento domestico. Si trattava di proteste sostanzialmente pacifiche, per la verità, alle quali il governo aveva risposto proponendo una serie di misure finalizzate a ridurre i prezzi e regolare l’andamento del mercato. Ma in centri come Almaty, Shymkent, Taldykorgan, le rivolte sono sfociate in atti molto violenti».
Si trattava di atti organizzati? Risulta che le rivolte più violente sarebbero state messe in atto da gruppi ben armati, estranei alle manifestazioni dei cittadini.
«Confermo. II governo li ha definiti ‘un attacco terroristico allo Stato con finalità sovversive’. Al momento, su entrambe le forme di protesta sono in corso indagini da parte delle autorità kazake».
Dopo l’intervento di 2.500 militari, provenienti da un’alleanza di paesi guidati dalla Russia, la situazione sembra essere relativamente tranquilla.
«Il presidente rimasto in carica, Kassim-Jomart Tokaev, ha nominato un nuovo governo, promesso radicali cambiamenti e annunciato importanti riforme politiche ed economiche, sulle quali costruire il rilancio del Paese».
Qual era il suo stato d’animo nei giorni più tragici? Il bilancio dei morti e feriti negli scontri è ancora da definire…
«Come persona, prevaleva la preoccupazione. Come diplomatico, l’urgenza di agire. Eliminare la tensione era impossibile: abbiamo per lo meno cercato di evitare il panico, attivando subito in ambasciata una miniunità di crisi, in raccordo con quella della Farnesina. Questo ci ha consentito di rispondere a tantissime telefonate e di farne altrettante, approfittando dei momenti in cui le comunicazioni erano possibili e usando anche i social».
Gli italiani – molti dei quali residenti ad Almaty, epicentro degli scontri – sono circa 400.
«Le nostre priorità erano due: primo, verificare le loro condizioni di sicurezza; secondo, predisporre interventi di emergenza, qualora si fossero resi necessari. Per fortuna, nonostante il tragico bilancio di quei giorni, non abbiamo notizie di connazionali feriti o di danni alle nostre aziende, che sono oltre 200 – se contiamo anche le joint-venture».
C’è un episodio che ricorda in particolare?
«Mi ha colpito, in un paio di casi, parlare con degli italiani e sentire, dall’altra parte del telefono, il rumore degli spari. Sembra poco, ma credo che, in situazioni così delicate, far sentire la presenza delle istituzioni sia fondamentale».
Cosa ha imparato da quanto accaduto?
«Ho capito che esiste una diplomazia dell’emergenza, che sarà sempre più rilevante in un mondo imprevedibile come quello di oggi. A tal proposito, mi lasci ringraziare tutti i colleghi e quanti hanno collaborato alla gestione delle fasi acute. Vorrei mandare un saluto agli amici e ai tanti cesenati che mi hanno scritto chiedendo notizie, ai quali purtroppo non sono ancora riuscito a rispondere».
Fermate le rivolte, in Italia non si parla più del Kazakistan: qual è la reale situazione in questi giorni?
«L’ordine pubblico è stato ripristinato e lo stato di emergenza non vige più in quasi tutto il territorio nazionale. Sono in corso indagini sui fatti accaduti, vedremo i risultati. Nel frattempo, il nuovo governo è al lavoro su programmi di rilancio e riforma per i quali ci sono molte aspettative».
Cambierà qualcosa nelle relazioni tra Italia e Kazakistan? L’Italia è il secondo mercato di sbocco delle esportazioni kazake e gli interessi economici sono molteplici.
«Italia e Kazakistan sono legati da rapporti di amicizia profondi. Come accade fra le persone, spesso anche le relazioni fra Stati si consolidano in momenti difficili. Quest’anno celebriamo 30 anni di relazioni diplomatiche e vorremmo che di Kazakistan si tornasse a parlare presto, in Italia: per la cooperazione politico-istituzionale fra i due governi, le riforme annunciate, la collaborazione fra le rispettive aziende e le iniziative di scambio culturale fra i due popoli. Sarà anche una mia responsabilità fare in modo che ciò accada».
Quali sono le prospettive future per il popolo kazako?
«Lasciamo depositare un attimo le emozioni prima di formulare previsioni. Ce ne sono già troppe in giro, e non tutte centrate. L’analisi di fatti complessi richiede tempo e una completezza di dati che ancora non possediamo. Non spetta a me esprimere opinioni sul futuro. Posso invece rinnovare l’impegno, professionale e personale, a lavorare sugli obiettivi che il governo italiano mi ha assegnato, tutelando gli interessi del nostro Paese e promuovendo un dialogo aperto e costruttivo. Siamo un investitore rilevante in Kazakistan: vogliamo diventate un partner strategico a tutti gli effetti, pronto a collaborare alla modernizzazione e alla crescita sostenibile e inclusiva del Paese».
I suoi prossimi impegni?
«Mi aspetta un intenso lavoro nel gruppo di coordinamento Italia-Asia Centrale, come seguito alla riunione del ministro Di Maio con i propri omologhi di area, tenutasi a Tashkent nel dicembre scorso. Nel 2022 ci sarà la commissione mista bilaterale, principale foro di consultazione fra i nostri Paesi, oltre a una serie di eventi diplomatici importanti».
Faticoso.
«Non ho mai avuto paura della fatica. Piuttosto, mi spaventa la noia, ma qui credo di non correre quel rischio. Specialmente adesso».