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Intervento del Ministro Emma Bonino Iftar (italian only)

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Ramadan Mubarak a tutti voi. Non ci può essere scenario migliore per questo tradizionale Iftar. Villa Madama è un’espressione architettonica della tolleranza. E’ infatti dedicata a quella straordinaria donna, “Madama” Margherita, figlia di Carlo V e governatrice dei Paesi Bassi, che cercò di mitigare la politica intollerante del fratello Filippo II con gli strumenti del dialogo, della comprensione dell’altro e della mediazione.


Anche questo incontro è ispirato ai principi di apertura al dialogo, rispetto reciproco e libertà. Del resto, senza apertura al dialogo e rispetto reciproco, non ci può mai essere libertà. E se sappiamo rispettare e comprendere il punto di vista altrui, accettando le differenze, trasformiamo le diffidenze in opportunità.



L’Iftar a Villa Madama vuole allora essere una testimonianza della nostra vicinanza ai vostri Paesi e a tutte le comunità musulmane, inclusa quella che vive e lavora in Italia, rafforzando e arricchendo il nostro Paese. Ma oggi vogliamo anche cogliere l’occasione per ribadire l’importanza del pluralismo e per sottolineare la volontà di lavorare insieme con pazienza e determinazione per costruire ponti di dialogo e di comprensione della diversità.



Il nostro terreno comune sono i valori universali, presenti nella natura di ogni persona e condivisi da tutti quanti operano per la tutela delle libertà fondamentali. Una di esse è certamente la libertà religiosa, che va riconosciuta a individui, gruppi e minoranze, e va esercitata con senso di responsabilità. Perché non conosco libertà senza responsabilità: chi esprime la propria libertà di culto, deve essere cosciente che questo diritto reca in sé il dovere di rispettare chi professa una fede diversa dalla propria e chi non ne professa alcuna. La religiosità è infatti qualcosa che attiene alla sfera privata della persona umana e nessuno può essere discriminato o perseguito per il fatto stesso di non credere o di credere in altro dalle religioni rivelate.



Signore e Signori,


l’Italia è immersa nel Mediterraneo: nel corso della storia, ha profittato delle sue opportunità; ha scontato le sue tensioni; ha vissuto in presa diretta le sue vicende. Millenni di incontri, scambi e reciproche contaminazioni ci hanno consentito di sviluppare una propensione a comprendere i vicini di religione islamica. Per questa ragione, non abbiamo mai creduto a chi prevedeva scontri di civiltà o sosteneva l’incompatibilità tra l’Islam e la democrazia. Abbiamo sempre saputo che non può essere la fede religiosa a negare l’accesso alle libertà e che non esiste popolo che per cultura o tradizione sia ostile ai benefici del pluralismo. E abbiamo sempre rigettato l’assurda tesi secondo cui la democrazia sarebbe un prodotto o un privilegio esclusivo di alcuni, al quale altri dovrebbero solo passivamente adeguarsi. Anche perché la Storia ci dice che così non è.



La sponda sud del Mediterraneo vive processi politici complessi e profondamente diversi da Paese a Paese. Non c’è una traiettoria univoca, si avanza con progressi e successivi ripiegamenti. Le vicende egiziane scandiscono questa oscillazione. L’instaurazione di un’autentica dialettica democratica è più che mai cruciale e urgente per avviare la transizione inclusiva.



Ma su un punto non si tornerà più indietro: il mondo arabo-musulmano è entrato in una fase di cambiamento in cui la gente non ha più paura di rivendicare le proprie libertà. E’ caduto il muro di silenzio eretto da regimi autocratici e dal terrore della repressione. Ora, occorre costruire un nuovo edificio, partendo da nuove regole del gioco inclusive e pluralistiche, e dal rispetto delle libertà fondamentali, inclusa quella di religione, che è elemento imprescindibile di ogni Stato di diritto.



Dialogo e tolleranza reciproca facilitano inoltre la composizione di linee di frattura confessionali. Possono evitare che esse degenerino in tragedie sanguinose, come quella che sconvolge da troppo tempo la Siria. L’Italia continua a sostenere una soluzione politica lungo il percorso preconizzato dal tentativo russo-americano di convocare una nuova conferenza internazionale a Ginevra. Resto convinta che tutti i più influenti attori regionali debbano essere agganciati al processo diplomatico.



