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L’intervista con l’inviato italiano per il Clima

«Quello che è successo a Tonga, pur non avendo a che fare con il clima, rappresenta l’ennesimo campanello di allarme. La vulnerabilità degli Stati insulari è impressionante e oggi viene evidenziata da un’eruzione. Ma abbiamo ormai la certezza scientifica del fatto che il riscaldamento del Pianeta avrà ripercussioni innanzitutto su quelle nazioni».

Alessandro Modiano è il nuovo inviato speciale per il Clima del governo italiano. E in questa prima intervista, concessa a Repubblica, parte proprio da Tonga per fare il punto sull’agenda 2022 della politica climatica. La nomina di Modiano è stata ufficializzata alla fine della settimana scorsa, dopo mesi di stallo. Il diplomatico, che ha ricoperto incarichi nelleambasciate italiane di Santiago del Cile, Pretoria, Buenos Aires, Il Cairo, nell’ultimo periodo è stato vice direttore generale perla Mondializzazione e le questioni globali presso laFarnesina. Che ora lascerà per traslocare al Mite, con l’incarico di direttore generale per l’attività europea e internazionale.

Dottor Modiano, sarà lei il capo della delegazione del nostro governo alla Cop27 che si terrà a novembre in Egitto?

«In genere alle Cop il capo delegazione è il ministro dell’Ambiente o, nel caso italiano attuale, il ministro della Transizione ecologica. La mia figura garantirà continuità: un ministro non può sedersi a un tavolo di trattative per due settimane. L’inviato speciale rappresenterà la posizione italiana in assenza del capo politico della delegazione».

In altri Paesi l’inviato speciale per il Clima ha un ruolo politico, basti pensare al suo omologo statunitense John Kerry, che viene spesso definito “plenipotenziario”. Lei che mandato ha?

«La decisione di avere un inviato speciale per il clima risponde a una esigenza ormai fondamentale: portare sui tavoli dei negoziati internazionali una posizione che sia la sintesi di tutte le varie filiere che in Italia si occupano di cambiamento climatico. L’idea è avere un terminale che garantisca una posizione chiara e univoca del governo».

Nel Regno Unito i diplomatici che si occupano di riscaldamento globale sono 150, in Italia si contano sulle dita di una mano.

«Squadre non necessariamente numerose ma preparate e motivate possono dare comunque ottimi risultati. È vero pero che il tema della diplomazia climatica è ormai irrinunciabile. In occasione del varo del Green Deal Europeo è stato detto ai governi della Ue che una componente di diplomazia climatica deve entrare in tutti gli incontri bilaterali del ministrodegli Esteri o del presidente del Consiglio».

Come si concilia la diplomazia climatica con la difesa degli interessi delle grandi aziende italiane che si occupano di energia e magari di combustibili fossili?

«Non è facile trovare il punto di equilibrio. Perb Enel è un campione di energia rinnovabile nel mondo e questo è un punto a favore del sistema Italia. Più in generale, tutte le grandi aziende italiane hanno programmi per l’individuazione di rinnovabili e per la conversione nel lungo periodo. C’è un impegno europeo a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050: i governi investiranno in quella direzione e i grandi gruppi ne sono consapevoli».

Nel 2020 gli appuntamenti internazionali non mancheranno. Quali ha già segnato in rosso sulla sua agenda?

«Certamente Cop27, ma ci sono anche la Cop per la tutela della biodiversità e quella per il contrasto alla desertificazione. E poi il G7 e il G20. Nel G20 a guida indonesiana l’Italia è nella troika e contribuirà a individuare le priorità».

Tradizionalmente la politica estera italiana ha orientato la cooperazione e lo sviluppo verso il Mediterraneo e l’Africa. Sarà così anche per gli aiuti legati al clima? «L’Italia ha delle priorità geopolitiche, in particolare in Africa. Ma sull’adattamento climatico è più difficile stabilirle. Come insegna la vicenda di Tonga, le isole del Pacifico rischiano di scomparire. E la priorità da geopolitica diventa esistenziale».

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