ROMA – Antonio Tajani guarda al faccia a faccia del 15 agosto fra Trump e Putin come a «un primo passo». Ma il ministro degli Esteri è anche convinto che non si possa raggiungere un accordo senza far sedere Zelensky al tavolo delle trattative. L’inquilino della Farnesina analizza con il Corriere i «tre i fronti di guerra che l’Italia sta affrontando con le armi della diplomazia», Kiev, Gaza e i dazi. Il vicepremier e leader di Forza Italia, che il 19 agosto sarà a Berna per parlare agli ambasciatori svizzeri nel mondo, smentisce che il governo abbia linee diverse in politica estera, ridimensiona la posizione di Crosetto contro Netanyahu e assicura che il governo Meloni sta facendo «tutto il possibile» per convincere Israele a fermare la strage degli innocenti.
Nonostante le pressioni di Francia, Gran Bretagna e Germania, Trump ha escluso Zelensky dal vertice in Alaska. L’incontro rischia di essere inutile?
«Con una dichiarazione congiunta sottoscritta dall’Italia i capi di Stato e di governo della Ue hanno concordato che la pace non può essere decisa senza l’Ucraina. Noi sosteniamo l’iniziativa di Trump, è un passo in avanti, un primo passo positivo perché si arrivi alla pace. Ben venga l’incontro Trump-Putin se serve a scongelare i rapporti. Ma per un accordo serve per forza anche Kiev. La pace non si può fare senza i diretti interessati, russi e ucraini».
Anche i leader europei sono stati esclusi dal vertice di Ferragosto. Trump taglia fuori la Ue?
«La Ue è e deve essere parte determinante delle trattative, anche perché ha inflitto sanzioni alla Russia. La guerra in Ucraina è una questione che riguarda la nostra sicurezza».
Qual è la linea rossa del governo nel pre-summit video di oggi con Trump, Zelensky e i vertici Nato?
«I primi obiettivi sono il cessate il fuoco e il sostegno alla popolazione civile ucraina, che l’esercito russo sta attaccando duramente. La Ue deve partecipare alle trattative e la pace non può essere una resa dell’Ucraina, questi i paletti fondamentali. Noi tuteliamo il rispetto del diritto internazionale e continueremo a sostenere le ragioni dell’Ucraina».
Quanto la infastidisce il controcanto di Matteo Salvini in politica estera?
«La politica estera la fanno il premier Meloni e il sottoscritto. La linea del governo è molto chiara».
Ma spesso non coincide con quella del vicepremier leghista. Salvini ha detto che von der Leyen al summit «al massimo può portare da bere». E quando gli hanno chiesto se non sia ora di fermare Netanyahu, il ministro dei Trasporti ha glissato, rispondendo che «bisogna fermare i terroristi». Lei e Meloni la pensate allo stesso modo?
«Quello che usa Salvini non è il mio linguaggio».
Lei oggi accoglierà all’aeroporto 31 bambini di Gaza bisognosi di cure, con 91 familiari. Iniziativa encomiabile. Ma cosa fa in concreto il governo per impedire che Israele, che ha già fatto 60 mila vittime, continui a massacrare i civili in fila per un pugno di farina?
«Le stesse cose che in concreto sta facendo tutto il mondo. Cioè chiedere a Netanyahu di fermarsi e ad Hamas di liberare gli ostaggi. Noi stiamo facendo tutto il possibile per far sì che Israele fermi l’attacco a Gaza. Abbiamo inflitto sanzioni ai coloni della Cisgiordania, condannato l’uccisione dei giornalisti di Al Jazeera e sottoscritto poche ore fa un appello con altri 28 Paesi alle autorità di Israele, affinché venga garantito agli operatori umanitari e alle Ong di proseguire in sicurezza il loro impegno per la distribuzione di cibo».
Il governo ha detto no all’occupazione totale di Gaza, ma per le opposizioni è una scelta tardiva. Sbagliano Schlein e Conte sui vostri «silenzi complici»?
«La nostra posizione è chiarissima, quel che accade a Gaza è inaccettabile. L’opposizione parla, noi facciamo i fatti. Insieme a Turchia, Emirati e Qatar siamo il Paese che ha accolto il maggior numero di malati da Gaza per assicurare loro le cure e non è facile, sono operazioni politiche. Nelle ultime ore abbiamo inviato altre 350 tonnellate di farina e ancora 100 ne invieremo nei prossimi giorni con l’Onu».
Però l’Italia resta contraria a sospendere l’accordo di associazione tra Ue e Israele, contraria a infliggere nuove sanzioni, contraria a riconoscere la Palestina.
«Cosa hanno prodotto la Spagna e gli altri Paesi riconoscendo la Palestina? Blinken, ex segretario di Stato americano, ha detto che non è servito a niente. Noi siamo favorevoli, ma non possiamo riconoscere uno Stato che non c’è. Prima bisogna crearlo, perché oggi la Palestina non esiste e non può essere Hamas ad avere un ruolo di guida, ma l’Autorità nazionale palestinese. Abbiamo sempre detto che per unificare due realtà diverse con visioni contrapposte serve una missione delle Nazioni Unite».
La «missione multilaterale» proposta da Macron?
«Sono lieto che la Francia si schieri a favore di quella che è da sempre la posizione italiana».
Crosetto accusa Netanyahu di aver «perso ragione e umanità» e condanna con durezza Israele. La voce del ministro della Difesa resterà isolata nel governo?
«La linea del governo è di chiara condanna. E c’è una linea sola, non più linee».
Trump intanto sta terremotando le certezze degli ultimi decenni, geopolitiche ed economiche. E crollato anche il «ponte» di Meloni tra Washington e Bruxelles?
«Che l’Italia abbia facilitato il dialogo tra Usa e Ue è un dato assodato. E i risultati dei dazi li vedremo. Io non sono così pessimista».
Si può essere ottimisti con barriere doganali del 15%?
«I dazi non sono una cosa positiva, ma bisogna vedere quali saranno gli effetti. Se i dazi imposti ad altri Paesi sono più alti, il prodotto italiano su mercato Usa diventa più competitivo. Grazie a una varietà merceologica che è seconda solo alla Cina possiamo occupare nuovi spazi e vincere la sfida. I dati dell’export sono molto incoraggianti, il primo semestre del 2025 segna +2,1% rispetto al 2024».
Non la preoccupa il rapporto tra dollaro e euro?
«Bisognerà tenerlo d’occhio. Se l’euro sarà troppo forte la Bce dovrà intervenire per impedire danni superiori ai dazi».