Per testimoniare la forte sensibilità dell’Italia alla tragedia umanitaria in corso e l’attenzione ai rischi di frammentazione politica nella regione, sono andata ad Amman con il Commissario europeo Georgieva. La Giordania ha compiuto notevoli sforzi per contenere l’impatto della crisi. Ma non possiamo lasciare alla sola generosità del Regno hashemita la risposta all’emergenza umanitaria. E ciò vale anche per altri Paesi colpiti dallo spill-over della crisi, Libano in primis e poi Turchia e Iraq.



L’allentamento delle tensioni regionali passa anche dalla ripresa del processo di pace israelo-palestinese. Sosteniamo con determinazione l’iniziativa del Segretario di Stato americano Kerry. E’ l’ultima occasione per realizzare la prospettiva dei “due popoli, due democrazie” e per coronare l’aspirazione del popolo palestinese ad avere il proprio Stato. Questo, ne sono convinta, è un obiettivo realizzabile solo attraverso il percorso negoziale che il Presidente Abbas ha perseguito negli ultimi anni, meritandosi l’apprezzamento e il rispetto della comunità internazionale. Ribadiamo questi concetti in ogni occasione; l’ha fatto anche il Presidente del Consiglio Letta nelle sue ultime visite in Israele e Palestina.



Signore e Signori,


la contrapposizione non è tra cristiani e islamici o tra laici e religiosi, ma tra persone di pace e fanatici intolleranti. Fateci caso: gli integralisti di ogni religione e di ogni latitudine hanno spesso in comune il rifiuto ossessivo di accettare un rapporto di pari dignità con le donne, che essi vorrebbero segregate, emarginate, discriminate, e con le minoranze, di cui respingono e temono le diversità. Quando la religione, o una sua interpretazione distorta, diventa arma di lotta politica, a esser mortificata è anzitutto la dignità stessa dei credenti.



In vari Paesi – del mondo musulmano come di quello cristiano – è in gioco la scelta tra una visione della società aperta che rispetta le donne e include le minoranze, e un’altra chiusa, integralista e maschilista, centrata sul dominio egemonico delle maggioranze e sul rifiuto dell’eterogeneità. Ma una società che consente la sottomissione sociale delle donne o la loro marginalizzazione è una società che cancella i fondamentali diritti di tutti, non solo delle donne. Le donne musulmane che sono scese nelle piazze e per le strade lottano per le libertà di tutti. E l’Italia non perde occasione per fare sentire loro il nostro sostegno.



E una società che non tutela e rispetta le manifestazioni pluralistiche, come le minoranze religiose, mette a rischio la sua sopravvivenza. Per le minoranze, la tirannia della maggioranza non è meno pericolosa di quella di un dittatore. Tanto più quando l’intolleranza si manifesta con quegli inaccettabili episodi di violenza, fisica o verbale, che abbiamo registrato di recente anche in Italia. Non dobbiamo mai abbassare la guardia in tema di diritti delle minoranze religiose. Perché quando la loro protezione è disattesa, dall’ordinamento giuridico o nella vita quotidiana, le conseguenze sono il conflitto, il degrado sociale e l’instabilità.



Signore e Signori,


apprezziamo gli sforzi dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica per promuovere la conoscenza dell’Islam, che spesso manca nei Paesi occidentali, e per sostenere la solidarietà e il dialogo tra popoli. L’Italia ha nominato presso l’OIC un rappresentante speciale, nella persona del nostro Console Generale a Gedda. Sottolineo inoltre l’importanza che anche l’Unione Europea e le Nazioni Unite mantengano con l’Organizzazione un dialogo costante e costruttivo.


Concludo con una promessa e un auspicio. L’anno prossimo ripeteremo questo incontro, che è diventato una consuetudine di dialogo tra amici. Mi auguro però di rivederci prima e sempre più frequentemente. Perché il dialogo interculturale non può ridursi a una ricorrenza stagionale. Esso è una necessità continua e vitale, da cui dipende gran parte del nostro futuro.

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