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Tajani: «La pace dopo il dolore» (Il Foglio)

Tajani: «La pace dopo il dolore» (Il Foglio)
Tajani: «La pace dopo il dolore» (Il Foglio)

Sono passati due anni da quello sciagurato 7 ottobre nel quale si è scatenato l’unico vero Pogrom al quale la nostra generazione ha assistito. Come nella Russia dell’800, si è compiuta una strage di ebrei innocenti ad opera non di un singolo o di un piccolo gruppo di terroristi, ma di centinaia o forse migliaia di persone, inquadrate in modo militare, ma animate da una ferocia che non appartiene ai professionisti del combattimento. Una ferocia che si è rivolta, con macabra ironia, proprio verso coloro, fra i cittadini di Israele, che erano animati da sentimenti più pacifici verso gli abitanti di Gaza. Gli abitanti dei Kibbutz di confine erano dei pacifisti impegnati in progetti di collaborazione umanitaria e di convivenza cordiale con i loro vicini gazawi. Il Nova festival, con i ragazzi aggrediti e massacrati mentre ballavano, era un raduno pacifista. Israele aveva diritto a reagire a tutto questo, con la sua grande forza militare? Certo che ne aveva diritto, lo abbiamo detto fin dal primo giorno. E Israele ha reagito.

Il problema è che la reazione di Israele ha provocato altri lutti, altre tragedie, un altro massacro di innocenti uccisi, in un numero difficile da definire, ma certamente molto alto, troppo alto. A Israele va dato atto di essere anche in questo ben diversa da Hamas, di non aver cercato intenzionalmente il massacro di civili. Ci rendiamo anche conto che, come in ogni guerra, soprattutto in una guerra combattuta in una zona densamente popolata, nella quale Hamas si fa scudo della sua stessa popolazione, usando scuole e ospedali per nascondere depositi di armi e di missili, sia inevitabile che anche la popolazione civile subisca dei lutti e delle sofferenze.

Ma Israele ha decisamente passato il segno. Ha deciso di fare quello che noi e tanti altri avevamo chiesto di non fare. Ha deciso di combattere una guerra giusta con modalità sbagliate e di far pagare un alto, altissimo prezzo alla popolazione di Gaza.

Morti, feriti, affamati, privati dell’essenziale i Gazawi incolpevoli sono diventati le vittime di questo conflitto. Persino le chiese cristiane, che certo non ospitavano terroristi e non li difendevano, sono state pesantemente colpite. Così facendo si è fortemente indebolita, se non distrutta, la struttura militare di Hamas. Ma è un risultato che non andava conseguito a questo prezzo.

Oggi il secondo anniversario della tragedia da cui tutto è partito può essere ricordato con un misto di dolore del ricordo, di pietà per tutte le vittime, di angoscia per gli ostaggi israeliani detenuti in condizioni drammatiche e per i civili sopravvissuti a Gaza, ma anche di speranza per la pace che forse finalmente si profila all’orizzonte. Una pace che è ancora legata a un filo, ma che se si realizzasse sarebbe davvero una svolta storica.

Non significherebbe soltanto la fine dei combattimenti, la liberazione degli ostaggi e la possibilità di soccorrere più efficacemente i civili di Gaza: aprirebbe la strada a un ribaltamento del futuro nell’intero Medio Oriente. Creerebbe le condizioni per dare vita in prospettiva ad uno Stato palestinese libero da Hamas e finalmente privo di pulsioni aggressive verso Israele, che l’Italia sarebbe quindi pronta a riconoscere. Riprenderebbe la strada dei rapporti costruttivi fra Israele e i suoi vicini islamici, nazioni amiche dell’Occidente come l’Arabia Saudita e gli altri paesi del Golfo, l’Egitto, la Giordania sulla linea degli Accordi di Abramo che dovrebbero coinvolgere anche i Palestinesi.

Consentirebbe di dare concretezza, attraverso un Medio Oriente pacificato, al corridoio IMEC, ovvero la “via del cotone” che collegherebbe in modo sicuro ed efficace l’India (e attraverso l’India l’Estremo Oriente) al Mediterraneo, con effetti straordinari sul piano dei commerci. Non dimentichiamo le parole dell’economista francese Frederic Bastiat, “dove passano le merci non passano gli eserciti”. Se tutto questo accadesse, bisognerebbe dare atto al Presidente Trump di avere realizzato un capolavoro diplomatico.

È soltanto un sogno? Forse sì, ma un leader italiano come Silvio Berlusconi, ci ha insegnato che sognare obbiettivi molto grandi è l’unico modo per provare a realizzarli. E noi dobbiamo provarci, l’Italia è pronta a fare la sua parte con gli altri paesi Europei. Lo dobbiamo ai morti del 7 ottobre, alle vittime delle guerre che Israele ha dovuto combattere per sopravvivere, ai morti della Shoah ai quali abbiamo promesso “mai più”. Lo dobbiamo ai Gazawi che hanno subito lutti e sofferenze indicibili. Lo dobbiamo a noi stessi perché un Medio Oriente pacificato sarebbe un grande polo di stabilità e di sviluppo per il Mediterraneo.

Editoriale del Ministro Antonio Tajani.

  • Autore: Antonio Tajani
  • Testata: Il Foglio

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