Il nuovo rapporto di previsione “Energia, Green Deal e dazi: gli ostacoli all’economia italiana ed europea”, pubblicato dal Centro Studi Confindustria (CSC), fotografa un contesto internazionale denso di incognite ma anche ricco di spunti utili per orientare le strategie aziendali. La lente si posa su tre temi chiave: la frammentazione geopolitica, la transizione verde e l’aumento delle barriere commerciali, con un occhio attento a ciò che attende l’Italia nei prossimi due anni.
Lo spettro dei dazi, annunciati e poi sospesi dall’Amministrazione statunitense, e il rischio di un’escalation protezionistica, rappresentano un fattore critico per l’export italiano. Basti pensare che gli Stati Uniti sono il secondo mercato per i nostri beni (quasi 65 miliardi di euro di export nel 2024): settori come automotive, farmaceutico e agroalimentare potrebbero essere fortemente colpiti. Secondo le stime del CSC, un’estensione generalizzata dei dazi USA potrebbe far perdere fino allo 0,6% di PIL all’Italia entro il 2026. Un impatto modesto ma non trascurabile, specie in un contesto in cui l’incertezza politica ed economica sta già rallentando gli investimenti a livello globale.
Altro fronte caldo è il prezzo dell’energia: il gas in Europa è tornato a salire (50 €/MWh a febbraio 2025), con un rapporto 4:1 rispetto agli Stati Uniti. L’Italia, più di altri Paesi, soffre la volatilità dei mercati energetici, con riflessi diretti sui costi di produzione e sulla competitività del proprio sistema industriale. Il Green Deal europeo – pur importante – è stato finora più attento all’ambiente che alla competitività. Meccanismi come l’ETS e il CBAM, se non rivisti, rischiano di penalizzare le imprese europee rispetto ai concorrenti statunitensi e cinesi, che beneficiano di energia più economica e politiche industriali meno vincolanti.
Per il biennio 2025-2026, il CSC prevede per l’Italia una crescita del PIL modesta: +0,6% nel 2025 e +1,0% nel 2026. A trainare l’economia saranno i consumi, sostenuti dall’aumento dei redditi e dall’occupazione, mentre gli investimenti resteranno deboli, zavorrati dal contesto di incertezza e dal rallentamento dell’industria. Un importante sostegno potrà arrivare dall’attuazione del PNRR: sono attesi 130 miliardi di euro tra 2025 e 2026, di cui almeno la metà effettivamente spesi. Particolarmente rilevanti per le imprese saranno le misure a favore delle costruzioni non residenziali, dell’efficienza energetica e delle infrastrutture.
Il rapporto lancia anche un messaggio politico chiaro: è urgente rafforzare l’attrattività del sistema Europa per evitare la fuga di capitali e imprese verso gli Stati Uniti, oggi molto più competitivi in termini di mercato finanziario, semplificazione normativa e investimenti in R&S. Il CSC sottolinea infatti come la produttività in Europa sia stagnante (+0,2% medio annuo negli ultimi anni) a causa di bassi investimenti, eccesso di regolamentazione e frammentazione del mercato interno. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’eliminazione delle barriere interne all’UE potrebbe aumentare la produttività del 6,7%.
Secondo quanto emerge dalle previsioni del CSC, il 2025 sarà un anno di resilienza e ricerca di posizionamento per le imprese italiane. La chiave sarà saper leggere le nuove traiettorie globali – dai flussi commerciali in riconfigurazione alla transizione energetica – attivando alleanze strategiche e facendo leva sul supporto pubblico, oggi finalmente più articolato, anche grazie alla crescente attività delle istituzioni italiane all’estero. Per difendere i vantaggi competitivi costruiti negli ultimi anni, cogliere le opportunità del PNRR e prepararsi ai dazi e alla green economy, serve però un’azione coordinata tra settore privato e pubblico.