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L’Europa futura non può più funzionare come un direttorio

Dal caso-Tymoshenko al voto francese, passando per il Medio Oriente e l’Africa. È una intervista a tutto campo questa concessa a l’Unità dal ministro degli Esteri, Giulio Terzi. Con un filo conduttore: l’Europa del presente e del futuro.


Il primo dossier caldo di questi giorni è il “caso-Tymoshenko”. Il suo collega tedesco ha minacciato di bloccare l’associazione dell’Ucraina all’Ue se Klev proseguirà col pugno di ferro contro la ex primo ministro. Qual è la posizione dell’Italia?


«Il concetto stesso del partenariato fra Unione Europea e un Paese che si avvicina all’Ue nell’Europa dell’Est, nei Balcani, è basato sul fatto fondamentale di raggiungere standard compatibili con quelli europei nell’attuazione dei diritti umani, delle libertà fondamentali, e di realizzazione effettiva dello Stato di diritto. Questo è un terreno di importanza essenziale nel determinare un rapporto di partenariato. Voglio essere ancora più netto: quello del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali non è un terreno sul quale, nel percorso di avvicinamento all’Europa comunitaria, ci possono essere delle deroghe, semmai, vale il discorso opposto: quello di rendere sempre più efficaci i meccanismi di sorveglianza e di assistenza. Nell’opinione pubblica europea è maturata la convinzione che a muovere le autorità ucraine, nel caso Tymoshenko, sia stato un atteggiamento volutamente inteso a colpire una ex primo ministro e una leader politica nel Paese».


Risposte da Kiev?


«Finora non è venuto alcun segnale, alcun atto concreto volto a dare risposte positive, tranquillizzanti, alle preoccupazioni sempre più diffuse nei governi e nelle opinioni pubbliche europee su questa inquietante vicenda. In questo contesto, a nome del governo italiano, ho messo bene in chiaro che non ci sono distrazioni, sconti, voltar la faccia dall’altra parte per convenienze di qualsiasi natura, che ogni tanto si pensa possano esistere nella realpolitik della diplomazia europea. Per quanto ci riguarda, intendiamo mantenere vivissima, crescente, la pressione su questo caso, così come su altri casi che dovessero emergere in Ucraina o in altre parti del mondo per quanto riguarda il rispetto delle libertà fondamentali. Il rispetto dei diritti umani – che vuol dire anche promozione della libertà religiosa, tutela delle minoranze etniche, abolizione di qualsiasi forma di tortura, inammissibilità di pratiche odiose dell’infanzia, il reclutamento dei bambini soldato, la tutela della condizione della donna – non è un optional, ma deve essere sempre più un punto fondamentale nell’azione internazionale del Paese.


Ripeto: nessun sconto sarà fatto sul “caso-Tymoshenko” al governo ucraino. Ma le autorità di Kiev non mi pare che fin qui abbiano compreso questo messaggio. Starà noi, come Italia ed Europa, farlo intendere anche intervenendo sul processo di partenariato in corso e sullo svolgimento degli Europei di calcio».


Da Kiev a Parigi. Gli analisti concordano nell’affermare come l’Europa sia prepotentemente entrata nelle elezioni francesi.


«Ritengo estremamente positiva la crescita di interesse nel dibattito elettorale e, più in genere, nel confronto politico nei diversi Paesi dell’Ue, dei temi europei. Confronto che parte dalla crisi economica e finanziaria e dalle politiche necessarie per uscirne fuori. Ed è un bene che l’Europa sia tema di un confronto di idee, di proposte e di visioni anche alternative, capace di coinvolgere la società civile, l’opinione pubblica e non restare nell’ambito ristretto degli “addetti ai lavori”. Un discorso, questo, che dall’economia si estende ai temi della governance di sicurezza e di una politica estera comune in aree cruciali come il Medio Oriente o su dossier “caldi” come quello del nucleare iraniano. Più Europa non è solo auspicabile, ma è un dato non più comprimibile in un futuro che è già presente. Di fronte alla crisi, non esiste una via di uscita nazionale. Questa è solo un’illusione che prima viene messa da parte e meglio è per tutti. La strada da perseguire è quella di una sempre maggiore integrazione, politica, istituzionale, e non solo monetaria o di mercato. Di certo, il peso dell’Europa nelle politiche nazionali è destinato a crescere, e le presidenziali francesi ne sono una conferma».


Per restare al voto francese. Visto da Roma, non è auspicabile una rimessa in discussione del “Merkozy”, il patto dl ferro tra la cancelliera tedesca e l’attuale Inquilino dell’Eliseo?


«A me pare che si stia facendo strada, a livello europeo, la convinzione che il metodo intergovernativo debba cedere sempre più il passo al metodo comunitario. Questo è un elemento molto importante quando si parla di gruppi ristretti, di “patti di ferro a due”. Nessuno vuol mettere in discussione l’utilità di questo rapporto privilegiato fra Francia e Germania, che non nasce oggi, ma quando si parla di costruire l’Europa ci si dovrebbe porre su piano diverso, quello, cioè, del rafforzamento delle istituzioni europee. Perché soltanto attraverso il metodo comunitario, penso alla politica estera e di sicurezza ma non solo, che si può dare un ruolo di peso all’Unione in un mondo globalizzato. L’Europa del futuro non sarà la sommatoria delle singole potenze, non sarà un’Europa prigioniera di logiche legate a vecchie clientele post coloniali. L’Europa del futuro, sarà una voce coesa, credibile, che quando si manifesta come tale mostra di avere una grandissima capacità di attrazione sul piano globale. Un impegnativo banco di prova in tal senso è il processo di pace in Medio Oriente: l’Unione Europea deve avere un’agenda unica, parlare con una voce comune. E lo stesso discorso vale per l’Iran».


Un’attrazione da esercitare anche in continenti “emersi” com’è l’Africa, dove si sta recando. Qual è il senso della sua missione?


«Sono lieto di partecipare al convegno promosso ad Addis Abeba dal presidente Romano Prodi, in qualità di sostenitore e anima della Fondazione perla Cooperazione tra i popoli. Un appuntamento che in questa occasione ha come tema proprio il rapporto tra l’Unione Europea e l’Unione Africana. È un tema stimolante, perché l’Unione Africana guarda all’Ue come un suo modello, il punto di arrivo di un processo d’integrazione continentale. La mia missione ha anche il senso di marcare più stretti rapporti di partenariato tra l’Italia e Paesi – come quelli che visiterò in questa occasione, Etiopia e Mozambico – di uno straordinario continente, l’Africa, che si sta sviluppando su due terreni cruciali».


Quali?


«Il terreno della democrazia e quello economico. Due piani tra loro strettamente intrecciati. L’Africa è un continente in avvicinamento a quelli che sono i nostri concetti di Stato di diritto. L’Africa deve rappresentare sempre di più il primo partner naturale dell’Europa. E l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano in questa direzione, dando un contenuto concreto a questa strategia di partnership».

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